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 2025  maggio 05 Lunedì calendario

Netanyahu non cambia linea nonostante i sondaggi: «Distruggere Hamas è più importante dei rapiti»

Il primo ministro che voleva essere ricordato per aver estinto la minaccia della Bomba iraniana deve per ora mettere da parte questo capitolo della sua storia nella Storia, perché è l’amico Donald a voler essere ricordato per tutto e sembra privilegiare le trattative. Almeno finché durano i negoziati tra i consiglieri del presidente americano e gli inviati degli ayatollah, Benjamin Netanyahu non può mettersi in mezzo. Lo dimostra la smentita, secca e immediata, alla rivelazione del Washington Post: Bibi avrebbe incontrato Mike Waltz alle spalle di Trump per discutere di un possibile attacco congiunto ai siti nucleari sviluppati dal regime islamico e sarebbe stato proprio questo sgarbo a causare la retrocessione del consigliere per la Sicurezza nazionale ad ambasciatore alle Nazioni Unite. Il primo ministro nega tutto per evitare di essere anche lui degradato.
Le cifre
Compulsatore ossessivo dei sondaggi, quello pubblicato venerdì scorso dal quotidiano Yedioth Ahronoth, il più venduto nel Paese, gli ha messo sotto agli occhi cerchiati dalla tensione cifre sconfortanti. A questo punto gli israeliani considerano negativo il lascito del capo di governo più longevo nella storia del Paese, al potere per quattordici degli ultimi 16 anni: il 51 per cento dice che lo ricorderà per le responsabilità politiche e strategiche dietro ai massacri del 7 ottobre 2023; il 44 per cento per la corruzione (il processo contro di lui sta andando avanti); il 35 per cento per le divisioni ideologiche create nella società. Meno del 30 per cento per quegli accordi di Abramo – la normalizzazione dei rapporti con alcuni Paesi arabi – che nei suoi proclami dovevano inaugurare «il nuovo Medio Oriente».
Dall’ufficio a Gerusalemme – dove tiene i sei volumi di «La Storia della Seconda Guerra mondiale», è un appassionato lettore di Winston Churchill – ha forse guardato troppo lontano verso l’orizzonte globale. Quel che succedeva vicino – tra i palestinesi della Cisgiordania e nella Striscia di Gaza – gli sembrava superabile allargando la rete di relazioni regionali. Adesso associa la trasformazione del Medio Oriente a una sorta di conflitto permanente su più fronti, perché – come ha ribadito in questi giorni Israel Katz, il ministro della Difesa – «le atrocità commesse da Hamas ci hanno insegnato che l’esercito deve sempre controllare una fascia di sicurezza tra i cittadini e i nemici».
I fronti generali
La postura militare pretesa da Netanyahu e dai suoi alleati di estrema destra è offensiva. Sempre. Così le truppe restano dispiegate nel Sud del Libano e l’aviazione continua a colpire fino ai sobborghi di Beirut «per evitare che Hezbollah si rafforzi», nonostante la tregua con il gruppo sciita armato dall’Iran risalga allo scorso novembre. I soldati pattugliano alcune aree all’interno della Siria dopo la caduta di Bashar Assad e i jet hanno colpito vicino al palazzo presidenziale abbandonato di corsa dal dittatore, anche se il nuovo inquilino Ahmad Al Sharaa vagheggia di una possibile intesa con Israele. Netanyahu ha ordinato i raid come segnale in difesa dei drusi siriani attaccati dalle milizie sunnite al potere, non aveva però mai dato l’ordine di bombardare dalle parti della residenza a Damasco durante i quattordici anni di guerra civile.
Devoto allo slogan della «vittoria totale» su Hamas, ha appena deciso di mobilitare con urgenza migliaia di riservisti e ha dato indicazioni allo stato maggiore di prepararsi a un’incursione ancora più massiccia a Gaza di quella rinnovata 50 giorni fa: in quasi diciotto mesi di guerra i palestinesi uccisi hanno superato i 52 mila e da due mesi nei 363 chilometri quadrati non entrano aiuti umanitari per il blocco imposto dall’esercito. Le famiglie degli ostaggi ancora tenuti dai terroristi – 59, tra loro meno di 24 in vita – protestano ogni giorno assieme a migliaia di israeliani per chiedere il ritorno alla tregua che permetta il ritorno a casa degli amati. Giovedì sera, alle cerimonie per il giorno dell’Indipendenza, Bibi ha chiarito quello che era già brutalmente chiaro: «Sconfiggere Hamas è più importante della liberazione dei rapiti».