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 2025  maggio 08 Giovedì calendario

Rita Pavone e una carriera lunga più di 60 anni: “Torino è parte di me, affascinante e luminosa”

È uno dei miei primi ricordi, in bianco e nero ovviamente. Rita che esce da una culla «vi annunciamo la nascita di una nuova stella», in un programma modernissimo per la tv di allora, Alta Pressione, regia di Enzo Trapani (con Renata Mauro e un Walter Chiari straordinario, lo trovate su RaiPlay). Vestita come una bambolina e già perfettamente padrona della scena, in braccio a Gianni Morandi – teenagers al potere – «perché perché la domenica mi lasci sempre sola…».
Da quel 1962 son passati più di 60 anni, nei quali la ragazzina dai capelli rossi e con le lentiggini ha fatto tutto e di più nel mondo dell’intrattenimento, e domenica torna nella sua città natale per uno spettacolo molto divertente di canzoni e racconti al Teatro Colosseo, come recita il titolo: «Un piede nel passato e lo sguardo dritto aperto nel futuro».
«Abitavamo in via Malta, allora era completamente fuori città. Dopo le elementari mi han mandato a lavorare, perché eravamo in sei e anche 1500 lire per nove ore al giorno a stirare camicie contribuivano – arrivavo a malapena alla tavola, mi han messo un predellino, ho inventato lo step! –. Certo se non andavo ad Ariccia e poi a Roma non avrei combinato nulla, ma Torino è parte di me, città affascinante e luminosa. Ho fatto la rivista con Macario, lui amava Torino alla follia, ma non gli hanno dedicato neanche una strada. Neanche a Buscaglione, sono un po’ così, sono chiusi».
Figura dominante del suo percorso iniziale, papà Giovanni. È lui che la spinge, la porta a cantare ovunque, in mezzo alle perplessità iniziali: «Mi squadravano dal basso in alto, non ci voleva molto, e papà insisteva “guardi lei può rompere il contratto quando vuole, però io vorrei soltanto che la ascoltasse». E quando mi ascoltavano, mi prendevano. La mamma era contraria, “è un ambiente brutto per una ragazzina”. Quando a Riccione una serata è andata male volevo mollare, papà mi ha dato della cagona. E mi iscrisse al Festival degli Sconosciuti di Ariccia, patron Teddy Reno, crooner di grande successo, sul palco e con le donne. Mamma disse, ma con quali soldi andate a Roma? Papà le disse “bè, credo che tu abbia da parte qualche soldo per comprare il frigorifero”, e disse la fatidica frase “penso che il destino di nostra figlia valga almeno un frigorifero, no?”. Tre mesi dopo feci la Partita di Pallone e la mia vita è cambiata».
Erano le pop songs di allora, innocenti, a ritmo di twist, arrangiate da giovani maestri come Bacalov e Morricone. La velocità con cui si è dispiegata la carriera di Rita è stata pazzesca: tanta tv, a Studio Uno in uno spazio “giovane” creato per lei al posto di Mina incinta, i film con Lina Wertmuller, hit uno dopo l’altro, 45 e album incisi anche in francese, tedesco, spagnolo, inglese. E, dopo alcuni anni, l’amore con quel signore a cui si dava del lei.
È vera la storia che hai fatto cacciare una ragazza del tour che gli faceva la corte? «Sì, e me ne sono pentita, credo che sia stata l’unica cosa cattiva fatta nel corso dei miei quasi ottant’anni di vita. Teddy andò dal produttore, il principe Altieri, che gli disse “ma non capisci che quella ragazza è innamorata di te?”. “Ma figurati!”. Lo feci ingelosire per finta con un ragazzo che mi filava, e allora anche lui capì che c’era qualcosa. Poi, andando in tour in Brasile e Argentina, in una tappa ci siamo seduti in mezzo ai bagagli e ci siamo dati un primo bacio. Ci siamo detti “sarà per sempre” e così è stato: sono 57 anni che siamo sposati!». Papà non voleva, disse; “Quell’uomo non entrerà in casa nostra”. Guarda papà che questa casa l’ho costruita io, tu mi hai rovinato l’America, ma non ti lascerò rovinare la mia vita».
Perché Rita era diventata una star anche negli Usa: più volte all’Ed Sullivan show, in classifica nei top 20, inviti in tutti i network, 23mila persone al Madison Square Garden, tre Lp in inglese venduti persino in Giappone, alle spalle l’Agenzia William Morris, «quella di Sinatra», riconosciuta da Elvis che le dona un suo mantello («i miei figli mi han già detto che quando muoio lo vendono!»). Ma non era maggiorenne, allora erano 21 anni, e papà non le diede il permesso di restare, c’era un fratellino di cui la mamma – sempre con lei – si doveva occupare. Il racconto di quegli anni, gli show con Animals, Beach Boys, Tom Jones, le Supremes le sente medaglie sul petto ancora oggi. «Là sono bravi veramente, io avevo voglia di imparare quel modo di lavorare che da noi non esiste, perché da una cantante si aspettano che sappia ballare, recitare: era tutto quello che volevo fare e che poi in realtà ho fatto, dal teatro classico con la Dodicesima Notte alla rivista».
Degli anni di crisi degli interpreti degli anni 60, mentre Morandi studiava il contrabbasso, Rita ha un altro ricordo: «Non me ne sono accorta, avevo un grande successo in Germania, ho vissuto in Francia tre anni, ho fatto un mese all’Olympia. Certo, la RCA quando sono arrivati i cantautori si è dimenticata che quella cattedrale nel deserto l’avevamo costruita noi. Ci hanno messo nel cantuccio, ma io ho trovato che avevo altri bei posti dove lavorare. Sai, il suono degli applausi è uguale ovunque».
Nel 2006 Rita abbandona: «Due bypass all’aorta, un bruttissimo passaggio della mia vita, mi avevano intubata ed ero terrorizzata di aver perduto la voce. Poi ho passato quello che è successo anche a Morandi, Patty Pravo: canzoni non giuste per me, e allora quando ho finito il mio contratto ho deciso di andare a vivere in Spagna, quasi otto anni, finché un giorno Renato Zero mi ha telefonato. Celebrava sul palco i sessant’anni e voleva che io ci fossi in quanto lui era uno dei ragazzi di Rita, i Collettoni: lui, la Bertè, Stefania Rotolo, Mita Medici. “Ci devi essere perché fai parte della mia vita”. Guarda Renato, non canto da otto anni, “oh ma cantare è come andare in bicicletta, non si scorda mai”. Da come sono stata accolta, entrando a schiaffo, non annunciata, ho capito che si poteva ricominciare. E mi sono regalata Masters, pezzi anche degli anni 50 e 60 che io avevo amato. Ho fatto tutto da sola, produzione e trattative con gli editori, una bellissima esperienza, la più grande soddisfazione della mia vita».
Non granché, al contrario, quella dei social. «I miei figli dicono che non è roba per me, troppo boomer, e io pubblico pochissimo». Di anni fa la polemica con i Pearl Jam per un loro post riguardo agli sbarchi dei migranti. «Tempo addietro, in un’intervista venne chiesto a Damon Albarn dei Blur e a Paul Simonon dei Clash cosa pensassero di chi dice la sua sulla politica interna di un Paese in cui non vive. Loro hanno espresso lo stesso mio identico concetto riguardo i Pearl Jam. A loro però nessuno ha detto niente. I Pearl Jam han scritto ma chi è Rita Pavone? Problema loro, che lo chiedessero in giro, da Morissey degli Smiths (“il mio 45 giri preferito? Heart di Rita Pavòn”) ai Kiss».
Infine, c’è Gemma e le Altre, Lp del 1989 di cui ha scritto i testi, ispirato da un film, Quelle Due, in cui le due protagoniste, Shirley McLaine e Audrey Hepburn, sono direttrici di una scuola che viene chiusa in seguito alla calunnia che fossero lesbiche. Quando la McLaine confessa che non si era mai dichiarata, ma era davvero innamorata di lei, la Hepburn rimane di stucco. E l’altra si suicida. Un disco poetico, sull’universo femminile, belle recensioni ma pochissimo airplay. Su insistenza di Elisabetta Sgarbi ne ha ora tratto un libro, appena uscito, per La Nave di Teseo. Bell’esempio di come Rita sia ancora oggi una forza della natura, davvero “una donna che cammina”, come il titolo di una sua canzone, sempre proiettata in avanti. «Alla mia età mi son scoperta anche autrice. Bella soddisfazione».