la Repubblica, 8 maggio 2025
La nipote di Castellani: “Mio nonno da campione a vittima di Mauthausen. Ora ha avuto giustizia”
Nel marzo 1944 i rastrellamenti nazisti arrivarono nei territori dell’empolese, vicino Firenze. Furono catturati oppositori e operai che in quei giorni avevano osato scioperare. Nella lista c’era anche il nome di David Castellani, antifascista. I militari si presentarono sotto casa sua. Ma suo figlio Carlo, noto attaccante dell’Empoli di inizio Anni Trenta, «si affacciò dalla finestra rispondendo alla chiamata dei militari e prese il suo posto – racconta oggi la nipote, Carla Castellani – poi alcune ore dopo venne deportato fino al campo di Mauthausen, dove fu sfruttato come una bestia fino a morire pochi mesi dopo. Adesso, dopo oltre 80 anni, il tribunale ha finalmente dichiarato che quello fu un crimine di guerra e riconosciuto alla nostra famiglia le sofferenze patite».
Scoccata la mezzanotte dell’8 marzo 1944 i soldati iniziarono a bussare alle case di Montelupo Fiorentino a caccia dei futuri prigionieri.
«Il regime voleva colpire il mio bisnonno, David, socialista. Alla porta di casa si presentò anche un carabiniere che conosceva la nostra famiglia. Mio nonno Carlo si fidò, gli dissero che doveva andare in caserma ma credeva sarebbe stato solo un controllo. Era con moglie e i due figli. Disse: “Torno subito, sarà una cosa da poco”. Invece vennero presi in 21 nella zona. Non sapevano a cosa stavano andando incontro. A Firenze furono imbarcati in un convoglio bestiame, poi tre giorni di viaggio fino a Mauthausen».
Un campo di concentramento concepito per annientare attraverso il lavoro. Come conoscete i suoi ultimi giorni?
«Le persone erano trattate come macchine con un tempo limite: prosciugate finché duravano. Lì mio nonno finì in un Gusen, un sottocampo dove si lavorava il legno: lui era un fabbricante di legno. Sopravvisse cinque mesi in condizioni disumane, senza cibo. Morì malato cinque mesi dopo, ad agosto. Conosciamo la sua storia, e la sua fine, perché un suo compagno di branda, Aldo Rovai, riuscì a sopravvivere. Una delle prime cose che fece fuori dal campo fu raggiungere mia nonna e le raccontò dell’ultima sera di Carlo, che gli era stato vicino. Mio nonno disse che “aveva sofferto più del Signore sulla croce” e chiese di portare un saluto alla sua famiglia».
Avete intrapreso una causa contro la Germania, dopo che il governo Draghi aveva introdotto un fondo per risarcire gli eredi di vittime, riconosciute dal tribunale, del nazifascismo. Perché?
«Mio padre, Franco, che ha portato avanti la causa, era titubante. Non credeva che sarebbe stato possibile questo risultato. Siamo contenti: finalmente giustizia. Ci interessava, al di là del risarcimento, che fosse riconosciuto un crimine e la colpevolezza della Germania. È importante da un punto di vista simbolico».
Con il supporto dell’avvocato Diego Cremona, il giudice di primo grado ha disposto un risarcimento di circa 400 mila euro. Cosa significa vincere un processo come questo?
«Indipendentemente dalla cifra che sarà alla fine decisa, e se la otterremo dal fondo, vogliamo destinare parte dei soldi a un progetto di memoria per sensibilizzare i ragazzi. Come ha fatto tante volte mio padre nelle scuole. I giovani devono sapere quello che accadde. Purtroppo non c’è fine alle guerre, all’odio e non si può dimenticare. Proprio in questi giorni sono partiti alcuni studenti da Empoli per un pellegrinaggio, organizzato da Aned, al campo di concentramento. Ma tutti dovrebbero poter vedere e capire. Per farlo servono fondi. Noi abbiamo fatto questo percorso giudiziario per il quale ringrazio anche il senatore Dario Parrini e Lorenzo Nesi, assessore alla memoria di Montelupo».
Tante famiglie in Italia hanno avviato processi come il vostro contro la Germania.
«La cifra stanziata dal governo Draghi è importante, ma da sola non basta. Queste sentenze in ogni caso riconoscono la perdita e il dolore vissuti. Mio padre, che all’epoca aveva sei anni, rimase orfano e sua madre dovette rimboccarsi le maniche. Le testimonianze vanno conservate, i crimini riconosciuti».
Oggi a suo nonno è intitolato lo stadio di calcio dell’Empoli e quello di Montelupo Fiorentino.
«Sono gli unici impianti in Europa dedicati a sportivi deportati. Mio nonno era un grande calciatore: giocò nel Livorno e con l’Empoli segnò 61 gol. È stato per decenni il miglior marcatore della squadra, venendo superato solo da Francesco Tavano pochi anni fa. Fosse nato in questa epoca avrebbe fatto solo il calciatore. Invece lasciò il pallone per aiutare l’azienda di famiglia».