la Repubblica, 4 maggio 2025
Via ai dazi auto al 25%, Trump salva il Messico. E anche Nike e Adidas chiedono un’esenzione
I dazi del 25 per cento sulle importazioni negli Stati Uniti di auto straniere sono entrati in vigore da ieri. Ma il Messico è stato esentato da quelli sulla componentistica. La decisione è stata presa dalla Casa Bianca perché lo staff di Trump si è accorto di una falla: nessuno sarebbe stato in grado di calcolare i dazi su pezzi che, nella fase di costruzione, passano più volte il confine tra Messico e Usa.
Nella corsa a ottenere ripensamenti ed esenzioni da parte di Donald Trump si sono aggiunti anche Nike e Adidas, che in un lettera firmata da 76 aziende calzaturiere come Deckers Brands, Capri Holdings, Under Armour e Vf Corporation – riunite sotto l’egida dell’associazione di categoria Footwear distributors and retailers of America, la Fdra – hanno lanciato l’allarme parlando di “minaccia esistenziale” per milioni di famiglie a causa dell’aumento dei costi. Secondo l’organizzazione, il settore, che ha delocalizzato in Cina e in altri Paesi colpiti dai dazi, si trova già alle prese con imposte significative, comprese quelle sulle scarpe per bambini che spesso hanno aliquote del 20%, del 37,5 o superiori, prima di tenere conto dei nuovi dazi.
“Data la natura dell’industria calzaturiera statunitense, le aziende e le famiglie americane del settore calzaturiero si trovano ad affrontare una minaccia esistenziale a causa di aumenti dei costi così sostanziali. Centinaia di imprese rischiano la chiusura”, si legge nel documento. Le imprese, secondo Reuters, che ha rilanciato la notizia, chiedono un “approccio più mirato, incentrato su articoli strategici piuttosto che su beni di consumo di base”.
Ma torniamo al caso delle esenzioni al Messico. La decisione della Casa Bianca indica che ora anche il presidente americano comincia ad accorgersi di come il sistema sia più integrato di quanto pensasse. Le esenzioni rappresentano un nuovo segnale di sollievo per l’industria automobilistica nordamericana, profondamente integrata, e sono anche la conferma che il cosiddetto Liberation day annunciato da Trump il 2 aprile scorso, con il via alla sua guerra commerciale, è nato su basi confuse.
Su questo fronte, General Motors (GM) e Ford hanno riportato la scorsa settimana una crescita a due cifre delle vendite, ma GM ha anche annunciato di attendersi fino a cinque miliardi di dollari di nuovi costi nel 2025, a causa dei dazi (ovvero 4,4 miliardi in euro). Inclusi i due miliardi di dollari di oneri che pesano sui veicoli prodotti in Corea del Sud e poi esportati negli States. Il mercato è destinato a subire un impatto enorme dalla politica trumpiana, considerato che quasi la metà dei veicoli venduti negli Stati Uniti l’anno scorso è stato importato dall’estero.
All’incertezza della misura si è aggiunta quella maturata dello stesso presidente, che ha cambiato più volte posizione. Dopo aver annunciato la linea dura, Trump ha fatto marcia indietro soprattutto verso i due Paesi più vicini, Messico e Canada, decisivi nella produzione automobilistica americana. Così siamo arrivati all’ultima settimana, quando il tycoon ha firmato provvedimenti che evitano alle aziende di pagare dazi multipli sullo stesso componente e istituito un sistema biennale che le compagnie automobilistiche potranno usare per ridurre gradualmente i dazi sui componenti importati e utilizzati nei veicoli assemblati negli Usa.
Trump, secondo quanto sostengono gli analisti da più parti, è stato lento a capire quanto il sistema industriale sia integrato a livello globale. Però adesso, forse, ci sta arrivando