Il Messaggero, 7 maggio 2025
Intervista a Micol Di Segni
Il mondo di Micol Di Segni è plasmato dalla lucida follia che guida la mano di alcuni artisti. E, in fin dei conti, i campioni dello sport artisti lo sono, a modo loro. La differenza, semmai, sta proprio nella mano. Che, nel caso di Micol, non distribuisce pennellate o colpi di scalpello, ma ceffoni. Pizze, per dirla alla romana e come dice lei, che di Roma è figlia. Dopo un percorso di altissimo livello nelle MMA, che l’ha portata al titolo mondiale da dilettante, prima, e ai palcoscenici internazionali del professionismo, poi, l’astronave Di Segni è atterrata a Las Vegas, destinazione Power Slap. Prima atleta del nostro Paese, uomini compresi, a debuttare nel relativamente nuovo e sicuramente chiacchierato progetto del guru Dana White. Due atleti, uno di fronte all’altro, e tre schiaffi a testa per vincere l’incontro, come lei ha fatto al debutto contro l’americana Chelsea Dodson. «Ma non cominciamo con la storia che è una cosa pericolosa perché i colpi non vengono difesi».
Be’, non è nemmeno una passeggiata di salute, però...
«Partiamo dal presupposto che la mia difesa è sempre stata pessima. I miei amici dicono che ho costruito una carriera stoppando i pugni con la fronte. Quando faccio sparring in allenamento e soprattutto durante gli incontri di MMA prendo una quantità di pugni infinita. Mi viene da ridere quando sento dire che il Power Slap non è sicuro».
Lo è?
«Innanzitutto sei in una posizione di ricezione che ti aiuta ad assorbire il colpo. E ci sono regole sulle modalità di attacco e difesa che riducono ulteriormente i rischi. Poi è vero che sono colpi che fanno male, ma ne prendi tre. Nella gabbia ne becchi cento a round. Quando tiri un calcio e ti incrociano con un diretto in bocca… Ecco, quello fa male… Anche perché non sei preparato ad assorbirlo. Ma la questione del trauma cranico e dei danni permanenti secondo me entra in gioco solo per gli uomini dai 70 chili in su, dove è capitato di vedere qualcuno andare giù. Fossi stata un omone di quelle categorie forse non l’avrei fatto. Ma per una donna di 57 chili, il rapporto costi-benefici è soddisfacente».
Quanto sono soddisfacenti i benefici?
«Mediamente uno zero in più di quanto ti soddisfa un match di MMA».
Micol Di Segni, prima italiana a gareggiare nel Power Slap
Non sarà stato solo questo a convincerla a fare il salto?
«Macché. Era un mondo che non conoscevo. A settembre stavo preparando un match, ma mi sono infortunata alla spalla sinistra. Un mio compagno di allenamento mi dice: “Hai visto i video del Power Slap? Prova a dare qualche pizza con la destra”. E giriamo un reel in cui gli do questo ceffone».
Che qualche mese dopo l’ha portata a Las Vegas.
«Dopo quel video ho iniziato a pensarci sul serio e ho chiesto al mio manager di informarsi. Avrei potuto debuttare già il 6 dicembre ma non è arrivato il visto. E così è slittato tutto a marzo».
La data storica è il 7 marzo. L’Italia debutta nel Power Slap.
«Verdetto unanime. È andata bene. Il contratto prevede adesso altri tre incontri. Poi vedremo».
Sui suoi profili social, sotto i video del match, ci sono i commenti della Dodson: «Ci siamo proprio divertite». Ma non vi stavate prendendo a ceffoni?
«Sì, ma ci conosciamo da una vita. Mi sono allenata per tre anni ad Albuquerque e il mio sparring era suo marito. A Las Vegas dovevamo essere serie ma ci veniva da ridere. Lei di professione è una cookie baker, è una maga dei biscotti. Mi ha promesso che al prossimo evento me li porta».
Dopo il terzo schiaffo le ha urlato il «Why so serious?» di Joker. Si sente come lui?
«È stata una citazione non voluta. Avevo davvero quella domanda in testa. Perché vedevo, anche da parte del suo staff, tutta questa mimica, le imbruttite, il trash talking… E pensavo: tesoro mio, io vengo dalla guerra nelle gabbie. Qua ci diamo tre ceffoni a testa ed è finita».
Nella vita reale è mai stata costretta a dare qualche schiaffo?
«Una volta, ai tempi dell’Università. Frequentavo un ragazzo che mi diceva un sacco di bugie. Scoprii che aveva un’altra, gli tirai un pizzone davanti a tutti e poi lo stesi con un calcio. Dissi agli amici “andatevelo a riprendere”».
E schiaffi dalla vita ne ha presi?
«Come tutti. Metaforici e non. La regina di quelli veri è mia madre. Anche prima di partire per Las Vegas ha voluto darmene uno. “Così vedo se sei pronta”, ha detto».
Quando ha cominciato a “essere pronta”?
«Tardi, dopo i 20 anni. Da bambina ero diversa. Una principessa: non mi sporcavo, non facevo sport, ero vestita sempre tutta carina. Dalla Balduina, dove sono nata, a Ponte Milvio, dove vivo ancora adesso: la pariolina con la Smart perfetta».
Tatuaggi e piercing quando sono comparsi?
«Alle superiori è iniziato il mio periodo punk. Prima i piercing, poi ho cominciato a lavorare in uno studio per tatuaggi. E sono arrivati anche quelli».
E dello sport ancora nulla...
«È arrivato per caso: avevo iniziato a fare la modella tatuata con le SuicideGirls e dovevo tenermi in forma. Il proprietario dello studio di tatuaggi aveva un fratello che gestiva una palestra. Ho iniziato da lui e sono rimasta folgorata: è ancora nel mio staff».
Ha preso a schiaffi anche gli stereotipi sulla bellezza?
«Gli sport da combattimento sono perfetti per l’empowerment femminile. Ho sempre giocato con l’estetica, ma non per mostrarmi femmina o femminile. Piuttosto per far capire alle ragazze che possono fare ciò che vogliono, anche la cerimonia del peso di un incontro di lotta con i tacchi, il completino carino e le treccine colorate. Mi piacerebbe se, attraverso il coraggio che si acquisisce combattendo, le ragazze potessero creare un proprio stile, e piacere per questo».
Lei sente di esserci riuscita?
«Ho fatto la modella di nudo, poi sono andata ad allenarmi in Sudafrica dove i diritti di molte donne vengono calpestati. Sono andata a combattere, da modella tatuata con i completini succinti, in posti dove le donne vengono vendute, infibulate. Lo sport mi ha dato visibilità e per alcuni messaggi è stato un megafono importante».