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 2025  maggio 07 Mercoledì calendario

Quando l’instabilità mentale fa grande il leader

Il dubbio immediato che sorge è il seguente: può un capo di stato affetto da turbe mentali governare una nazione? Ci si può fidare di un leader la cui esistenza quotidiana è intralciata da disturbi dell’umore i più diversamente catalogabili? La risposta di Nassir Ghaemi, professore di Psichiatria alla Tufts University School of Medicine e alla Harvard Medical School di Boston è, sorprendentemente sì. Non è tutto.
A parere dello scienziato una salute mentale a tratti instabile, una depressione, un disturbo bipolare, uno spettro autistico, finanche qualche grammo di psicosi possono non solo non intralciare le capacità di gestione della cosa pubblica ma addirittura renderla migliore soprattutto nei momenti di crisi. Ghaemi mette nero su bianco la sua peraltro contestata teoria in un saggio di grande interesse Una straordinaria follia. Storie di disturbi mentali dietro a grandi leader ( Apogeo, 332 pagine, 25 euro).
Il volume prende spunto dalle carriere e dalle vicende personali di alcuni uomini che hanno fatto la storia degli ultimi due secoli, gente come Lincoln, Churchill, Gandhi, Martin Luther King le cui patologie mentali non ne inficiarono affatto certe scelte vincenti. Il motivo? Le loro decisioni cruciali, a parere dell’autore, furono supportate positivamente dalla cosiddetta neuroatipia, una forma di anticonformismo radicale che nasce dalla diversità qualitativa nel ripensare i concetti ordinari.
«Probabilmente il più antico legame tra disturbo mentale e un tratto della personalità desiderabile è quello tracciato per la prima volta da Aristotele tra creatività e depressione – scrive Ghaemi –. Egli notò che i poeti avevano una tendenza a essere malinconici, una constatazione che molto tempo divenne poi saggezza convenzionale; il poeta depresso è uno stereotipo iconico. Ma la natura del legame (cosa causa cosa) è stata fonte di controversie, e pochi si sono chiesti come il disturbo mentale e la creatività possano essere collegati alla leadership».
Neuroatipico fu, tanto per fare un primo esempio, John Fitzgerald Kennedy. Quello che sarebbe diventato il più giovane presidente eletto negli Usa soffriva del morbo di Addison, una patologia del sistema immunitario che, nella sua latenza, lascia il paziente in una condizione di ipertimia, vale a dire un atteggiamento del tono affettivo che ha per conseguenza l’alternanza di stadi di euforia a momenti di melanconia. Quando l’ipertimia virava in direzione maniacale, JFK sconfinava nell’iperdinamismo. Era capace di ricevere, in un solo giorno, nello studio ovale, fino a cento persone oltre a produrre una mole elefantiaca di atti e provvedimenti. Ora, è il caso di dire che l’autore si basa su testimonianze storiche ma anche su prescrizioni farmacologiche e cartelle cliniche. Quelle di Kennedy, mostrano un abuso di steroidi anabolizzanti a base di testosterone per il loro effetto psichiatrico. Le dosi venivano aumentate, e accompagnate da anfetamine, nei giorni più impegnativi. Ebbene, quando nel 1962, i medici del presidente riuscirono a limitare l’abuso di steroidi, lo stato mentale e fisico di migliorò giusto in tempo per affrontare e risolvere la crisi di Cuba, quella che portò il mondo sull’orlo di una guerra nucleare.
E a proposito di presidenti a stelle e strisce. Fu la depressione a rendere Abramo Lincoln empatico verso il dolore altrui. Proprio nel 1841 rimase sconvolto alla vista degli schiavi incatenati su un battello a vapore. La scelta di battersi per l’abolizione della schiavitù deriva anche da questa accesa sensibilità. Empatico e depresso fu anche Ghandi, che da adolescente tentò il suicidio. Anche Martin Luther King era depresso e provò a togliersi la vita in due occasioni. I suoi colleghi e amici sostenevano che, a determinare la sua benedetta attività di reverendo, fosse la disperazione. Fu per questo che gli consigliarono di rivolgersi a uno psichiatra. Ma King non credeva alla malattia mentale e rifiutò il consiglio. Pensò piuttosto a sfruttare la sua rabbia per combattere in favore dei diritti civili.
E finiamo con il più depresso dei depressi: sir Winston Leonard Spencer Churchill, il più grande premier del Regno Unito degli ultimi due secoli. La follia fu il drammatico convitato di pietra della famiglia Churchill. Il padre di Winston, Randolph, ne morì così come la figlia del futuro primo ministro, Diana, che si uccise con una overdose di barbiturici.
Churchill era perfettamente consapevole di essere vittima della depressione. Ne parlava espressamente definendola «cane nero. Ma la depressione non era tutto. Lo aggredivano, non infrequentemente, anche sintomi maniacali. Era estroverso e non di rado impulsivo. La forza esplodeva di notte, quando, in accappatoio svolgeva gran parte del suo lavoro e dettava i suoi libri. Churchill si difendeva con gli alcolici ma anche con le anfetamine prescritte da Lord Moran, il suo medico. La depressione, sostiene Ghaemi, rinforzata dal suo carattere energico lo aiutò tuttavia ad avere ragione della Germania di Adolf Hitler.