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 2025  maggio 04 Domenica calendario

Intervista ad Ambrogio Beccaria

L’uomo che ha attraversato da solo l’oceano Atlantico, dalla Francia alla Martinica, su una «barchetta» di sei metri e mezzo, è in realtà un ragazzo di 33 anni. Se le sue origini milanesi sono scritte nel nome, Ambrogio Beccaria, il suo destino ama le traiettorie imprevedibili: una laurea in ingegneria nautica, l’uzzo del mare aperto fin da bambino, la vocazione alle cose difficili («Nel 2013 con i risparmi messi da parte ho comprato quella barca, relitto di un naufragio, e da allora non ho mai smesso di veleggiare»).
Beccaria unisce competenza tecnica, coraggio, «pazzia» e resistenza a situazioni estreme: quello che serve per capire – e in certi casi guidare – il mondo attuale, ed è anche per questo che sarà uno degli ospiti di “Next”, l’evento di Ispi dedicato ai talenti del futuro.
Quanta follia ci vuole?
«Abbastanza. A vent’anni, con padre avvocato e madre fotografa, nessun legame con la vela, feci un salto nel buio: comprai un relitto, lo feci rimettere a posto e con quello ho attraversato l’Atlantico».
Primo italiano a farlo. Quante traversate in solitaria ha fatto?
«Tre. E quella Mini-Transat è stata importante perché ho imparato il filo sottile tra la giusta dose di follia e l’equilibrio della consapevolezza: secondo me quello che occorre per navigare in territori incerti, come recita il titolo del mio intervento a “Next”».
Lei si definisce spesso «marinaio».
«Sono un pragmatico. Non navigo per chissà quali ricerche interiori o psicologiche: mi interessano la barca, il suo funzionamento, il mare aperto e le sue dinamiche, la fauna marina e le nuvole».
Interessanti, le nuvole.
«Quando trascorro giorni e giorni da solo in mare passo molto tempo a osservarle. Sia per una ragione pratica, cioè per prevedere che tempo farà, sia perché il loro movimento ora mi affascina. Prima mi lasciava indifferente, ma veleggiare mi ha insegnato che non siamo solo esseri sociali, con regole e convenzioni. In fondo siamo molto simili agli esseri animali».
Lezioni
Andare a vela insegna che l’idea di confine è fittizia, siamo solo esseri umani sullo stesso pianeta. Forse comprendere questo punto aiuterebbe a sanare la questione ambientale.
«Quantomeno ad affrontarla con lucidità e serietà. Capire che non siamo “altra cosa” rispetto al mare, ma tutt’uno con questo, aiuta».
Così come aiuta attraversare un territorio incerto, sì, ma senza confini. Come vede i confini – geografici, economici e sociali – quando si trova in mare aperto?
«Semplicemente non esistono. Andare a vela insegna che l’idea di confine è fittizia e per spiegarlo faccio un salto logico e parto dallo spazio. Avete presente quando ci mostrano le foto della Terra vista da lassù, che sembra una piccola biglia compatta? Ecco, non saprei dirlo meglio: siamo solo esseri umani, tutti sullo stesso pianeta».
È per questo che ha deciso di appoggiare Emergency in una delle operazioni di soccorso in mare?
«L’ho fatto anche perché nella mia vita di velista una volta è successa una cosa che ha cambiato il mio sguardo. Ero impegnato in una regata in mare aperto, con un equipaggio folto e una barca lussuosa. Ad un certo punto abbiamo incrociato una “carretta” piena di esseri umani: è stato lì che ho scelto di andare oltre la vela come competizione e di considerarla anche una forma di impegno in prima persona. Sono convinto che le migrazioni prima o poi interesseranno tutti, anche quelli che oggi si sentono in una posizione protetta e riparata».
I suoi due prossimi progetti riguardano una traversata in Europa e una iniziativa di sostegno all’ambiente.
«Con la barca Allagrande Mapei faremo la The Ocean Race Europe (10 agosto) e la storica transatlantica Transat Café l’Or (26 ottobre). Ma c’è anche il progetto del team Allagrande Mapei Racing per l’oceano: si vuole utilizzare un metodo scientifico che permetta prima di studiarlo, per poi proteggerlo».