il Fatto Quotidiano, 8 maggio 2025
Intervista a Gianna Nannini
Andai a fare il test di ammissione a Medicina, a Siena. Era il 2001.
Ma non era già laureata in Lettere, cara Gianna Nannini?
Sì, però molto prima. Agli inizi del Duemila avevo perso motivazione nella musica, così dissi a questa mia amica del liceo: ‘Stefania, iscriviamoci a Medicina’. Confidavo in lei, era un asso in Matematica. Il giorno dei quiz, in Aula Magna, ci ritrovammo sedute lontanissime.
Chi aveva vicino?
Una matricola. Mi ero mimetizzata, tutta bianca, parevo una surfista, però ero anziana rispetto agli altri studenti. Questo mi fa: ‘Ehi, sei Gianna Nannini? Mi fai un autografo?’.
Risposta?
A patto che tu mi faccia copiare. Però le domande di Chimica erano diverse per ogni candidato. Arrivai quattrocentesima su 700. Lasciai perdere. Tornai a far dischi.
C’era stata una crisi pesante, in passato.
Quando morì Conny Plank, che costruiva un design attorno alla mia voce, mi ritrovai perduta. C’era quest’altro produttore, uno svizzero (Armand Volker, ndr) il cui metodo non mi piaceva proprio. Metteva insieme spunti vari, le canzoni erano assemblaggi a tavolino. I maschi uscì così. Ebbe comunque un gran successo.
Lei ha raccontato che il suo momento di crac interiore lo ebbe quando Plank era ancora vivo, durante la registrazione di Fotoromanza. 1983.
Ho detto più volte che sono nata in quell’anno, dopo essere riemersa da una crisi d’identità totale. Una scissione dell’io. Non c’entravano droghe o alcool. Ero precipitata in un abisso dove avevo perso contatto con Gianna. Il cervello mi era esploso. Scrivevo parole e non le capivo, gli altri mi guardavano strano. Quei testi mi avevano scavato troppo in profondità. Ne uscii comunque in tempi più rapidi rispetto a una vera terapia.
La creatività può nascondere pericoli, prima della salvezza.
Sono stata fortunata. Il successo è difficile da raggiungere, ancor più mantenerlo. Devi superare i black out, resistendo. Vedo quel che è accaduto a tanti giovani artisti di oggi.
A proposito: come valuta il sessismo della scena pop e rap?
Il rap è linguaggio della strada, non va confuso con chi lo ripropone. E poi le donne possono rispondere, no? Anna, per esempio, con i suoi testi propone una rivoluzione femminile. Comunque in Italia ci sono troppi pregiudizi sulle donne, una si veste come vuole, può mettersi nuda senza doversi giustificare. Guardiamo la scultura greca, veniamo da quello, le donne erano dee. God is a woman. Io non mostro il fondoschiena o le gambe perché non voglio togliere il lavoro a qualche collega ahahah.
Lei sarà a contatto con la classicità il 26 giugno con il suo speciale rock show al Circo Massimo.
Il rock e le… rocce. Un luogo aperto dove cogliere le risonanze della voce. Avrò con me Pat Murdoch, chitarrista che ha lavorato con Michael Jackson: con lui e la mia band a un certo punto del concerto proporrò un Triangolo del blues, un viaggio intimo tra il mio presente, passato e futuro, da California fino a un inedito che ho dedicato a Janis Joplin. E tutto il live sarà un percorso storico della mia carriera dagli anni 80 a oggi.
Ospiti?
Uno, solo per Roma. Francesco De Gregori. Il Principe e la Regina. Le nostre voci insieme spaccano. Proporremo una riscrittura in italiano di It’s all over now (Baby Blue) di Bob Dylan. L’abbiamo testata sul palco a Milano, nel tour teatrale di De Gregori, con noi c’era Pacifico. Baby Blue l’avevo già cantata in inglese a Vienna, per la morte di Falco.
Con De Gregori non è la prima volta che vi incrociate.
Mi aveva aiutato ai tempi di Per amore e per forza, l’album intriso nel folk della Val d’Elsa, l’insegnamento di Caterina Bueno. Dopo aveva scritto il testo della ballata Ninna Nera su Dispetto, dove tornavo al rock dei miei esordi. Il mio rock deve tutto al folk toscano, i rimandi in rima…
Al Circo Massimo partirà a tutta manetta.
Con America o magari il nuovo singolo Panorama. Che ho scritto in due ore con Raige, Francesco Catitti, Pacifico. Non mi era mai successo di creare in contemporanea con altri, e stavolta nessun rischio di sprofondare.
Non avrà altri guest?
De Gregori è una felice eccezione. Per me il concerto è uno stato alterato di coscienza, un tunnel dal quale esco solo dopo l’ultimo bis. Non amo interruzioni nella mia trance.
Che pensa di tanti big alle prese con interminabili ‘Ultimi tour’?
È un modo per vendere i biglietti. Poi magari ne farò uno anch’io, a 90 anni.
Per ora va dal Circo Massimo alla Reggia di Caserta all’Arena, passando per Taormina. O Pompei. Perché non pensare a un live senza pubblico, come i Pink Floyd?
Un mio sogno ricorrente. Un giorno, chissà.
Sua figlia Penelope che dice?
Ascolta i suoi idoli stranieri. A me concede: ‘Mamma, le tue cose sono ok, purché non canti in inglese, sembri stonata’. E non ha torto.