Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  aprile 29 Martedì calendario

Si sono messi tutti a scrivere, anche mia madre

Mia madre – e qui dico mia madre per puro artificio, ma non sto realmente parlando di lei, anzi prego ognuno di trovare l’esempio più adatto per sé – non ha mai dovuto usare una scrittura “artistica” nel suo lavoro. Aveva bisogno di scrivere ogni tanto, come capita in moltissime professioni, e dunque aveva bisogno di esprimersi correttamente, ma la sua scrittura doveva limitarsi alla comunicazione di dati e informazioni e ha sempre dovuto usarla solo per quello scopo.
Era un’abilità anche quella, naturalmente: sapersi spiegare con chiarezza, cercare il punto senza girarci attorno, non commettere errori di grammatica non sono affatto capacità scontate, ci mancherebbe.
Ma se le avessi chiesto quand’era stata l’ultima volta che si era cimentata con un compito anche solo vagamente letterario avrebbe risposto “il tema alle scuole superiori”. E dopo la scuola giusto qualche cartolina, qualche biglietto d’auguri o d’accompagnamento a dei fiori, forse qualche lettera, segretissima, d’amore. Di sicuro non altro.
Con questo voglio dire che per almeno quarant’anni non ha usato la scrittura per parlare dei film che le piacevano, né per criticare un’iniziativa del governo, né per lamentarsi con un parente di una frase che l’aveva messa di cattivo umore, men che mai per suscitare emozioni o descrivere le proprie. Si emozionava e provava sentimenti al pari di ogni altro essere umano, ma quando aveva voglia di entrare in relazione con qualcuno ci parlava. Tranne rarissime occasioni non scriveva. E, soprattutto, non si poneva mai il problema di come scrivere per catturare l’attenzione altrui.
Come tutti del resto.
Questo controllo di sé ha tenuto fino a che non è arrivato l’sms e, subito dopo, molto rapidamente, WhatsApp, le app di messaggistica, le chat online, i social network, tutti quanti assieme. All’inizio usava anche quelli solo per le comunicazioni – a che ora arrivo, a che ora arrivi, mi compri questo per favore, puoi passare a ritirare quest’altro – ma poi, poco alla volta, l’uso è cambiato. Ha cominciato a dire cose che non voleva dire guardando in faccia il destinatario, poi a dire cose che sperava che, in forma scritta, sarebbero state più efficaci e memorabili, quindi cose e pensieri che le passavano per la mente quando non voleva attendere un secondo momento per dirle di persona. Fino a oggi, quando ormai ha più fiducia nella sua capacità di comunicare scrivendo piuttosto che parlando.
Si potrebbe pensare che, in fondo, fossero le stesse cose che avrebbe detto a voce, però scritte. Solo che non è affatto così. In pochi anni è cambiato proprio il suo modo di esprimersi e, un po’ più a monte, anche di pensare. Ha cominciato a usare parole e formule che non usava e ha cominciato a sentire la necessità di dire cose a cui prima non dava peso o che lasciava cadere. Ha indurito un carattere che era molto più morbido per colpa di ciò che scrive, perché puoi anche pensare che al governo ci siano dei ladri o una tua amica ti abbia fatto uno sgarbo, ma, se lo scrivi e lo fissi, cambia totalmente la convinzione che hai di quei pensieri che, da estemporanei e di passaggio, prendono forma. A quel punto, infatti, si è sentita obbligata ad articolare e dispiegare un pensiero che prima non aveva parole. Così ha cominciato a pensare che certe cose fossero “vergognose” e che altre fossero “strazianti” e altre ancora “ignobili”, scrivendolo anche di cose che fino al giorno prima considerava, tutto sommato, trascurabili. Solo perché doveva trovare necessariamente una parola eccessiva, nella speranza di colpire il suo interlocutore. Questo sforzo di articolare per iscritto dei pensieri, uno sforzo che, ribadiamolo, per quarant’anni non aveva praticamente mai fatto, l’ha cambiata. Le cose che scrive l’hanno ridefinita a tal punto che adesso la sua identità parte da ciò che ha scritto: si definisce, infatti, su ciò che scrive, prima ancora che su cosa fa. E le persone che incontra fanno altrettanto con lei, cioè si aspettano che in carne corrisponda a quanto scrive. E si stupiscono quando non accade.
E così spende ore della sua giornata a scrivere. Rilegge lentamente i suoi lunghi messaggi e li rifinisce con cura. Se l’argomento non la imbarazza legge ad alta voce e chiede consiglio a chi le sta intorno – come fossero degli editor – anche se questo le costa lunghissime premesse sul contesto, di scarso interesse per l’interlocutore chiamato a consigliarla.
Non è stata l’unica persona a cambiare così.
Ovviamente anche parlando riesce a comunicare, ma non la gratifica altrettanto. Perché le piace quando crede di aver ottenuto un effetto con la scrittura e ci prova con tutte le armi che ha a disposizione. Non pubblica i suoi testi su carta o online e non si percepisce come una Scrittrice, ma non conta, perché lo è già: ha già un pubblico, cerca di soddisfarne le aspettative e di ricevere il suo apprezzamento. Studia istintivamente ciò che piace al suo pubblico e prova a non deluderlo. Dedica parte del proprio tempo a lavorare per i suoi lettori e l’impressione è proprio che la gratificazione che riceve da loro le regali i momenti migliori della giornata. Non scriverà mai un libro, ma è già una Scrittrice.
Vive ogni esperienza e prova ogni emozione pensando – già mentre le vive – a come potrà poi raccontarle. Se non è una Scrittrice lei, allora chi?
Tratto da “E anche scrittore. Come ci siamo messi tutti a scrivere” (Utet), di Arnaldo Greco, pp. 180, 18€