Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  maggio 05 Lunedì calendario

Choc climatici, dipendenza da gas: il sud-mondo è in blackout seriale

Un maxi blackout ha lasciato al buio gran parte della penisola iberica la settimana scorsa. Mediapart ha raccolto le testimonianze di diversi portoghesi e spagnoli. Ai nostri giornalisti hanno raccontato il timore di rimanere senz’acqua, l’ansia per i propri cari, di cui non avevano notizie, e in particolare modo per quelli in condizioni di vulnerabilità, le lunghe file che si sono formate davanti ai negozi di alimentari. Gli abitanti di Lisbona, in Portogallo, non avendo più accesso alla rete Internet, si sono precipitati nei negozietti tenuti dalla comunità indiana, pakistana e nepalese, dove si trova un po’ di tutto, per acquistare radioline portatili a batterie: l’unica fonte di informazione nel bel mezzo del blackout è stata di fatto la radio pubblica portoghese. Spesso vittime di virulenti attacchi da parte dell’estrema destra portoghese, oltre che delle incursioni della polizia, queste comunità di esiliati stabilitesi a Lisbona si sono dunque rivelate utilissime in questa circostanza fuori dal comune, grazie alle loro piccole attività commerciali. Lo ha fatto notate anche l’attore e umorista portoghese Diogo Faro: “Sono stati essenziali per fornire radio o fare credito alle persone che non potevano comprarsi da mangiare perché non avevano contanti”, ha osservato. Questi gesti di solidarietà ricordano anche che l’esperienza del maxi blackout non è un’esclusiva della penisola iberica. Imprevedibili interruzioni di elettricità colpiscono infatti regolarmente i Paesi dell’Asia del sud, causate da ondate di caldo record. Tra il 14 e il 15 aprile scorsi, in alcune regioni del Pakistan, la temperatura è salita fino ai 49 gradi centigradi. A Nuova Delhi, in India, dove sono stati registrati cinque gradi al di sopra della media stagionale, la soglia dei 40 gradi è stata superata in diverse occasioni nel mese di aprile. “L’ondata di caldo estremo, insolitamente precoce, ha colto impreparate molte persone, che hanno dovuto far fronte a interruzioni di corrente durate fino a sedici ore, esacerbando l’impatto del caldo estremo”, si legge nel bollettino di ClimaMeter.
La piattaforma di collaborazione universitaria sul clima stima che “le anomalie di temperatura hanno raggiunto i +12 gradi centigradi” in Pakistan e in India. La stessa ondata di caldo eccezionale ha colpito anche Bassora, in Iraq. Nella metropoli, che conta due milioni di abitanti, sono stati registrati il 26 aprile 46,1 gradi centigradi. Il giorno seguente, il caldo soffocante ha investito la città di Dammam, in Arabia Saudita, con una temperatura di 47,6 gradi. Nel nord degli Emirati Arabi Uniti il termometro è salito fino a 46,6 gradi. Secondo gli esperti di ClimaMeter, il caldo sta “mettendo a dura prova i limiti umani, spingendo più lontano le soglie di sopravvivenza” e colpendo “in modo spropositato” le donne incinte e i bambini. Un rapporto dell’Unicef pubblicato nell’agosto del 2023 ha stimato che tre bambini su quattro in Asia meridionale sono esposti a temperature estremamente elevate, contro un bambino su tre nel resto del mondo. Sempre nel 2023, tre ricercatrici statunitensi hanno pubblicato uno studio in cui dimostrano che il numero di matrimoni forzati di bambini è in aumento a causa dei rischi climatici, soprattutto in India e Pakistan. Queste straordinarie ondate di calore sono alimentate dalla combustione delle energie fossili, che costituiscono ancora l’80% del mix energetico mondiale. Dietro questi eventi meteorologici estremi che colpiscono gli abitanti del Sud del mondo si cela sempre la dipendenza, ancora enorme, dei Paesi del nord del mondo dal carbone, dal petrolio e dal gas. Il 9 aprile scorso, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha firmato una serie di decreti volti a “potenziare” l’estrazione del carbone negli Usa, al fine di incentivare la produzione di energia elettrica ​ necessaria a sostenere il boom dell’intelligenza artificiale. Causa principale del riscaldamento globale, la combustione del carbone per produrre elettricità genera oltre il 40% delle emissioni mondiali di Co2.
Secondo un rapporto dell’Agenzia internazionale dell’energia pubblicato il 10 aprile, il consumo di elettricità da parte dei data center è destinato a raddoppiare entro il 2030, producendo emissioni di Co2 annue che nel 2035 potrebbero essere equivalenti a quelle annue della Francia. Nello stesso tempo, la Commissione e il Parlamento Ue hanno iniziato a smantellare i testi chiave del piano sul clima dell’Unione europea, che punta ad una riduzione del 55% delle emissioni entro il 2030. In Francia si stanno osservando i primi segni di un rallentamento nella lotta al cambiamento climatico, con un calo delle emissioni dell’1,8% nel 2024, rispetto al 5,8% dell’anno precedente. In un momento di ripiegamento nazionalista, la violenza dei fenomeni climatici subita da chi vive nel Sud del mondo ci ricorda che, dal Nord, l’impatto dei nostri stili di vita non sostenibili, cioè con un’impronta ecologica elevata, e della nostra inazione climatica, non conosce confini.