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 2025  maggio 06 Martedì calendario

Intervista a Sandro Bondi

Appare dimagrito, specie se messo a confronto con i due elefanti che ha accanto nella foto scattata in Thailandia a gennaio. Sulle prime, rifiuta l’intervista: «Ho scelto da tempo di farmi dimenticare. Compito non facile». Infatti. Lo ritrovo a Novi Ligure, dov’è direttore artistico del teatro Marenco. «Ho accettato l’incarico, gratuitamente, è ovvio, per dare un contributo alla comunità di cui faccio parte», e pronuncia l’avverbio come se in Italia fosse davvero una condizione naturale. «Pur privo di competenze specifiche, cerco di adempiere all’impegno con serietà. È un teatro bellissimo, ottocentesco, restaurato grazie anche all’intervento del ministero dei Beni culturali». Nessun accenno al fatto di essere stato a capo di quel dicastero nel governo Berlusconi IV.
Con la politica ha chiuso.
«È un mondo che non mi appartiene più».

Abita a Novi Ligure per amore di Manuela Repetti?
«Sì. Ormai viviamo insieme da circa 15 anni. Siamo felici. Ci eravamo conosciuti in Parlamento. Entrambi ci siamo reinventati la vita».

Che cosa l’ha conquistata di questa donna?
«La sua estrema sensibilità e intelligenza. La sua sincera compassione per tutti gli esseri viventi. Passando gli anni, è naturale che il pensiero della morte mi attanagli. Ma quello che più mi angoscia è l’idea di non rivedere più, mai più, le persone care che ho amato, a partire da mio figlio Francesco, da Manuela, dai miei genitori».

Suo padre Renzo era un operaio, sua madre Maria Bertoli una casalinga.
«Il babbo lavorava in una cava di pietra in Svizzera, poi ha fatto il pavimentista. Sgobbava tutto il giorno per non far mancare nulla alla famiglia. Un uomo forte e coraggioso. Ho sempre sofferto per il fatto di non essere come lui».
Per quale motivo nel 2018 si è ritirato a vita privata?
«Avvertivo di aver preso parte attiva in un progetto politico di cui non è rimasto quasi nulla e che non ha migliorato il nostro Paese».
Conobbe Silvio Berlusconi attraverso lo scultore Pietro Cascella, che gli stava preparando il mausoleo nel parco di Arcore.
«Ho vissuto con il Cavaliere anni di lavoro appassionato. Mi restano molti ricordi. Belli e meno belli. Era un uomo estremamente complesso, indecifrabile anche per me che avevo un rapporto molto stretto e profondo con lui».
Si racconta che Berlusconi le abbia detto al vostro primo incontro: «Come può una persona intelligente quale è lei essere comunista?».
«No, disse “una persona perbene”».
Quante ore passava ad Arcore come suo collaboratore?
«Tante, senza limiti».
Lo seguiva nei viaggi?
«Quasi mai. Avevo il terrore dell’aereo. Una paura che mi ha impedito incontri importanti nei miei ruoli politici e di governo. Poi, con pazienza e volontà, insieme a Manuela ho superato l’handicap».

Aveva l’ufficio a villa San Martino. Mangiava lì? Le capitava anche di dormirci?
«Sì, ci pranzavo quasi sempre, nei giorni di lavoro. Ma non vi ho mai dormito. La sera tornavo a casa mia».
Mi dicono che l’hanno avvistata di recente ad Arcore.
«O io ho un sosia a mia insaputa oppure lei deve cambiare le sue fonti».
Nel panorama politico vede qualcuno che potenzialmente potrebbe raccogliere l’eredità di Berlusconi?
«No. Parliamo di una personalità irripetibile».
Neppure Giorgia Meloni?
«Sono felice del successo della premier. Eravamo compagni di banco in Consiglio dei ministri. Ne ho ammirato la preparazione, la tenacia nello studio di ogni singolo dossier, l’amabilità nei rapporti personali. Sta lavorando molto bene. L’Italia con lei è in buone mani. Ma non stiamo parlando di Berlusconi».
C’è qualcun altro che stima sull’attuale proscenio?
«Antonio Tajani. Ha ereditato un partito personale e ne sta facendo un vero soggetto politico moderato. E poi Raffaele Fitto, uno dei pochi che proviene da Forza Italia. Con lui ho mantenuto un ottimo rapporto. Non è un caso che entrambi abbiano avuto rilevanti esperienze in Europa: sanno di che parlano. Anche per Gianni Letta nutro sentimenti di amicizia e ammirazione. Ha saputo mantenere la barra ferma in momenti cruciali, non solo per il governo ma per l’Italia».
Perché uscì da Forza Italia?
«Certe figure avevano espropriato il partito delle sue regole e della sua autonomia. Soprattutto ne umiliavano gli esponenti più seri».
Non era tenuto a schierarsi con Matteo Renzi, però.
«Intanto vorrei ricordare che fu Berlusconi per primo a siglare il Patto del Nazareno. Ho cercato di essere coerente, anche dopo l’uscita dal mio partito, per esempio sulla riforma costituzionale, inizialmente votata anche da Forza Italia. Ho ritenuto alcune idee di Renzi coraggiose, innovatrici, di stampo liberale e dunque le ho sostenute. Poi anche quel progetto, in cui molti italiani avevano riposto fiducia, è fallito».
Cosa pensa di Renzi oggi?
«Una delusione, sul piano sia politico che umano».
Di Elly Schlein che mi dice?
«La giudico una persona onesta, ma non condivido nessuna delle sue posizioni. La ritengo vaga su tutto, non assume mai una collocazione chiara, a cominciare dalla politica estera, in palcoscenici delicati come il Medio Oriente e l’aggressione della Russia all’Ucraina. Con Renzi il Pd aveva l’occasione di diventare un vero partito riformista, ma l’ha sprecata. L’alleanza con il M5S non è che l’epilogo di questa dissipazione».
Non avverte mai nostalgia per la vita in Parlamento?
«No, per nulla. Ci ho passato quasi 20 anni. Più che sufficienti».
E per il ministero della Cultura?
«Ancora meno. Non è un’esperienza che ricordo con piacere. Ogni cosa che accadeva veniva strumentalizzata. L’esempio più eclatante fu il linciaggio mediatico e la richiesta di sfiducia per il crollo di un piccolo muro a Pompei, causato dalle forti piogge».
Vittorio Sgarbi la capirebbe. Ha sue notizie?
«Manuela e io gli abbiamo mandato un messaggio attraverso la sorella Elisabetta. Forse il vero uomo Vittorio, quello che cerca il mistero della vita attraverso l’arte, è lo Sgarbi che oggi sta soffrendo. Spero che possa sanare le sue ferite e rinascere».
Qual è il peggior difetto per un uomo?
«L’avarizia, anche nei sentimenti».
Di lei Vittorio Feltri ha scritto che è un cattolico di fede profonda. Si è laureato in filosofia con una tesi su frate Leonardo Valazzana da Fivizzano, predicatore agostiniano passato alla storia come colui che diede lettura della bolla che scomunicava Girolamo Savonarola.
«La mia fede non è affatto profonda. Anzi, a ogni giorno che passa è sempre più fragile. L’episodio della mia tesi, che lei cita, insegna quanto la storia della Chiesa sia complessa, anche oggi».
Come le piacerebbe essere ricordato, un giorno?
«Come un uomo normale, con le sue paure. Bisognoso di ricevere e di dare amore»