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 2025  maggio 07 Mercoledì calendario

Con "Ranch" Salmo fa il cantautore «Chi usa l’autotune vi prende in giro»

«La maggior parte dei rapper? Si esibiscono con le basi e l’autotune. E cantano pure in playback. Non sanno scrivere né cantare». Parola di Salmo, vero nome Maurizio Pisciottu, 40 anni, un passato da metallaro, da tempo uno dei rapper italiani più coraggiosi e temuti – dai colleghi – in circolazione. Venerdì esce il suo nuovo album, Ranch, «come il rifugio nel quale ho sentito il bisogno di isolarmi, sparendo anche dai social, un freno per la creatività, per rimanere lontano dal mondo ad affrontare i miei demoni». Contiene 16 pezzi con i quali la voce di 90 min mischiando rap, rock, cantautorato, elettronica e pure musica popolare (in On Fire campiona l’Ave Maria Catalana di Maria Carta, in Titoli di coda omaggia invece Donatella Moretti e la sua L’abbraccio), si conferma come un fuoriclasse capace di cambiare le regole del gioco alzando ogni volta l’asticella.
Quali erano questi demoni?
«Dopo oltre venticinque anni di carriera e aver prodotto così tanta musica, mi sono chiesto: “Perché devo continuare?”. Avevo bisogno di trovare motivazioni, delle cose da raccontare».
E dove le ha trovate?
«Scavando dentro di me. Non sono più un ragazzino: ora ho 40 anni. L’età giusta per tracciare una linea. Ranch è un disco che suona come un bilancio. Mi sono riscoperto anche cantautore: la mia musica sta evolvendo. Tra i brani dell’album ce n’è uno nel quale racconto un fatto privato».
Allude a “Crudele”, in cui racconta la vicenda di un bisnonno che “ha fatto a pezzi suo cugino e l’ha sotterrato in giardino” e che “girava col machete” pensando “ai tempi della guerra quando apriva il cranio dei tedeschi”?
«Sì. Una storia vera. Per mio padre, raccontare quella vicenda a me e a mio fratello è stata dura. Era da tempo che pensavo di farne una canzone».

Il linguaggio e i contenuti delle canzoni dei rapper sono tornati al centro del dibattito. Come risponde a chi sostiene che la censura sia necessaria per proteggere i più giovani da contenuti violenti?
«La gente dovrebbe dare meno peso alle parole dei rapper ed evitare di attribuirgli la colpa di quello che accade nel mondo. Se avessi dato retta a tutto quello che ho visto e ascoltato, ora sarei in galera».
C’è omologazione nel rap italiano?
«Eccome. Io esco fuori dai cliché. Come quello dei dissing. Apro una nuova frontiera: in Titoli di coda disso, ironicamente, me stesso. Ai ragazzini dico di inventarsi qualcosa di nuovo».
Ha criticato l’autotune: “È la furbata del secolo. Come ha detto Elio, è un doping”. A Sanremo lo usavano quasi tutti. La gara era dopata, quindi?
«Sì. E dirò di più: quelli che difendono l’autotune sono quelli che non sanno cantare. Poi dal vivo sembrano degli idioti. E il playback è ancora più grave»
.
L’immagine di Ghali che al Concerto del Primo Maggio smette di cantare per un guasto al microfono, rivelando parte del playback, è la fotografia dello svilimento in atto nella musica italiana?
«Sì. Ma i ragazzini li puoi prendere in giro fino a un certo punto: al secondo o terzo concerto in cui ti sgamano, non vengono più a sentirti. Ai colleghi dico di imparare a cantare dal vivo».
"Da ragazzino non sopportavo la musica italiana”, ha detto in passato. Oggi?
«È quasi il contrario. Se avessi la canzone giusta andrei pure a Sanremo. Nella vita si cambia».

È vero che 2019 rifiutò 1 milione di euro per andare a fare il giudice a X Factor, come rappa in “Nurologia”?
«Vero. Forse non era il momento giusto».

Ora lo è?
«In questo momento no (il 6 settembre partirà dalla Fiera di Milano con il concerto-evento Lebonski Park il tour che poi a ottobre farà tappa nei palasport – a Roma il 21/10 – prima di una serie di show nei club europei, ndr). Magari tra un paio d’anni».