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 2025  maggio 08 Giovedì calendario

Bonifiche sempre più in ritardo in Italia «Appena il 6% di suolo e il 2% delle falde»

Sempre più in stallo le bonifiche dei siti inquinati. Meno di 8 mila ettari su quasi 150 mila. Di questo passo ci vorranno almeno 60 anni per rimediare ai danni di chi ha inquinato. I dati del rapporto “Le bonifiche in stallo” motivano l’allarme di sei grandi associazioni, accomunate dall’urgenza di fare «Ecogiustizia subito, in nome del popolo inquinato», come chiede il titolo della campagna itinerante lanciata insieme da Acli, Agesci, Arci, Azione Cattolica italiana, Legambiente e Libera. Tutte chiedono «una strategia nazionale per le bonifiche», per mettere «a sistema il risanamento ambientale delle aree e la tutela della salute delle persone». Una grande opera «che potrebbe creare, dice Confindustria, 200 mila posti di lavoro».
Dei 148.598 ettari di aree a terra inquinate, dunque, in 41 Siti di interesse nazionale (Sin), solo il 6% (7.972 ettari) è stato finora bonificato. Appena il 5% (cioè 6.188 ettari) ha avuto approvato il progetto di bonifica o messa in sicurezza. E il suolo “caratterizzato”, con la definizione di tipologia e diffusione dell’inquinamento, non va oltre il 24% (29.266 ha).

Male anche le falde: “caratterizzato” solo il 23% delle acque sotterranee, solo il 7% ha il progetto di bonifica o di messa in sicurezza approvato. Solo 2% le falde bonificate. Le sei associazioni sottolineano tre problemi: «Gravi ritardi negli iter amministrativi» degli enti locali, per mancanza di mezzi, capacità, volontà. Poi «una media bassissima di ettari bonificati l’anno»: 11 sugli oltre 140mila che restano. Infine la frequenza dei reati di omessa bonifica: 35 su 241 controlli dal 1° giugno 2015 (anno della legge sugli ecoreati) alla fine del 2023. Un reato ogni 6,8 controlli. Prima la Sicilia (17 reati), seguita da Lazio e Lombardia (5 a testa), terza la Calabria (3) reati, quarta la Campania (2). Per le associazioni «l’esposizione cronica di oltre il 10% della popolazione nei siti nazionali e regionali (6,2 milioni di persone) è responsabilità degli inquinatori, ma anche di Stato e Regioni».
Ritardi negli iter amministrativi, media bassissima di ettari bonificati l’anno, frequenti reati di omessa bonifica. Se i ritmi resteranno quelli attuali, i Siti di interesse nazionale «più virtuosi o più fortunati» non saranno sanificati prima del 2085. Per gli altri, tempi paragonabili a quelli per smaltire le scorie nucleari: centinaia di anni se non di più. Il rapporto indica anche una piano d’azione dettagliato per accelerare il processo di bonifica con 12 priorità in tre ambiti: «governance con aspetti normativi e procedurali», «integrazione degli aspetti sanitari», «reindustrializzazione per piccoli lotti». Perché le bonifiche vanno a passo di lumaca? Tre i problemi. Pesano i gravi ritardi negli iter amministrativi, la media bassissima di ettari bonificati l’anno, i reati di omessa bonifica accertati negli ultimi 9 anni (dal 2015 al 2023). Senza contare il problema dei fondi, per lo più pubblici: difficile concretizzare il principio “chi inquina paga”.
Meno peggio per i Siti di interesse regionale: secondo Ispra nel 2023 sono stati 38.556, dei quali 16.365 con procedimento in corso (42%) e 22.191 (58%) con procedimento concluso. Riguardo gli impatti legati alla salute, secondo lo studio dell’Iss nelle aree inquinate si registra «un eccesso di mortalità e di ospedalizzazione rispetto al resto della popolazione». Per Giuseppe Notarstefano, presidente Ac, «non si può tornare indietro sulla visione della transizione ecologica, che mette insieme ciò che è utile con ciò che è giusto per un nuovo umanesimo». Emiliano Manfredonia, presidente Acli, sottolinea che proprio «la Laudato si’, che compie 10 anni, ha affermato il concetto di ecologia integrale, cioè la difesa dell’ambiente legata alla giustizia sociale per gli “scartati” che abitano nei siti inquinati». E per Francesca Rispoli, presidente di Libera, «le bonifiche non possono essere solo tecniche: bisogna ridare speranza sociale ai territori. Papa Francesco era convinto che la questione ambientale fosse anche questione sociale».