la Repubblica, 8 maggio 2025
Sanità, Meloni accusa le Regioni: “Liste d’attesa colpa loro”. Zaia: “Non siamo dei pirla”
È sempre colpa di qualcun altro. Per Giorgia Meloni non è sua la responsabilità di una sanità che va a ramengo, assediata da liste d’attesa sempre più lunghe e milioni di cittadini costretti a rinunciare alle cure perché non possono permettersi i costi proibitivi di visite e prestazioni private. L’ha detto chiaro, nell’aula del Senato, scatenando la protesta delle opposizioni e non solo. A fare notizia è anche il “non ci sto” dei governatori di centrodestra. Anzi, Luca Zaia va oltre: «Non siamo dei pirla». «La presidente del Consiglio mente», tuona Elly Schlein. «Da lei solo menzogne, vittimismo e zero soluzioni», rincara Giuseppe Conte.
Ma cosa è accaduto? Durante il premier time, sollecitata dal capogruppo del Pd Francesco Boccia, Meloni va giù dritta: «Devo fare un appello alle Regioni, perché noi ogni anno stanziamo delle risorse per le liste d’attesa, che però vengono gestite da loro. E allora abbiamo fatto un decreto chiedendo di poter intervenire, eventualmente, con dei poteri sostitutivi. Ebbene le Regioni, devo dire trasversalmente, non sono d’accordo, ma gli italiani sappiano che abbiamo queste difficoltà». Uno «scaricabarile» in piena regola, che ha fatto infuriare sia la minoranza – da tempo sul piede di guerra per ottenere più soldi e provvedimenti mirati, a cominciare dall’assunzione di medici e infermieri – sia i governatori, a partire da quelli di centrodestra che sono la maggioranza. Fatti passare per sabotatori di una legge giudicata inutile e piena di falle. A quasi un anno dal varo del decreto, infatti, non solo mancano ancora le indicazioni precise sui presupposti che portano al commissariamento ad opera del ministero della Salute, ma c’è anche un problema finanziario. La quota del Fondo sanitario nazionale stanziata è quella già destinata ai progetti per la riduzione dei tempi di risposta per visite ed esami.
Una specie di «gioco delle tre carte», ha subito attaccato il centrosinistra. Anche se il più irritato è apparso Luca Zaia, presidente leghista del Veneto: «Sulle liste d’attesa noi vogliamo collaborare col governo», esordisce conciliante. «La competenza è tutta regionale, ma non può passare l’idea che la nomina di un commissario risolva i problemi, altrimenti vorrebbe dire che siam tutti degli allochi, dei pirla, che non siamo in grado di fare il nostro mestiere». Non ci sta il governatore del Carroccio a farsi dare dell’incapace dalla premier. Non solo i numeri della sua Regione la smentiscono, ma «se fosse così semplice, qualcuno mi dovrebbe spiegare perché nelle due Regioni commissariate dal governo le liste d’attesa ci sono comunque». E dunque va aggiustato il tiro, bacchetta Zaia.
Durissima la segretaria del Pd, che sulla sanità sta conducendo una battaglia senza quartiere contro l’esecutivo. «Con che faccia Meloni torna in Parlamento per continuare a mentire agli italiani, peraltro proprio sul diritto alla salute dei cittadini?». Una mancanza di rispetto che indigna: «Quasi un anno fa, a pochi giorni dalle elezioni europee, ha varato un decreto fuffa che non aggiungeva un euro per tagliare le liste d’attesa», incalza Schlein, «oggi in Senato ha fatto il solito scaricabarile, stavolta addossando le responsabilità alle Regioni. Basta, la smetta di scappare e prenda atto delle conseguenze delle sue azioni: i tagli alla sanità pubblica devono finire, ci sono quasi 5 milioni di italiani che non riescono a curarsi. Sulla salute non si scherza». Altrettanto aspro il leader del M5S. Conte prima imputa alla premier di non essere neppure riuscita a trovare 6 milioni per la prevenzione del tumore al seno, quindi graffia: «Ha detto che farà un appello alle Regioni, le do una notizia: le governano quasi tutte loro, si parlassero nel partito».