Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  maggio 07 Mercoledì calendario

La frode dei cannoli siciliani e come stiamo usando i soldi della transizione digitale

Per vendere una bottiglia di Prosecco in tutto il mondo, bisogna avere un sito di e-commerce. Per visitare un malato che non può uscire di casa, serve la telemedicina. Per mostrare il mondo agli studenti, occorrono lavagne interattive, per rendere la pubblica amministrazione efficiente occorre mettere i dati in rete. Si chiama «transizione digitale», e in pratica significa trasformare qualsiasi processo produttivo, gestionale o amministrativo usando la tecnologia, così da renderlo più produttivo. Chi non si adegua – ci ricorda la Commissione europea – si ritroverà a vivere in un Paese meno inclusivo e trasparente ma soprattutto più povero perché solo la trasformazione digitale può «garantire un’economia resiliente e competitiva». Una fetta importante del Pnrr è proprio dedicata a questo passaggio, a condizione di spendere i soldi entro giugno 2026.
Gli obiettivi
L’Italia si è data obiettivi ambiziosi: internet ultraveloce per tutti; 7 italiani su 10 «digitalmente abili», cioè almeno in grado di fare semplici ricerche sul web, mandare email, comprendere le informazioni che internet ci fornisce; altrettanti che abbiano attivato l’identità digitale attraverso Spid e carta di identità elettronica. Il 75% degli enti pubblici devono migrare nel «cloud», e cioè mettersi nelle condizioni di poter archiviare e condividere i dati via internet in modo da poter anche erogare online l’80% dei servizi pubblici essenziali: dal voto elettronico, al fascicolo sanitario fino al pagamento delle imposte.

I soldi disponibili
Dei 194 miliardi del Pnrr l’Italia ne ha programmati 46,8 per la transizione digitale. Si tratta di decine di migliaia di progetti, che contengono in tutto o in parte processi di innovazione: da quelli più costosi, come i 623 milioni investiti nel sistema di cyber-sicurezza contro gli attacchi hacker, alla posa dei cavi sottomarini che portano la fibra ottica nelle isole minori (costo: 45 milioni di euro); fino ai 444 euro mensili che serviranno a pagare ciascuno dei 9.700 giovani del «Servizio civile digitale» che avranno il compito di aiutare gli anziani e chiunque voglia impratichirsi con le nuove tecnologie. Siamo il Paese che investe di più: più della Spagna (40 miliardi), il triplo della Germania (13,4 miliardi), addirittura sei volte la Francia (8,1), e la Polonia (7,3). Ma attenzione: sono soldi che vanno fatti fruttare, perché se circa la metà è a fondo perduto, il resto è a debito (seppur a interessi agevolati), che dovremo restituire entro il 2054. Domanda: li stiamo spendendo bene?

L’analisi della Corte dei conti europea
Nel corso del 2024 la Corte dei conti europea è andata a vedere come cinque Paesi tra cui l’Italia (gli altri sono: Danimarca, Francia, Lussemburgo e Romania), spendono i soldi del Pnrr. A marzo 2025 i magistrati contabili hanno pubblicato le loro conclusioni: «Nel complesso, il contributo alla transizione digitale è stata un’occasione mancata per rispondere efficacemente alle principali esigenze digitali». Per l’Italia sono stati esaminati sei progetti-campione. Il primo è quello dei 480 milioni di euro per la digitalizzazione delle Pmi gestito da Simest, la controllata di Cassa Depositi e Prestiti (vedi Dataroom del 15 maggio). In pratica, le aziende chiedono allo Stato i fondi necessari a realizzare i loro piani di innovazione, e se hanno le carte in regola possono incassare subito il 50% di quanto richiesto. Il problema è che poi nessuno controlla. Dice la Corte dei conti: Simest paga «indipendentemente dal fatto che il progetto venga o meno eseguito come previsto». Come funziona il meccanismo si capisce meglio con un esempio.
Carburante e cannoli
A marzo 2022 i titolari di un distributore di carburante con annesso bar-ristorante-tabaccheria di Gela, chiedono a Simest 300mila euro per sviluppare una piattaforma e vendere così on line e in tutto il mondo prodotti per auto e prelibatezze della tradizione siciliana. Un sito di e-commerce che mette insieme cannoli e filtri per auto dovrebbe essere quantomeno sospetto. A Simest invece piace moltissimo, e infatti senza batter ciglio versa sul conto corrente dell’azienda le prime due tranche da 90 e 60mila euro. Il saldo sarebbe arrivato a progetto concluso. A febbraio 2025 succede invece che i titolari dell’azienda finiscono indagati dalla procura di Gela per malversazione di fondi pubblici: stando alle verifiche della guardia di finanza avrebbero usato i soldi della transizione digitale per pagare i debiti. E del sito non c’è traccia. «Al di là del caso specifico, per il quale vale la presunzione di innocenza – spiega il procuratore Salvatore Vella – l’impressione è che lo Stato abbia fretta di spendere i soldi del Pnrr. Ma quando si fanno le cose in fretta, spesso si fanno male e senza le dovute cautele».

Errori di calcolo e ritardi
Fra i progetti esaminati dalla Corte dei conti europea c’è quello che punta a connettere alla rete ultraveloce 8,5 milioni di abitazioni. Ma c’è un errore di calcolo, e a dicembre 2023 l’obiettivo si riduce a 7 milioni (-18%). «È emerso chiaramente – scrivono i magistrati – che il numero effettivo di unità collegabili era inferiore alle stime iniziali». Altri due progetti, invece, finora hanno prodotto risultati limitati, e la relazione li definisce «nettamente inferiori all’obiettivo principale della misura». Entrambi fanno parte del piano per mettere «in cloud» la Pubblica amministrazione, e la sostanza è che ad aprile 2025 ben seimila enti (su 12mila) non sono ancora passati al sistema. Infine il progetto per rafforzare le sinergie tra imprese ed enti di ricerca: doveva essere chiuso già nel 2023, ma si è reso necessario posticiparne la conclusione al 2026.
Finora spesa meno della metà
I bandi che al loro interno hanno almeno una parte di progetti di digitalizzazione muovono complessivamente 66,5 miliardi di euro. Dal ministero per il Pnrr ci fanno sapere due cose. La prima è positiva: il 95% delle misure sono già state avviate. La seconda lo è meno: finora abbiamo sborsato 26 miliardi, significa che il 59% delle risorse – pur essendo legate a opere in corso – deve ancora essere speso. Di questa enorme mole di finanziamenti fanno parte anche gli 11,4 miliardi di euro gestiti direttamente dal Dipartimento della trasformazione digitale di Palazzo Chigi e assegnati al 90%. Dentro ci sono i 69mila progetti per la digitalizzazione della Pa finanziati con 3 miliardi di euro: a oggi la tabella di marcia concordata con l’Europa è stata rispettata ma sta di fatto che, a un anno dalla scadenza, la metà dei progetti non è conclusa, mentre il 15% deve ancora partire. Anche l’avanzamento del piano da 3,5 miliardi per portare internet veloce nelle aree remote è al 50%.

La lentezza non è una virtù
Dei cinque obiettivi, l’unico finora raggiunto è quello dell’identità digitale: oltre 50 milioni di carte di identità elettroniche emesse e 39 milioni di Spid attivati. Buoni progressi anche sul fronte dell’ attivazione del fascicolo sanitario elettronico e, per quanto riguarda le imprese, sulla diffusione delle competenze di base e della gestione dei dati. Ma il Digital decade report 2024 descrive l’Italia come un «potenziale inespresso». Questi i numeri: oltre la metà degli italiani ancora non ha le competenze digitali di base, e appena il 4% è specializzato in tecnologie per la gestione dei dati. Questo ci pone «come uno degli Stati Membri con i livelli più bassi di competenze», ovvero quintultimi in Europa: peggio solo i lettoni, i polacchi, i bulgari e romeni. Addirittura maglia nera assoluta per numero di laureati in materie tecnologiche. Infine solo il 5% delle aziende adotta le tecnologie informatiche più avanzate: siamo ultimi tra i Grandi, e sotto la media Ue, che è dell’8%. Questo al momento è lo stato dell’arte.