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 2025  maggio 06 Martedì calendario

I Farnese e i papi dell’aristocrazia romana. La lezione della Chiesa che resiste a se stessa

Chi, in questi giorni di Conclave – un Conclave che s’annuncia, giorno dopo giorno, sempre più problematico – s’interroga sulla crisi e sul destino della Chiesa dopo Francesco, in un’epoca di secolarizzazione, scontri militari e di religione, blasfemie, forse dovrebbe fare un salto nel passato. Per comprendere come anche di fronte ai passaggi più difficili della sua storia, la Chiesa sia riuscita sempre a ritrovare il senso di se stessa e del suo ruolo, ad onta di ogni difficoltà e pessimismo che accompagnavano i momenti più bui. Può aiutare a capire la lettura di un recente e prezioso libro della storica Gigliola Fragnito (Un fanciullo licenzioso, Il Mulino Saggi, 166 pagine, 18 euro), dedicato alla storia e all’educazione di Ranuccio Farnese, nipote di Papa Paolo III, “regnante” dal 1540 alla morte, nel 1549, e passato alla storia, tra l’altro, per aver autorizzato la nascita della Compagnia di Gesù, da cui proveniva anche Bergoglio.
Il ‘500 è il secolo della Chiesa in cui esponenti delle più ricche e importanti famiglie aristocratiche della Capitale si disputano il papato come se nessun altro potesse aspirarvi, in una competizione che ha per sfondo i colli dell’agro romano che si estendono tra Valentiano, Gradoli, Caprarola, Frascati, terre di castelli riadattati a dimore principesche e di pastori. Così è anche per Alessandro Farnese, nato nel 1468 a Canino, nella sponda meridionale del territorio, padre sfortunato di Pierluigi, che morirà assassinato nel 1547, dopo essere stato scomunicato, malgrado si tratti del figlio del Papa, per un’orrenda violenza consumata in pubblico. Paolo III è nonno di due nipoti: Alessandro, che portando il suo nome civile aspira alla successione, e Ranuccio, il prediletto un po’ viziato che dà il titolo al libro, e con un inammissibile gesto di nepotismo che metterà a rumore il vertice della Chiesa, verrà nominato cardinale a soli 14 anni. Un bambino difficile fin dalla più tenera età, quando preoccupa la madre, donna Girolama Orsini, perché non riesce a liberarsi dalle «escrezioni urinarie notturne», segno già allora di disagio psicologico, e dal desiderio, da adolescente, di dormire con altri ragazzi con cui si lascia andare al «vizio nefando» della sodomia.
Si è in un periodo in cui ai preti, ai vescovi, ai cardinali e di conseguenza ai Papi, oltre ad essere consentito di sposarsi e avere famiglia, è richiesto di far fronte a «guerre, imboscate, tumulti, sommosse popolari, tirannicidi, congiure e lotte tra fazioni»: sfide che richiedevano adeguate preparazione e formazione, l’"institutio principis” per la quale venivano chiamati i migliori precettori. Un’educazione, non solo al governo e, se necessario, alle arti belliche, ma anche alla cultura, alla diplomazia, al discorso pubblico e al negoziato economico, indispensabili per evitare i conflitti. E questo all’interno di un perimetro, l’aristocrazia papalina del tempo, in cui tutti più o meno si conoscevano e gareggiavano a ottenere favori dal pontefice. La storia di Ranuccio Farnese è emblematica perché mette insieme le caratteristiche e i limiti di un’organizzazione che magari reggerà per altri tre secoli, ma poi dovrà cedere lo scettro al Risorgimento e alla fine del potere temporale. Ma intanto, per altri trecento anni, resisterà.
Rivediamo Ranuccio ragazzo in Veneto, dov’è stato inviato per allontanarlo da Roma, «sentina di tutti i vizi», e dove sarà ricevuto dal Doge con un’accoglienza dal lusso incomparabile, «per l’abondanza de’ le vivande, la copia de’ vini, la divizia de’ le confezioni, la ricchezza degli argenti, lo splendore degli apparati, la giocondità dei balli, il corso de le barche, la quantità dei doni (…), la rifragranzia degli odori, l’armonia dei canti e i tuoni de l’artigliarie». La descrizione del ricevimento la si deve ad Alessandro Manzoli, “governatore” del ragazzo irrequieto che presto, con smacco del clero veneto, sarà nominato vescovo di Verona. Sarà allora – è sempre Manzoli a testimoniare, nella sua frequente corrispondenza con il Papa – che si renderà conto dello stato effettivo della diocesi: «Chiese robbate, preti scelerati e traditori», e soprattutto, un’endemica mancanza di soldi a cui le avide Gerarchie locali avevano pensato di rimediare ospitando il nipote del Papa e attirandolo con il lusso del primo festeggiamento in suo onore.
Man mano che la personalità del giovane si consolida – essenziale a questo scopo è un discorso che tiene in latino davanti al nonno -, Ranuccio comincia ad assumere le sembianze di un papabile, sebbene poi non riuscirà a centrare l’obiettivo. La fine violenta del padre Pierluigi, dopo lo scandalo e la scomunica motivata dall’aggressione e dalla sodomia consumata in piazza contro il vescovo di Fano Cosimo Gheri, nuoceranno anche a Paolo III, che morirà, anche di dispiacere, prima di esser riuscito a preparare la sua successione come voleva. Lasciando il posto al cardinal Del Monte, Giulio III – subito contestato per le accuse di abusi sessuali, a quel tempo, sembra di capire, ricorrenti più di adesso – con cui i due fratelli Farnese avranno pessimi rapporti. E a cui – dopo il brevissimo papato di 22 giorni del cardinal Cervini, Marcello II – succederà Paolo IV, il cardinale e vescovo di Frascati Gian Pietro Carafa, con il quale invece i Farnese riusciranno a ricomporre, anche se la rivalità tra loro è ormai giunta a livelli inaccettabili e Ranuccio, pur di allontanarsi, accetterà le nomine a vescovo, prima a Nepi, paese famoso per la dolcezza delle sue fragole, poi ad Ancona e infine ad arcivescovo di Ravenna.
Il giovane inquieto al quale invano il precettore si era dedicato, pensando di istruire il futuro pontefice, è ormai preda di troppe nevrosi. A soli trent’anni la bulimia lo divora e chiunque vada a trovarlo ne annota, con una metafora, «la pinguedine», cioè l’eccessiva grassezza che presto, benché giovane, lo farà ammalare e lo porterà alla morte a soli 35 anni. Dettagli, questi, inseriti nel pregevole lavoro di ricerca della professoressa Fragnito, e qui sommariamente riassunti, insieme con la descrizione quasi giorno per giorno della vita del più giovane papabile di casa Farnese, grazie alla messe di pettegolezzi – il «chiacchiericcio» lo avrebbe definito Papa Francesco – che è possibile ricostruire dai documenti del tempo.
Intanto la vita della Chiesa, naturalmente, continuava. Dopo Paolo IV, verrà il cardinale Medici, Pio IV, che nel 1563 porterà a conclusione il Concilio di Trento e per questo verrà considerato un grande Papa. Circa due secoli e mezzo dopo, nel 1809, Napoleone ordinò la confisca di tutti i territori dello Stato Vaticano e l’arresto di Pio VII, il benedettino Chiaramonti. Al generale che lo prese in custodia per condurlo in Francia il Papa si rivolse così: «Se Napoleone pensa di distruggere la Chiesa, gli dica che è impossibile. Non ci siamo riusciti noi, in tanti secoli, perché Dio non lo vuole!».