Avvenire, 9 maggio 2025
Israele chiude sei scuole Onu «L’Iran farà la fine di Hamas»
La testa della piovra. Così il premier israeliano Benjamin Netanyahu e i suoi ministri definiscono l’Iran, alludendo ai suoi alleati regionali, da Hamas agli Hezbollah libanesi agli Houthi dello Yemen ai vari gruppi combattenti sciiti in Siria e in Iraq, come ai tentacoli. E l’ora della piovra si avvicina, ha minacciato il ministro della Difesa, Israel Katz: «Avverto i leader iraniani che finanziano, armano e sfruttano l’organizzazione terroristica Houthi: il sistema per procura è finito e l’asse del male è crollato. Siete direttamente responsabili. Quello che abbiamo fatto a Hezbollah a Beirut, ad Hamas a Gaza, ad Assad a Damasco, lo faremo anche a voi a Teheran». E su X posta: «Israele deve essere in grado di difendersi da sé contro ogni nemico».
Minacce a parte, gli analisti concordano nel ritenere che un attacco pesante all’Iran, che prenda di mira i siti energetici e gli impianti nucleari, non possa essere sferrato senza il via libera e il supporto degli Stati Uniti. Ma il presidente americano Donald Trump sembra più interessato a stringere accordi, con risvolti economici favorevoli agli Usa, che a nuove imprese belliche. L’ha dimostrato annunciando la «resa» degli Houthi, contro i quali ha lasciato Israele a combattere da solo. E lo sta confermando con l’Iran, con cui ha avviato i colloqui sul nucleare mediati dall’Oman.
Alzando i toni, come sempre a uso interno e prima di trattare, in un’intervista radiofonica Trump ha detto che risolverà la questione iraniana, in un modo o nell’altro: «Preferirei di gran lunga un accordo solido e verificato, per farli effettivamente saltare in aria o semplicemente smantellarli (gli impianti nucleari iraniani, ndr). Le alternative sono due: o facciamo saltare in aria l’Iran con delicatezza, o violentemente».
Da parte sua, Israele ha già scelto. E rischia di trovarsi da solo anche su quel fronte. «Netanyahu può gestire il voltafaccia di Trump sullo Yemen. Ma se sarà scaricato sull’Iran per lui sarà più difficile» argomenta il quotidiano Haaretz. A conferma che Trump va per la sua strada, due fonti dell’agenzia Reuters rivelano che Washington non chiede più all’Arabia Saudita la normalizzazione dei rapporti con Israele – quegli Accordi di Abramo congelati all’indomani del 7 ottobre 2023 – come condizione per proseguire i colloqui sulla collaborazione nel nucleare civile. I dettagli la prossima settimana, con l’arrivo dell’inquilino della Casa Bianca a Riad, e in Emirati e Qatar, dal 13 al 16.
Mentre la politica insegue i propri interessi, a Gaza si è rinunciato a inseguire il miraggio di cibo, casa e pace. Nelle ultime giornate c’è stata un’escalation di bombardamenti. I dati del ministero controllato da Hamas riferiscono di 106 palestinesi uccisi e 367 feriti in ventiquattr’ore. Le immagini mostrano corpi insanguinati, anche di ragazzini, caricati sul retro di auto malridotte e carretti. Se Israele ha calcolato che l’ingresso dei viveri debba riprendere entro una decina di giorni, perché le scorte stanno per finire, le organizzazioni umanitarie confermano l’allarme. L’Ong statunitense World Central Kitchen, che ha preparato 130 milioni di pasti e 26 milioni di pagnotte in 18 mesi, ha chiuso quasi tutte le cucine e i forni: mancano farina e combustibile. Azione contro la Fame ha scorte per meno di tre settimane al nord e due al sud. «La maggioranza dei Paesi europei concorda che la situazione a Gaza è insostenibile, e si sta rapidamente deteriorando», ha dichiarato l’Alta rappresentante dell’Ue per la Politica estera, Kaja Kallas. Il moderato Financial Times, britannico, ha pubblicato un duro editoriale dal titolo «Il silenzio vergognoso dell’Occidente su Gaza». Stesso silenzio sulla Cisgiordania. La Mezzaluna Rossa palestinese ha riferito di 41 feriti ieri a Nablus in una sparatoria seguita all’irruzione di una forza speciale dell’esercito. E a Gerusalemme Est sono state chiuse le sei scuole dell’Unrwa, nel campo profughi di Shuafat e in altri quartieri, anche con l’intervento di soldati. Arrestato un dipendente dell’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, messa al bando da mesi in Israele. Ai 900 studenti sarà trovato posto in altre scuole, ha detto il Comune. L’Autorità nazionale palestinese ha denunciato «una violazione del diritto all’istruzione», auspicando che la pressione delle organizzazioni per i diritti umani induca Israele a revocare la decisione. Per il momento restano le foto di quegli abbracci tristi, fra trecce e grembiulini, in un anticipo amaro dell’ultimo giorno di scuola. Con un futuro da sfollati.