Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  maggio 07 Mercoledì calendario

Giovanni Soldini: “Un piatto di pasta in barca e mi sento a casa anche a Capo Horn”

“La cucina è una forma di cura per sé stessi e per gli altri. Non si tratta solo di nutrirsi, per questo anche nelle regate in solitaria, mi sono sempre rifiutato di usare cibi liofilizzati. Un buon piatto ha il potere di farti sentire a casa anche a Capo Horn”.Giovanni Soldini è alla vigilia di una nuova avventura, una barca costruita con Ferrari, con cui a inizio 2026 tornerà in mare: “Non vedo l’ora” è l’unico commento che si lascia strappare su un progetto ancora top secret.
Non si tira indietro, invece, a parlare di cibo, ricordi in mezzo all’oceano e sostenibilità con Il Gusto, dall’8 maggio in edicola con La Repubblica. Cucinare in fondo è un gesto di umanità che si è rivelato importante anche in momenti di estrema tensione. “Perché la pasta è un porto sicuro gastronomico, un sapore che fa sentire casa, anche a migliaia di miglia dalla costa”, dice. E, tra i tanti momenti ormai storici della sua carriera (due giri del mondo in solitaria e record su rotte leggendarie – dalla New York–San Francisco via Capo Horn alla Hong Kong– Londra della Rotta del Tè), rimarrà impresso nella memoria degli appassionati il salvataggio della collega francese Isabelle Autissier, naufragata a sud di Capo Horn. Era il 1999 e durante la regata Around Alone, mentre affronta il Pacifico in solitaria, decide di deviare la rotta per salvarla. Un gesto di eroismo silenzioso, premiato con la vittoria della tappa e con l’ammirazione del mondo intero. Anni dopo, Autissier scherzerà sul suo salvataggio dicendo: “Sono stata fortunata. Oltre a salvarmi, Giovanni cucinava benissimo”.
C’è un cibo che, più di altri, le ha restituito la forza nei momenti critici?
“Quando ho ritrovato la mia amica Isabelle, naufragata nel Pacifico, le ho preparato una pasta. Credo la più buona della vita. E lei si è sentita al sicuro, come a casa”.
In barca ogni risorsa è limitata. Come si traduce questo principio nella sua cucina? È una forma di sostenibilità che potremmo adottare anche a terra?
“Con un solo bicchiere d’acqua si possono fare miracoli in cucina se si ha una pentola a pressione. In barca si è rivelata particolarmente preziosa, ma a terra vale lo stesso discorso. Io non cucino più senza e non mi spiego perché non la scelgano tutti. È vantaggiosa sotto ogni aspetto. Consente un risparmio di oltre l’80% di acqua che, se calcolato su ogni famiglia per un anno, significa miliardi di litri. E poi si riducono i tempi di cottura e con loro cala anche il consumo di energia, come ad esempio il gas, che si abbatte di circa il -40% per ogni cottura. A farsi due conti…”
Non a caso la pentola a pressione è diventata quasi il suo strumento-simbolo: che messaggio può dare un oggetto così semplice in un mondo dominato dall’eccesso?
“A tutti gli effetti è un manifesto di essenzialità, cura, intelligenza pratica, funzionalità e sostanza. Risolve in modo asciutto e pulito molti problemi in un colpo solo, ci vuole talento!”.
In che modo organizza la cambusa, quindi la spesa prima della partenza e i menu da regata?
“In genere organizziamo la spesa suddividendola in pacchi, uno per ogni settimana di navigazione, anche per distribuire più agevolmente i pesi a bordo. Non disponendo di un frigorifero, carne e pesce sono esclusi dal menu. Frutta e verdura anche sono un lusso e vengono caricate solo in piccole quantità da consumare nei primi giorni di navigazione prima che deperiscano. Riso, pasta, legumi, cereali e biscotti invece sono la base della nostra dieta. L’acqua durante la navigazione è razionata: venti litri al giorno devono bastare per un intero equipaggio di sei/sette persone”.
Lei è ambasciatore di Amref Health Africa e sostiene la campagna “La fame non è un gioco”. In che modo la cucina può farsi veicolo di solidarietà, anche fuori dalla cronaca?
“Lo spreco di cibo è una cosa immorale in un pianeta in cui 730 milioni di persone soffrono a causa della fame. Quindi la prima forma di solidarietà è sorvegliare le nostre abitudini, inseguendo la sostenibilità”.
Ci sono e, se sì, quali sono i sapori che ha scoperto nei porti del mondo e che le sono rimasti addosso?
“Il curry rosso della Thailandia, intenso e piccante. È speciale”.
E c’è una cucina che l’ha stupita per affinità con la sua idea di essenzialità e ingegno?
“Di certo da questo punto di vista ho una predilezione per la cucina giapponese. Centra tutti i bersagli”.

Dopo settimane in mare, qual è la prima cosa che desidera mangiare quando tocca terra?
“Stravedo per l’osso buco con il risotto!”.

Lei è noto per la sensibilità all’ambiente. Ci sono cibi che non compra a causa di packaging non sostenibili?
“Cibi confezionati non ne compro proprio ed evito tutte le plastiche monouso che poi finiscono scaricate in mare”.
Quanto conta la tecnologia in barca oggi rispetto ai suoi inizi? “La navigazione è cambiata moltissimo con l’avvento della tecnologia. Vale lo stesso per la vita terrestre. Oggi si possono risolvere problemi che prima avevano bisogno di tempo e impegno. Solo conoscere la tua posizione in mezzo al mare era un’avventura. La tecnologia a bordo ha consentito di spingere i limiti più in là, liberando tempo ed energie che ora si possono concentrare su altre cose. L’impiego della tecnologia non va disprezzato, è progresso! Del resto, non avrebbe senso avere nostalgia della macchina senza ABS o con i freni a tamburo. Grazie alla tecnologia, ad esempio, a bordo abbiamo raggiunto l’efficienza energetica che è una conquista importante: vuol dire libertà da carburanti fossili, ma anche maggiore libertà personale”.