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 2025  maggio 07 Mercoledì calendario

Netanyahu torna al piano dei generali grazie al “sostegno” di Washington

Non è una novità. La «rioccupazione di Gaza» – decisa nel gabinetto di sicurezza di domenica seppure i termini sono ambigui – è un vecchio leitmotiv dell’ultra-destra israeliana. Il massacro perpetrato da Hamas il 7 ottobre ha dato «l’opportunità» – espressione utilizzata dalla leader del movimento più oltranzista dei coloni, Danielle Weiss – di realizzarla L’anno scorso, ad un certo punto, l’’ex capo del Consiglio di sicurezza nazionale, Giora Eiland, l’aveva sistematizzata e interpretata nel cosiddetto “Piano dei generali”, che prevedeva la creazione di una zona cuscinetto nell’estremità settentrionale dell’enclave. Per costringere i palestinesi riluttanti all’esodo, i soldati di Tel Aviv avrebbero dovuto impiegare l’arma della fame, mediante assedio prolungato e blocco degli aiuti. Scritto nero su bianco e diffuso dai media, il piano aveva creato un’ondata di critiche internazionali. L’Amministrazione Biden l’aveva definito inaccettabile e costretto Benjamin Netanyahu a una “mezza” smentita.
Alla fine, il cessate il fuoco aveva congelato l’iniziativa, mai abbandonata, però, realmente, dal governo di Tel Aviv. Con l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca, dunque, l’idea è rispuntata fuori, aggiornata al nuovo contesto.
Il focus dell’attenzione di Israele si allargato dalla porzione settentrionale al centro e sud della Striscia: l’escalation annunciata dal premier non è localizzata geograficamente a differenza della “battaglia del nord” di ottobre.
Proprio come nel “Piano dei generali”, la leva dei soccorsi è parte integrante della strategia bellica. Come già detto nel febbraio 2024, l’esecutivo vuole trasferire il controllo delle operazioni umanitarie – al momento gestite dall’Onu e dalla rete di agenzie e organizzazioni presenti sul territorio – a compagnie private di contractor. L’ipotesi iniziale di affidarlo alle forze armate israeliane era stata scartata dall’inizio per minimizzare il rischio derivante da contatti con i locali. Si è puntato, così, sul “modello iracheno”, cioè il sistema, non proprio di successo, seguito dagli Usa dopo la caduta di Saddam Hussein, per separare i civili dai «combattenti nemici».
All’inizio dell’autunno – secondo quanto riportato da “Avvenire” – era circolato con insistenza il nome della società Global delivery company (Gdc) dell’israelo-statunitense. Moti Kahana, il quale si era disposto a portare a Gaza l’esperienza maturata proprio in Iraq, oltre che Afghanistan, Siria e Ucraina. Come in quest’ultima, Gdc avrebbe proposto di lavorare insieme a Constellis, erede della controversa Blackwater. Proprio come il progetto di Moti Kahana, il piano presentato da Netanyahu parla di trasferire i gazawi in “comunità recintate” in cui verrebbero dati loro cibo, cure mediche, acqua. La libertà di movimento sarebbe garantita grazie a esami biometrici da fare a ogni entrata o uscita, in modo da escludere la presenza di truppe di Hamas.
Certo, la proposta di Gdc prevedeva un esperimento-pilota a nord. Stavolta, invece, le “bolle umanitarie” sarebbero create intorno a Khan Yunis. A rifornirle sessanta convogli al giorno provenienti da Kerem Shalom,, un decimo di quanti vi arrivavano prima della guerra. Le principali organizzazioni umanitarie, inclusa l’Onu, hanno subito bocciato l’idea. Stavolta, però, Washington sembra entusiasta. «Una soluzione creativa. Gli abitanti di Gaza meritano di stare meglio», ha dichiarato ieri il dipartimento di Stato Usa.
Qualche ora prima, una dichiarazione analoga era stata espressa da Donald Trump. «I gazawi hanno diritto a una vita degna. Hamas li affama», aveva detto il presidente ripetendo in sostanza il ritornello di Netanyahu all’Assemblea Onu di settembre: «I terroristi continuano a controllare Gaza rubando il cibo che, con il nostro permesso, le agenzie internazionali portano dentro. Hamas ruba il cibo, ingozza i suoi uomini e rivende il resto a prezzi esorbitanti. È così che resta al potere».
Oltre i dubbi etico-giuridici riguardo all’opportunità di appaltare il controllo di pezzi di territorio a dei contractor, il piano lascia un enorme nodo irrisolto. Posto che in questo modo, i soldati di Tel Aviv riescano effettivamente a distruggere Hamas, chi amministrerebbe le porzioni di Striscia al di fuori delle “bolle”? Potrebbe trattarsi di avamposti militari per combattere le sacche di resistenza. Ma non si esclude l’opzione di nuove insediamenti. Entrambi i casi tagliano fuori l’Autorità nazionale palestinese (Anp), la comunità internazionale e i vicini Arabi, allontando ancor più la possibilità dei due Stati.