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 2025  maggio 04 Domenica calendario

L’animo gitano della filosofa in cerca di verità

«La vita ha bisogno della parola; se fosse sufficiente vivere, non si penserebbe, se si pensa è perché la vita ha bisogno della parola, della parola che sia il suo specchio, della parola che la rischiari, della parola che la potenzi, che la innalzi». E anche: «Il sapere delle cose della vita è frutto di lunghi patimenti, di lunga osservazione, che a un tratto si condensa in un istante di lucida visione. Tale sapere si rivela dietro un evento estremo, come la morte di qualcuno, la malattia o la perdita di un amore». Così scriveva Maria Zambrano, filosofa e scrittrice versatile e poliedrica che riteneva di poter unicamente “vivere pensando” – e soprattutto, pensando “da donna”.
IL RITRATTO
Come ricorda l’Enciclopedia delle donne, la sua filosofia è stata “poetica” e “materna”, imbevuta di un pensiero «che vive secondo la carne», collegato al mondo, all’origine delle cose e poco propenso alla sterile astrazione. «Ogni verità pura, razionale e generale – disse – deve sedurre la vita, farla innamorare».
Figlia di due insegnanti, Maria nasce a Vélez-Malaga nell’aprile 1904, poi si sposta con la famiglia a Segovia. Il padre è amico dello scrittore Machado. Nel 1924, gli Zambrano vanno ad abitare a Madrid. Lei studia all’Universidad Central e segue le lezioni di Ortega y Gasset – il suo vero maestro – e di Zubiri. Si laurea in filosofia, ma nel ’29 si ammala di tubercolosi e rimane un anno a letto. È una sofferenza che la tocca nel profondo. Nel ’31 diventa assistente alla cattedra di Metafisica e redige la tesi di dottorato. Si occupa di iniziative culturali, collabora con le Misiones Pedagógicas, scrive, fa amicizia con filosofi e scrittori fra cui Hernandez e Cela.
IL MATRIMONIO
Nel settembre del ’36 sposa Alfonso Rodriguez Aldave, che va in Cile come segretario dell’ambasciata della Repubblica Spagnola. Maria parte con lui. In un viaggio a l’Avana incontra lo scrittore José Lezama Lima, con cui collaborerà. L’anno dopo torna in patria con Alfonso: il momento è drammatico a causa della guerra civile, scoppiata a seguito del golpe militare del luglio ’36. Da una parte sono schierati gli autori del colpo di Stato, i nazionalisti del generale Francisco Franco, dall’altra i sostenitori della Seconda Repubblica Spagnola, il cui governo è composto da una coalizione di partiti, il Fronte popolare. Si tratta di una guerra atroce e spietata, con brutali ingerenze dall’estero (il bombardamento di Guernica), ma anche generose partecipazioni di personaggi come Hemingway, Orwell e Malraux. Maria difende la Repubblica, che però soccomberà.
Perseguitata dai franchisti, va a vivere a Valencia e poi a Barcellona con il marito: questi lavora per la Repubblica e si arruola nell’esercito. In seguito, la coppia si separa. Nel ’39 Maria deve partire per la Francia con la madre (il padre è morto), la sorella e il cognato. È l’inizio di un esilio di ben 45 anni, aggravato da problemi economici. Lei, comunque, dimostra una grande forza. Si sposta a New York, quindi a l’Avana, dove collabora con la rivista Origenes, fondata da Lezama Lima.
L’EUROPA
Dopo altro vagare, nel settembre ’46 Maria rimette piede in Europa. A Parigi frequenta gli intellettuali della Rive Gauche, fra cui Sartre, Simone de Beauvoir e Camus. Dal ’49 al ’53 è a Cuba, poi parte per l’Italia. Si stabilisce a Roma, dove incontra fra gli altri Elena Croce e Cristina Campo. Scrive Marcello Veneziani: «Fra Cristina Campo e Maria Zambrano ci furono un’amicizia e un carteggio; un intarsio vibrante di pensieri, anime e parole. Tra loro si avverte la presenza di una terza, invisibile, Simone Weil, ricorrente nell’epistolario, passione comune a entrambe La Zambrano aveva conosciuto la Weil in veste di miliziana repubblicana, ai tempi della guerra civile di Spagna». Inoltre, dirige la sezione spagnola della rivista Botteghe Oscure.
IL SUCCESSO
Nel ’64 va a vivere a La Piéce, in Francia. Nel febbraio ’66 viene pubblicato sulla Revista de Occidente l’articolo di J.L. Aranguen “I sogni di Maria Zambrano”. Il suo lavoro è ormai conosciuto, tanto che nel ’71 esce il I volume delle Obras reunidas. «Gitana” nell’animo, torna a Roma, dopodiché va a La Piéce – lì scrive Claros del bosque -, ma la sua salute vacilla. Nel 78 si sposta a Ferney-Voltaire, poi a Ginevra. Nominata “Figlia Adottiva” del Principato delle Asturie, nell’81 diviene “Figlia prediletta” della sua città di nascita. Vince il “Premio Principe de Asturias”, quindi riceve la laurea honoris causa dell’Università di Malaga. Finalmente torna a Madrid, dove scrive e lavora molto. Riceve la nomina di “Figlia prediletta” dell’Andalusia nell’85; nell’87 viene creata una Fondazione con il suo nome. Nell’88 vince il premio Cervantes, per scomparire quindi nel ’91.
Centrale, nel suo pensiero, è stato il “sacro”. Giovanni Reale noterà che, secondo Maria, la cultura europea è nata con le Confessioni di Sant’Agostino. Per la Zambrano, far prevalere il cartesiano cogito ergo sum è stato un errore, perché la filosofia comincia con il divino. Ed è legata sia alla religione sia alla poesia. Coerentemente, sulla sua lapide vorrà una frase del Cantico dei Cantici che allude alla rinascita: “Surge, amica mea, et veni”.