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 2025  maggio 05 Lunedì calendario

Putin apre la “sua” cucina e si fa intervistare davanti al frigo tra i prodotti del discount

Le segrete stanze di Vladimir Putin non sono più così segrete. Almeno a voler credere al documentario di un’ora e mezza andato in onda ieri in prima serata su Rossija1, ammiraglia della tv statale russa. Il presidente russo apre per la prima volta al giornalista di corte Pavel Zarubin le porte del suo appartamento privato al Cremlino dove ha dormito «per lo più negli ultimi tre anni». Da quando, è sottinteso, la Russia ha lanciato la sua offensiva contro Kiev o, dice lui, «è sostanzialmente sola nella sua resistenza all’intero Occidente».
L’atomica però non serve. «Volevano provocarci, volevano farci commettere errori. Ma non c’è stato bisogno di usare armi nucleari e spero non ce ne sarà in futuro. Abbiamo forze e risorse sufficienti per portare a una conclusione logica ciò che è stato avviato nel 2022 e ottenere il risultato che la Russia chiede». Parla di mezzi militari, non diplomatici. Non accenna né ai negoziati avviati dal presidente statunitense Donald Trump, né alla proposta di tregua di tre giorni respinta dall’ucraino Volodymyr Zelensky. Una «riconciliazione» con quella che definisce «parte ucraina del popolo russo» sarà «inevitabile» sì, ma «ci vuole tempo».

Come le interviste con Putin di Oliver Stone
Il documentario ricalca le celebri Putin Interviews di Oliver Stone diffuse in piena campagna presidenziale nel 2017. Stavolta il pretesto per la nuova operazione d’immagine sono i suoi primi 25 anni al potere. C’è chi li fa risalire al 9 agosto ’99 quando Boris Eltsin lo nominò premier o al 31 dicembre dello stesso anno quando lo designò presidente ad interim, ma il 7 maggio cadono i 25 anni dall’inaugurazione del primo mandato e la ricorrenza viene sfruttata per aprire la settimana delle commemorazioni dell’80° anniversario della vittoria sul nazismo e rimarcare il parallelismo con il conflitto in Ucraina.
Le (non più) “segrete stanze” di Putin
È dalla prima presidenziale vinta il 26 marzo del 2000 che si parte: 25 anni dopo, quando l’orologio a pendolo rintocca le 2, Putin tiene ancora un colloquio dietro l’altro. Riceve Zarubin che è oramai il mattino del 27 e lo porta nel suo appartamento a un tiro d’ascensore. Una palestra dove si allena «un’ora e mezza al giorno». Una biblioteca, due camere da letto e quella che chiama «chiesa domestica» dove s’inginocchiò per la prima volta a pregare per gli ostaggi del teatro Dubrovka nel 2002. Un salotto con un pianoforte a coda che suona «molto raramente», un ritratto dello zar Alessandro III e il camino attorno al quale sorseggiò tè con Bill Clinton e Xi Jinping. La cucina.

«Che cosa posso offrirvi?», chiede da perfetto padrone di casa, indicando la scatola di «deliziosi cioccolatini bielorussi» avuti in dono da Aleksandr Lukashenko. Poi tira fuori dal frigo una bottiglia di kefir – «di Rjazan», notano i media – e, impugnate un paio di tazze bianche dalla credenza, invita Zarubin ad accomodarsi in sala da pranzo intorno a una tavola spartana con banane incellofanate, miele, macina-spezie, salsa di soia e tovaglioli di carta. Tutti prodotti russi? «Beh, certo. Quali se no?», risponde con orgoglio sovranista.
Il sito indipendente Agentsvo nota anche che i marchi sono tutti a favor di telecamera e provengono tutti dagli scaffali delle catene di supermercati più economiche come Perekriostok e persino da discount come Pjaterochka e Dixie: la salsa di soia Kikkoman da 889 rubli, 9 euro, l’aceto balsamico Casa Rinaldi da 557 rubli e i tovaglioli Zewa.
Alle pareti ci sono stucchi e specchi bordati d’oro, su una consolle un’icona del Cristo Salvatore Acheropita, ma nulla a che vedere con l’opulenza del segreto “palazzo” sul Mar Nero rivelata dall’oppositore oramai defunto Aleksej Navalny nel 2021 che provocò le ultime grandi proteste viste in Russia. Putin ci tiene a presentarsi come un leader che «respira la stessa aria di milioni di russi», sue testuali parole, non «un politico che siede e decide i destini». Un comandante-in-capo tutto casa, ufficio e chiesa.
Il perché del conflitto in Ucraina
Si parla quasi subito di Ucraina, come c’era da aspettarsi. Il leader del Cremlino non si discosta dalla sua consueta retorica. Perché non ha iniziato l’Operazione militare speciale già nel 2014? Perché allora «il Paese non era pronto per uno scontro frontale con l’intero Occidente». Ribadisce di essere «stato semplicemente costretto» ad annettere la Crimea per sostenerne la popolazione «altrimenti avremmo lasciato che la facessero a pezzi». Era «la cosa giusta» da fare pur essendo «scontato che sarebbe stata associata a serie difficoltà», le sanzioni. Che però non sono state un freno, ma un volano per riorganizzare l’economia. Come l’isolamento uno scudo. «Dopotutto, nel cuore della cultura occidentale, sia cattolica che protestante, il benessere materiale è sempre messo al primo posto. Non in Russia. In Russia si parla sempre di principio morale nel senso lato del termine».
Nel 2022 «non ci eravamo preparati in modo particolare» perché «cercavamo sinceramente di risolvere il problema del Donbass pacificamente. Ma si è scoperto che l’altra parte la pensava e agiva diversamente. Siamo stati ingannati». Una lezione importante. «Ne dovremo tener conto in futuro», a rimarcare la sfiducia in ogni tentata mediazione. Per Putin è il mancato riconoscimento a lungo termine dell’indipendenza e della sovranità della Russia da parte dell’Occidente che «dice una cosa e ne fa un’altra» che ha infine portato all’offensiva contro Kiev.
Quando nel febbraio 2022 annunciò l’Operazione militare speciale sperava nel sostegno della popolazione, anche se temeva il contrario. Ma «con il progredire del conflitto, il comune cittadino russo si è reso conto che l’oggi, il domani, la sua famiglia, la sua patria e il suo Paese dipendono da lui. Che lui è lo Stato profondo. È l’ultima linea di difesa. È come durante la Grande Guerra Patriottica», come i russi chiamano la Seconda Guerra Mondiale. Il parallelismo è chiaro.
“Ho sempre voglia di prendere a pugni qualcuno”
Non mancano gli aneddoti. Ha mai voglia di prendere a pugni qualcuno? «Sempre, ci convivo, ma lo combatto». Pentito di essere diventato presidente? «Mai», ma «penso sempre» a un successore. «Ma alla fine la scelta spetta al popolo. Pertanto, quando ci penso, e ci penso costantemente, penso naturalmente che dovrebbe emergere una persona, o meglio ancora più persone, affinché la gente abbia una scelta, che possano ottenere questa fiducia dai cittadini del Paese». Parole non casuali, osservano i commentatori: raggiunti gli obiettivi in Ucraina, il potere cambierà. Ma, come ha detto Putin, «ci vuole tempo».