il Fatto Quotidiano, 4 maggio 2025
Basta politici: ora il talk funziona senza di loro
È davvero un buon momento per i talk show televisivi, tutti o quasi in crescita negli ascolti rispetto alla scorsa stagione, con un’agenda piena di fatti da commentare, dall’addio al Papa, con la partenza del Conclave (che sarà il grande tema della prossima settimana), alle conseguenze dei dazi di Trump. E soprattutto, tutti o quasi consapevoli di una verità che non può far granché piacere ai politici nostrani: un tempo erano loro – leader e segretari di partito, parlamentari, rappresentanti delle istituzioni – i veri protagonisti dello show, il piatto forte di un’offerta molto strutturata sullo schema – spesso in forma di scontro – destra/sinistra. Dunque, addio al modello Porta a Porta. Oggi i politici si ritrovano necessariamente comprimari di uno spettacolo di cui le star sono altre. Qualche ex della politica attiva si riscopre commentatore fisso nei salotti Tv (Pier Luigi Bersani, Alessandro Di Battista), qualcun altro invece naufraga in altri generi (Dino Giarrusso e Mario Adinolfi sbarcano, la settimana prossima, sull’Isola dei famosi).
Ma partiamo dall’analisi. Su La7 DiMartedì di Giovanni Floris conferma il suo ruolo di principe dei talk politici: nella stagione iniziata lo scorso settembre, fino a fine aprile, sfiora 1,5 milioni di fedeli (8,6% di share). Ottima performance, in crescita di oltre il 13% (incremento nel numero di spettatori medi) sulla scorsa stagione (a pari data). Ma chi funziona davvero di più nell’agone di Floris? Nella curva degli ascolti i momenti top sono spesso quelli della copertina comica di Luca & Paolo: nella puntata del 15 aprile lo share s’impenna a sfiorare il 12%, quasi 2,4 milioni di persone sul picco. In quel minuto avviene quasi un miracolo per La7, che supera addirittura la sempre più spenta Canale 5 (andava in onda Il Turco) e si attesta come seconda rete nazionale. Si replica, più sobriamente, nella puntata del 22 aprile, col ricordo di Bizzarri e Kessisoglu dell’incontro con Papa Francesco (momento più visto, quasi 2,2 milioni di persone). La dinamica è ricorrente per il programma, e i pochi spazi di satira politica sopravvissuti, capaci talvolta di leggere l’attualità meglio di un editoriale, funzionano sempre perfettamente.
Se Luca & Paolo non sono una novità, più interessante è scorrere l’elenco degli ospiti che si avvicendano nel salotto di Floris: il 15 aprile, dopo un collegamento con Antonio Di Bella, si susseguono Pier Luigi Bersani – che ormai è una vera talking head del teleschermo, più ancora che un “ex politico” – Ezio Mauro, Diego Della Valle, Francesco Cancellato, Sergio Rizzo, e così fino a notte. Il risultato è una delle puntate più viste dall’inizio dell’anno (quasi 1,6 milioni medi). Si replica il 29 aprile: a spingere in alto la curva – ben oltre il 10% – i giornalisti Rizzo, Emanuele Fittipaldi, ancora Bersani, l’attrice Chiara Becchimanzi.
E i politici in attività? Comprimari. Floris e i suoi autori sanno che la formula del confronto destra-sinistra, anche quando si trasforma in rissa, funziona molto meno di un tempo. I politici, anche se leader delle principali forze in campo, hanno bisogno di essere “dosati”, affiancati non ad altri colleghi, ma a commentatori di varia estrazione: Elly Schlein dialoga a distanza con Della Valle, e poi Carlo Calenda con Antonio Padellaro.
Floris non è il solo ad aver fiutato l’aria che tira nella composizione di ospiti e scalette. Il dirimpettaio di Rete4 Paolo Del Debbio – anche lui in crescita di quasi un punto di share – incassa uno dei migliori risultati dell’anno per Dritto e Rovescio il 17 aprile (quasi 1,2 milioni di spettatori, 8,2% di share) con due ingredienti: un linguaggio (il suo) molto semplice, diretto, esplicativo; e interlocutori altrettanto in grado di spiegare, ovvero giornalisti come Giovanni Minoli, nella copertina, e Maurizio Belpietro. Il momento di confronto fra politici (Paola De Micheli, Giovanni Donzelli, Chiara Appendino in quella puntata) è delimitato a un blocco e include comunque Belpietro e Ferruccio de Bortoli. Poi si passa alla nera, a Garlasco, crossover con Gianluigi Nuzzi (in studio).
Gli esempi non finiscono qui: Piazzapulita di Corrado Formigli se la passa molto bene (875 mila spettatori medi in stagione, 6,2% di share, in crescita di oltre un punto sulla scorsa stagione) e sopperisce al down dei politici nostrani con ex diventati ormai commentatori (in primis Romano Prodi) e – da format di programma – con la forza delle inchieste o interviste di peso (per esempio all’ex ministro ucraino Dmytro Kuleba); Michele Serra è presenza fissa come Luca e Paolo. Lilli Gruber (l’appuntamento più seguito, quasi 1,8 milioni di spettatori in access prime time, 8,4% di share, in crescita di oltre 100 mila spettatori sulla scorsa stagione) è solitamente refrattaria ai politici in charge, a meno di una loro forte “notiziabilità” (in passato, nei faccia a faccia con Matteo Salvini, Giorgia Meloni, Giuseppe Conte).
Per quanto numerosi e diversificati, i talk continuano a rendere bene in termini di ascolti (e costi sotto controllo per le reti) ma hanno progressivamente cambiato pelle. In un mondo che appare complesso e imprevedibile, talvolta quasi incomprensibile, il pubblico che li segue chiede chiavi di lettura per il presente, più pacatezza che in passato, una maggiore propensione ad affrontare temi un tempo tabù in televisione (la politica estera, per esempio): perché è chiaro che pandemia, guerre e dazi trumpiani hanno conseguenze dirette sulle nostre vite. Quanto ai politici, le loro posizioni sono già note e prevedibili per via della disintermediazione che avviene sui social: spesso risultano ripetitivi e retorici al limite del propagandistico. Essere telegenici, funzionare sul piccolo schermo (Renzi, ora in parte anche Schlein, certamente Meloni, per non parlare delle seconde o terze file) pare non bastare più, almeno per la prima serata (altro discorso, i talk del daytime, che hanno asticelle d’ascolto più basse). La politica resta centrale e rilevante, dunque, ma i suoi attori “locali” non ne sono i migliori narratori e analisti: e nel menu dei talk finiscono per diventare meri ingredienti.