Corriere della Sera, 8 maggio 2025
Intervista a Enzo Iacchetti
Le partite a pallone nel nebbione.
«Finito lo spettacolo, io, Faletti, Giobbe Covatta, Teo, Diego, Malandrino e Veronica eravamo talmente euforici che in piena notte ci mettevamo a giocare in mezzo alla strada. Non si vedeva niente, a volte era difficile persino trovare l’ingresso del Derby, una scalinata sottoterra con una luce fioca. Pongo portava il pallone. Dopo il primo tiro, passavamo il tempo a cercarlo tra le auto e le piante. Ma era bello». Enzo Iacchetti, 72 anni, cabarettista, attore, cantante, ovvero l’Enzino nazionale del “bau bau micio micio” (e via di tormentoni da 31 anni) di Striscia la notizia.
Già meglio di quando suonava nei night.
«Un quarto d’ora, prima delle spogliarelliste. Mi tiravano addosso i mozziconi di sigaretta. L’unico applauso lo prendevo quando annunciavo: “E ora ecco a voi Jessica”. Però 15 mila lire qua, 20 mila là, la pagnotta la portavo a casa».
Primo ruolo: il bambino muto.
«Ero timido, non parlavo mai. Venne in paese il regista di una compagnia dialettale. Propose ai miei: “Ci serve un bimbo che non dica nulla, vostro figlio così quieto, è perfetto”. “Va bene, basta che torni per le dieci di sera che domani va a scuola”. Dovevo servire il tè alle amiche della zia. In silenzio. Invece non riuscivo più a stare zitto. “Ci volete anche la fetta di limone?”».
Folgorato da Celentano.
«Non avevamo la tv in casa, Sanremo si guardava alla trattoria. Adriano cantò 24 mila baci voltato di spalle al pubblico. Avevo 9 anni. “Voglio diventare come lui”».
Papà Antonio le nascondeva la chitarra.
«Mamma però me la passava dalla finestra. Costava tanto, me l’ero comprata a 14 anni, lavorando in una fabbrichetta del ghiaccio vicino alla Svizzera che riforniva i vagoni merci carichi di carne diretta a Milano. Mille lire all’ora, finivo bagnato fradicio».
Scartato al colloquio per un posto in banca: «Iacchetti, lei è un comunista».
«Portavo i capelli lunghi, ero tutto Peace&Love, suonavamo il beat alle feste dell’Unità. Mi dissero: “I capelli può tirarseli indietro, però basta con la chitarra”. “Allora non vengo”».
Pure Berlusconi le dava del «rosso».
«Mi mise la mano in tasca. “Fammi vedere se ci tieni dei bambini da mangiare”. Però era contento dei soldi che gli facevo guadagnare. “Bravo, continua così”».
Il provino (fallito) da Costanzo.
«Lui non c’era. Non venni capito. Buttai i miei fogli a terra e me ne andai. “Basta, è finita, farò il tabaccaio”. Avevo già versato la prima rata di 10 da 25 mila lire per un bar sul lago. Dopo una settimana fui richiamato. E persi la caparra».
Maurizio la adottò.
«Mi prese per una puntata, in 4 anni ne ho fatte 187. A un certo punto mi disse: (lo imita) “Da adesso però non ti pago più, sei già famoso”».
La prima poesia bonsai.
«La scrissi quando facevo il cameriere in un ristorante di montagna. Fa così: “Oh mucca/sonante il batacchio pesante/pungente il fastidio di pioggia battente/pioggia e batacchio/oh mucca/che vita del cacchio”».
Quando è morto ha pianto tre giorni.
«Mi manca molto, piango tuttora. Perché nessuno lo ricorda più e questo mi dà fastidio. Ho ancora il suo cellulare in rubrica, alla M come Mauri, ogni tanto penso: “Aspetta che lo chiamo”. Per me che ho perso il papà da giovane, Costanzo è stato un secondo padre».
A «Striscia» le fecero un contratto di una sola settimana.
«Volevano vedere se funzionavo. Salì l’audience e me lo allungarono a un mese».
«Ero un allocco».
«La prima volta credevo che la puntata non fosse andata in onda. Chiamai mia madre. “Mi hai mica visto in tv?”. “Sì, eri bellissimo”».
Mamma le diceva: «Hai delle belle gambe».
«È vero, con le caviglie sottili, come piacciono agli uomini. Nonostante i quasi 73 la gambetta è ancora bella dritta».
Scherzi su scherzi.
«Ezio e Ricci mi tartassavano. Come al militare. Al ristorante se ne andavano uno dopo l’altro, lasciandomi solo con le Veline. Il conto lo pagavo sempre io. Mi hanno nascosto le chiavi dell’auto. Mi hanno chiuso in camerino, mi liberava l’uomo delle pulizie».
La finta ex con bambino.
«Eravamo a cena da Biffi. Arrivò una signorina che sosteneva di essere la mia vecchia fidanzata e che quel bimbo di 10 anni era mio».
E poi quelli alle Veline.
«Usavamo la macchinetta dei rumori molesti di Mel Brooks e premevamo il pulsante quando si chinavano alla fine dello stacchetto. Mi sa che qualche volta si è sentito anche a casa».
Enzino ed Ezio.
«Lui è il mio contrario, giocoso, contento, sportivo, corre. Io sono casalingo, tranquillo, al massimo cammino, esco con gli amici delle elementari che mi trattano come a scuola».
Lo sfotte: «È l’unico ad avere una “canappia” più grossa della mia».
«Tipo pannocchia di grano. Ci prendiamo sempre in giro: “Il tuo naso è il fodero del mio”. Secondo me il suo è più grosso, specie ora che sta invecchiando e le cartilagini cedono».
Vacanze insieme.
«Mare, barca, ping pong. Io sono l’uomo più semplice dell’universo, mio nonno andava in transumanza con le pecore. Per me va bene anche stare a Rozzano».
Il suo cane Lucino si chiama così per Dalla.
«Lo trovai il giorno in cui morì, stavo guidando su una strada sterrata e lui mi veniva dietro, poverino. Mi sembrava la parrucca di Lucio. Nel dolore assoluto scelsi questo nome, ha 13 anni».
Lucio la seguiva di notte.
«Come Gaber e Vecchioni. Ho scoperto che dopo lo spettacolo tornavano in hotel e guardavano Striscia, entusiasti. Quando li incontravo però mi vergognavo a chiedergli una foto».
A Mosca.
«Si era messo una pelliccia finta bianca e marrone. “Di che animale è?”. “Di lupo disgraziato”. Una volta in un ristorante si mise la parrucca al contrario, la cameriera non gli vedeva gli occhi. “Mi può portare un’insalata?”».
Con Morandi invece litigò per Sanremo.
«Non ci parliamo più. Fine».
Marcò Maradona nel film «Tifosi».
«Doveva scartarmi, si allungò troppo la palla, stavo per prenderla, tirai indietro il piede. “Iacchetti mi ha lasciato andare”, ammise. E si fece le foto con me che avevo la maglia dell’Inter».
La Rai voleva rubarla a Mediaset.
«Quando Striscia faceva 12, 13 milioni a sera e batteva Affari tuoi. Cercavano di rompere la coppia con Greggio. Mi offrivano il doppio di quello che prendevo e che era già tanto. Io i soldi non li ho mai amati, li ho distribuiti agli altri».
Rispose di no.
«Non tradisco. Qui sto bene, nessuno mi ha mai chiesto “questo non lo devi dire”».
Il primo amore all’asilo.
«La Titti, era carina, io la guardavo muto. L’ho rivista al paese dopo quasi 70 anni».
La prima volta «fu un disastro».
«Confermo. Lo è sempre, per l’uno o per l’altra. Allora il sesso si scopriva tardi. Fino a 19 anni niente, solo grandi baci e canzoni d’amore, facevo le serenate sotto alle finestre. Quando è successo non ho capito bene cosa si doveva fare. Poi ho imparato ma non sono mai stato esagerato».
«Ho fatto il mattacchione».
«Ho avuto 4 o 5 amori importanti. In mezzo, per dimenticare, ho usato il chiodo scaccia chiodo. Non funziona, se sei davvero innamorato, anzi ti penti. Adesso non sono più problemi».
Con l’amore ha chiuso?
«No, se mi capitasse l’amore che ti colpisce in faccia mica mi tiro indietro. Ora provo un senso di pace, ho esperienza, non rincorro più le ragazzine. A cinquanta me ne sono innamorato, adesso sarei un bavoso, antipatico, stupido».
Non disperi.
«Che una si innamori di me perché sono simpatico, ragiono e mi commuovo, non ci credo più. Forse potrebbe volere la mia reversibilità».
Disincantato.
«Ho sofferto tanto quando finivano i rapporti. Mi sono sentito in colpa anche se mi lasciavano loro. Forse perché erano più giovani di me e stavano con uno più vecchio, forse ero geloso».
Le sue ex.
«Sono in ottimi rapporti con tutte, mi hanno fatto del bene e dato tanta gioia. Quando le incontro non provo niente, resta l’amicizia, che è il sentimento più bello. Quando non c’è il sesso di mezzo è meglio».
Maddalena Corvaglia.
«Lei per me è lo stupore. Non riuscivo a credere che si fosse innamorata di me così tanto. Era molto giovane ma molto più matura di me alla sua età. È stata una grande storia d’amore».
«Sono un buon partito».
«Ho messo via quello che mi serviva, ho prestato soldi mai riavuti, fatto del bene senza dirlo, così si fa. Non mi manca niente. Non ho lo yacht perché mi viene da vomitare, possiedo un’auto piccola per andare in paese. Non ho vizi».
Il suo amico Drupi dice che lei è un terribile ipocondriaco e gira con la busta di medicinali pure al ristorante.
«No, solo la scatoletta con la pasticca serale. Li porto con me quando viaggio. Una volta, su un volo Milano-Pescara, ho salvato la vita a una hostess che stava soffocando per un’allergia. Le ho dato quattro Bentelan da 0,5. Il suo fidanzato mi chiama ogni Natale per ringraziarmi».
Va con Drupi anche a pesca?
«No. E poi Giampiero i pesci non li mangia, li ributta in acqua. Starebbe sempre al telefono. “Non mi chiami mai”. E ci siamo sentiti ieri».
La delusione.
«Il Cinema. Non mi ha mai voluto. Gli attori sono tutti romani, sempre gli stessi. Aspetto ancora che mi chiami Pupi Avati».
La soddisfazione.
«Il successo che ho avuto. La gente che mi vuole bene. Non me lo aspettavo».