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 2025  maggio 08 Giovedì calendario

Pechino, la via del Sudamerica E Lula rinsalda l’asse dei Brics

Ci volevano Donald Trump e i suoi dazi per far capire all’Occidente che il mondo non finisce in Occidente. Una prima conferma l’aveva data Goldman Sachs: nel 2075 gli Stati Uniti saranno la terza economia del mondo, dietro a India e Cina e tallonati da Paesi come Indonesia, Egitto, Nigeria, Pakistan. Dell’Europa resterà traccia solo negli ultimi due posti della top ten con Germania e Regno Unito, mentre spariranno dai radar Italia e Francia, scavalcate dalle Filippine. Ne ha preso atto pure il New York Times, che in un recente articolo ha svelato un segreto di Pulcinella: la Cina non ha paura dei dazi e già da tempo ha trovato l’alternativa opzionando le materie prime del Sudamerica, ex “cortile di casa” degli Usa secondo la dottrina Monroe.
Il quotidiano ha preso ad esempio il caso della soia, che nel 2024 è stato di gran lunga il prodotto più venduto dai nordamericani al gigante asiatico, per un valore di oltre 12 miliardi di dollari, quasi il 10% del valore di tutto l’export da Washington in direzione Pechino. Le tariffe commerciali indeboliranno questo asse, ma per il Dragone nessun problema: ci sono Brasile e Argentina, rispettivamente primo e terzo produttore al mondo di soia. I due Paesi sudamericani valgono insieme il 52% della produzione globale della commodity alimentare, con il solo Brasile al 40%, davanti agli Usa col 28%. E la Cina si è organizzata per tempo: dal 2017 ha ridotto le importazioni di soia dagli Usa del 14% a 27 milioni di tonnellate, aumentando nello stesso periodo quelle dal Brasile del 35%, a 72,5 milioni di tonnellate. In termini di valore, Pechino spende per le importazioni di soia da tutto il Sudamerica il triplo di quanto paga ai rivali a stelle e strisce e cioè quasi 40 miliardi di dollari, oltre il 75% di tutto quello che spende per importare soia dall’estero. Insomma mentre Trump scommette sulle capacità interne, tra Cina e Brasile è già in atto una situazione win/win: gli asiatici evitano i dazi e riconoscono all’alleato sudamericano un premio per la fedeltà (oltre un quarto di tutto l’export brasiliano finisce nel Paese asiatico), pagando la soia un po’ di più del dovuto ma molto meno rispetto alle tasse galattiche imposte dalla Casa Bianca. In questo contesto il presidente brasiliano Lula farà visita al collega Xi Jinping a Pechino lunedì e martedì prossimi. I due Paesi sono già solidissimi partner in tanti campi e si accingono a firmare altri accordi strategici che non riguarderanno solo gli affari. Mentre infatti sembra che gli Usa facciano di tutto per rendersi antipatici, la Cina tesse tele e potenzia la sua sfera di influenza nel mondo, per fare sì che le nuove generazioni del pianeta non solo continuino a comprare cinese ma sostituiscano, perché no, il “sogno americano” con il “sogno cinese”. Ecco perché oltre che di soldi i due leader parleranno di scambio di conoscenze, dando seguito a partenariati che già coinvolgono 39 università nei due Paesi per diffondere ad esempio l’insegnamento della lingua portoghese in Cina, o le competenze per ridurre il gap digitale in Brasile, fino a costituire un Istituto sinobrasiliano di Ingegneria avanzata per rafforzare la collaborazione sulle auto elettriche, che aziende cinesi come BYD già producono e vendono in Sudamerica, mentre in Europa e Nordamerica gli si prova a fare il solletico con i dazi. L’Occidente non è più il centro del mondo, e se ne è accorto tardi. «I Brics sono ormai una calamita geopolitica – scrivono Marta Fernández e Maria Elena Rodriguez, direttrici del Brics Policy Center dell’Università Cattolica di Rio de Janeiro –. Paradossalmente, più Washington tenta di imporre una agenda unipolare, più ottiene la reazione contraria del resto del mondo, consolidando il gruppo degli emergenti come spazio alternativo». Se prima Brics era un acronimo riferito a cinque Paesi, ora è un blocco allargato e senza alcun complesso reverenziale. Infatti prima di volare a Pechino Lula fa tappa da oggi a sabato a Mosca, in Russia, dove incontra come se niente fosse Vladimir Putin, nel tentativo di essere più convincente di Trump come mediatore per la pace in Ucraina. Il presidente brasiliano riceverà anche una laurea honoris causa dalla storica Università Statale di San Pietroburgo, fondata nel 1724: un’occasione per ricordare il proficuo scambio accademico tuttora in corso tra i due Paesi.