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 2025  maggio 05 Lunedì calendario

Intervista a Valentina Baldini

È sulle colline torinesi che Valentina Baldini, 44 anni, art advisor, ha scelto di tornare dopo anni vissuti tra New York, Istanbul e Genova. E ha ideato le «cene informali», dove l’arte incontra il cibo. «Ma la mia passione è la psiche. l’analisi, il dettaglio, il perché delle cose»
È sulle colline torinesi che Valentina Baldini ha scelto di tornare, dopo anni vissuti tra New York, Istanbul e Genova. E ha ideato le «cene informali» nella sua casa con amici e collezionisti, dove l’arte si incontra con il cibo, la bellezza con la curiosità. Valentina, 44 anni, art advisor, due gemelli, un cane e un marito che tutti conoscono: Andrea Pirlo. Ma oggi, qui, il campo è un altro. È quello delle emozioni, della creatività, dei talenti che hanno bisogno di voce. E Valentina ha scelto di diventare questa voce.
Che ragazzina era, Valentina, da bambina?
«Sembra strano, ma da ragazzina frequentavo i centri sociali. Era la Torino delle squat house, come il Deltahouse, il Prinz Eugen... Mi sentivo bene lì, tra persone diversissime. Ho imparato presto che la diversità non è un peso, ma un’opportunità. Ed è questo che voglio trasmettere ai miei figli».
E poi nella vita è arrivato l’amore con il campione. Com’è stato conciliare la propria identità con un ruolo pubblico così esposto?
«Andrea l’ho incontrato che ero già una donna, non una ragazza con un cammino alle spalle. Questo ha fatto la differenza. Ho sempre tenuto molto alla mia identità, alla mia autonomia. Lui ha sempre rispettato e condiviso questo mio spazio».

L’arte invece quando è entrata nella sua vita?
«Prestissimo. Frequentavo il liceo linguistico a Rivoli e quando “tagliavo” (allora si diceva così), andavo al Castello di Rivoli. Ricordo ancora la prima mostra vista in autonomia: Keith Haring. Avevo 15 anni, magnifica. Poi alla maturità mi salvò Munch, non L’Urlo, ma un’opera meno nota, La Pubertà, fuori dal programma. Quella ragazza dipinta rappresentava tutti i miei dubbi. E da lì in avanti l’arte non mi ha più lasciata».
Dopo il liceo ha scelto psicologia. Una strada che però non ha concluso.
«No, ma la passione per la psiche è rimasta intatta. Io sono proprio malata di crime. Andrea all’inizio rideva, diceva: “Ma mi devo preoccupare?”. Poi ha capito che il mio è amore per l’analisi, per il dettaglio, per il perché delle cose».
E poi, la fotografia. Una passione diventata mestiere?
«Una vacanza, un click, e tutto è cambiato. Sono entrata allo IED per iscrivermi a un corso breve, ne sono uscita con una triennale in fotografia. Quegli anni sono stati bellissimi. È lì che ho capito che non sarei diventata un’artista. Credo che chi fa l’artista debba dedicare tutta la vita a quel mestiere. Sono persone molto egocentriche. Io non mi sentivo di farlo. Ma compresi che avrei potuto diventare una collezionista».
Il collezionismo come gesto d’amore verso l’arte. Qual è il suo genere?
«All’inizio la fotografia, perché era il linguaggio che conoscevo meglio. Ma amo profondamente l’arte italiana del dopoguerra: gli spazialisti, gli anni Cinquanta e Sessanta. Più che un genere o un periodo, colleziono ciò che mi tocca dentro, che muove una corda».
Oggi Valentina ha inventato un format speciale: le cene informali. Di cosa si tratta?
«È nato tutto da una domanda: cosa mi emozionerebbe fare, davvero? Ho pensato alle tante persone cui ho sempre dato consigli su cosa comprare, su quale artista seguire. Ho deciso di invitarle a casa mia. Una sera ogni due, tre mesi apro le porte del mio salotto, invito un artista, espongo le sue opere e le racconto. Le ho chiamate “cene informali”»
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Cosa si aspettano gli ospiti?
«Il format è sempre diverso. La prima è stata una cena seduti con lo chef Luigi Migliola del ristorante Bastimento, che ha preparato un riso al nero di seppia per omaggiare l’artista Joël Andrianomearisoa, un’altra volta abbiamo servito dei mini cannoli siciliani con le bacchette, ispirati a un’opera di Giuseppe Veneziano. Li ha preparati il team di Anna Fantini di Bananna Kitchen, un catering di trentenni tutto al femminile».
Le sue cene sono diventate un piccolo fenomeno. Cosa le rende speciali?
«Scelgo ogni dettaglio: il catering, l’allestimento, a volte perfino un piccolo show. Una volta ho invitato Mattia Villardita, il “vero” Spiderman, che porta gioia nei reparti pediatrici. Mi piace mescolare le cose: il serio e il leggero, il pensiero e il gioco».
Si considera una talent scout o propone artisti già affermati?
«Sono tutti artisti sulla quarantina. Sono già abbastanza affermati, ma non troppo, perché credo che quelli non abbiano bisogno di me. Poi faccio stampare dei libretti per i miei ospiti che ripercorrono i loro lavori, la biografia, le esposizioni e qualche opera scelta».
Vende anche le opere che presenta. Si trova in concorrenza con le gallerie?
«Assolutamente no, collaboro con le gallerie. Sono fondamentali mi aiutano molto. Alcune volte vendo, altre no. Di Joël abbiamo venduto un’opera a un fondo americano. Mi ha dato una bella botta di autostima, anche perché io investo economicamente sugli artisti».
Lei ha anche una pagina Instagram molto divertente con una rubrica sui gossip degli artisti.
«Mi piacciono molto le storie d’amore tormentate nel mondo dell’arte, come tra Cicciolina e Jeff Koons o tra Robert Mapplethorpe e Patti Smith o ancora tra Botticelli e la sua musa Simonetta Vespucci».
Alla fiera di Bologna ha attribuito dei premi agli artisti.
«Sì, con la mia amica Laura, una ragazza francese che ho conosciuto a New York, molto acuta e frizzante, abbiamo consegnato dei premi: il premio Sister dedicato a una donna, Rising per un emergente, Icon per l’opera che ci è piaciuta di più e Wow, il premio alla migliore galleria».
E Torino? Com’è il rapporto con questa città?
«Torino è storicamente culla di movimenti artistici, l’arte povera nasce qui, abbiamo tantissime gallerie, la settimana dell’arte la trovo meravigliosa. Ma è anche una città discreta, che si mostra a poco a poco. Vorrei che fosse più accessibile, più curiosa, più viva. In America, per esempio, le gallerie sono vetrine sulla strada. Qui, invece, spesso bisogna citofonare, essere invitati. Entrare, guardare e uscire, se non piace, aiuta anche molto l’aspetto critico delle persone, più cose vedi, più sviluppi il tuo spirito critico».
Il prossimo appuntamento?
«Vorrei fare una collettiva a fine maggio, non più a casa mia e non so ancora il tema, ma vorrei coinvolgere giovani artisti che sto già selezionando. Poi mi piacerebbe una trasmissione televisiva al mese, magari da Alessandro Bulgini di Flash Back, un luogo magnifico».