Il Messaggero, 8 maggio 2025
La parata di Mosca e l’amnesia sugli Usa
Domani, sulla Piazza Rossa, Vladimir Putin farebbe bene a ricordare il pensiero di un grande russo, Aleksandr Puskin: «Il rispetto per il passato: questo distingue la cultura dalla barbarie». Ma è certo che non lo potrà fare. Per il semplice motivo che il 9 maggio, giorno di celebrazione della vittoria sul nazismo è da sempre oggetto a Mosca di una sorta di “memoria dimezzata”, al confine della manipolazione storica. Ma andiamo per ordine. Da Xi Jin Ping a Maduro, lo zar ha convocato tutti gli “antagonisti” del cosiddetto “Occidente collettivo” e, nella parata, per la prima volta, sfileranno anche militari cinesi. Facile immaginare che le democrazie liberali verranno una volta di più additate come le principali responsabili di tutti i mali (magari continuando solo a lisciare il pelo a Trump). Sarà dunque, al solito, un festival di esibizione muscolare nel quale rivendicare la gloria del popolo sovietico per aver “liberato l’Europa dalla peste bruna”.
Eppure proprio qui si nasconde la “grande rimozione” messa in scena ogni 9 maggio: il potere moscovita, infatti, ha sempre omesso di ricordare che, senza il poderoso aiuto degli Stati Uniti, Stalin non avrebbe sconfitto Hitler. Sia chiaro: i sovietici, nella seconda guerra mondiale, pagarono un enorme prezzo di vite umane, più di venti milioni. Un sacrificio che resterà imperituro nella memoria del mondo. Del resto, il medesimo martirio coinvolse anche milioni di ragazzi americani ed europei.
Come tutti i libri di storia testimoniano. Ma nessun libro, in nessuna scuola russa, racconta invece cosa fu il “Lend lease act”, la legge degli affitti e dei prestiti, che Franklin D. Roosevelt approvò l’11 marzo del 1941, ben nove mesi prima dell’entrata in guerra degli Usa. Tale provvedimento, che fece uscire Washington dall’isolazionismo, permetteva di consegnare agli alleati grandi quantità di armamenti senza esigere l’immediato pagamento.
Ebbene, persino a leggerlo oggi l’elenco degli aiuti ricevuti da Mosca è davvero impressionante: 14 mila aerei, 45mila jeep, più di 3 mila mezzi anfibi, 12mila blindati da combattimento, 136mila pezzi di artiglieria leggera, 140 cacciatorpedinieri. Ingente si rivelò anche lo sforzo sulle comunicazioni: furono recapitate 35mila postazioni radio assieme a quasi 5 mila km di cavi marini e sottomarini. Tecnici e ingegneri vennero inviati a coadiuvare le operazioni e, per agevolare gli spostamenti dalla Siberia alla Russia, furono “prestati” 2000 locomotive e 10000 vagoni, essenziali per lo spostamento di truppe ed armi. Tanto per capirci, si calcola che nella campale battaglia del Kursk (corsi e ricorsi!) nell’estate del 1943, quasi il 20% dei carri fossero anglo-americani. Oltre all’aiuto militare ci fu poi anche il soccorso umanitario: da Washington partirono verso l’Urss 5 milioni di tonnellate di razioni alimentari che salvarono il popolo dalla carestia. E perfino 14 milioni di scarponi!
Tutto gratis? Quasi. Putin farebbe bene a ricordare anche questo. Degli 11,3 miliardi di dollari (circa 170 di oggi) anticipati per le forniture, Washington avrebbe chiesto a Mosca solo 1,3 miliardi, per giunta spalmati in 30 anni. Ma l’Urss non pagò. Solo nel 1972 si decise a rimborsare appena il 6 per cento di quel debito. Niente dollari. Ma neppure riconoscenza. Del resto la guerra fredda aveva già trasformato gli alleati in rivali. Bisognerà attendere le memorie di Kruscev per registrare la prima storica ammissione che, senza quegli aiuti, “i sovietici non avrebbero vinto la guerra”. Anche il maresciallo Zukov, che Stalin non vedeva di buon occhio perché troppo popolare riconoscerà, in una conversazione intercettata dal Kgb nel 1963, che “senza gli americani non avremmo vinto la guerra”.
Puskin si può dunque tranquillamente rivoltare nella tomba: a Mosca il rispetto per il passato si esercita solo se conviene. Una dittatura, si sa, non frequenta l’onestà intellettuale. Altrimenti dovrebbe riportare a galla anche un’altra grave amnesia: e cioè che, soltanto sei anni prima di quel “glorioso 9 maggio”, il 23 agosto del 1939, Hitler e Stalin avevano firmato un “patto di non aggressione” (decennale) che conteneva, come si sa, un “protocollo segreto” nel quale si certificava la spartizione della Polonia. La qual cosa, dopo che la conferenza di Monaco aveva ceduto i Sudeti al Terzo Reich, spalancò definitivamente la porta alla guerra. Solo il tradimento di quel patto da parte del Fuhrer, consentì all’Urss di trovarsi, alla fine, dalla parte giusta della storia. È questa l’intera verità sulla Grande Guerra Patriottica. Ma forse neppure nelle scuole italiane ed europee la si racconta tutta: e cioè che il 9 maggio l’Urss vinse, oltre che per la grande resilienza del suo popolo, anche grazie al sostegno dell’Occidente,
Vale infine la pena di tornare ai nostri giorni: perchè fu proprio la stessa legge di Roosevelt del 1941 ad essere riattivata da Biden nel 2022 allo scopo di sostenere Kiev. Di conseguenza a Putin che contesta gli aiuti agli ucraini, chiamandoli “nazisti” (con un clamoroso rovesciamento di ruoli) sarebbe il caso di recapitare, come promemoria, la lista degli aiuti occidentali quando toccò al suo Paese essere difeso da una feroce invasione. E, d’altra parte, chi persiste in Occidente a negare la necessità di fornire armi all’Ucraina, dovrebbe tenere a mente, come diceva Cervantes, che “la storia è la madre della verità”. E la verità è che, ottant’anni fa, la tragedia mondiale si impose perché i segnali di allarme non furono colti per tempo. E troppo a lungo ci si illuse di poter arrivare a un “appeasement” con l’aggressore. Prima che Roosevelt cambiasse idea.