Il Messaggero, 4 maggio 2025
Usa, low cost cinese sparito dagli scaffali. E c’è chi noleggia galline per le uova
Da mesi giornalisti americani e influencer sui social media stanno usando lo stesso espediente retorico in migliaia di video: intervistano un elettore di Trump e gli chiedono chi pagherà per le tariffe. La risposta? Loro, i cinesi, le aziende. Il format si conclude quasi sempre con il giornalista che spiega che, in realtà, il costo dei dazi sarà pagato soprattutto dai consumatori americani. Donald Trump continua a promettere una nuova età dell’oro e a chiedere pazienza in questo «periodo di transizione», ma adesso i consumatori americani iniziano a sentire il peso delle tariffe e per questo stanno iniziando a cambiare abitudini, sia per l’aumento dei costi che per i timori di una recessione.
Per esempio Temu, l’e-commerce cinese di prodotti low-cost, ha bloccato le sue spedizioni dalla Cina agli Stati Uniti, ciò è avvenuto dopo che Trump ha deciso di annullare il «de minimis», una legge che permetteva di non pagare dazi sui pacchi di un valore minore di 800 dollari. Al contrario Temu spedirà ad aziende partner negli Stati Uniti che poi invieranno i prodotti ai consumatori: il risultato sarà un aumento dei prezzi e con molte probabilità ritardi negli ordini e nelle consegne. Ovviamente le tariffe del 145% imposte sulle importazioni dalla Cina, sulle quali Washington e Pechino avrebbero iniziato a discutere per trovare una soluzione, non colpiscono solo le famiglie e i piccoli imprenditori americani, ma anche le grandi aziende tecnologiche: Meta e Alphabet hanno guadagnato miliardi di dollari grazie alla pubblicità fatta da Temu e Shein, visto che i gruppi low cost cinesi stavano cercando di aumentare la loro presenza in America. Negli ultimi due anni solo Amazon ha speso di più in pubblicità rispetto ai due siti di e-commerce. E adesso le tariffe hanno portato a un cambiamento della strategia e a un ridimensionamento del budget pubblicitario di Temu e Shein.
LA SPESA
La crisi sta iniziando però a colpire anche i consumi interni, che rappresentano la forza dell’economia americana. Nel corso della crisi delle uova, causata dall’influenza aviaria e da un po’ di speculazione, chi possedeva un piccolo giardino ha noleggiato una gallina per evitare la crescita dei costi e spesso la difficoltà nel trovare le uova al supermercato. Più di recente si è iniziato a osservare un calo dei pasti e degli ordini nei fast food. Questa settimana McDonald’s ha pubblicato trimestrali poco convincenti, spingendo diversi analisti a parlare di «McRecession», un indicatore che segnalerebbe una diminuzione della spesa da parte dei consumatori che hanno meno denaro da spendere e temono che in futuro ci sarà un rallentamento dell’economia. Nel primo trimestre del 2024 infatti le vendite sono scese del 3,6%, un dato che non si vedeva dalla pandemia.
Ma non è solo un problema di McDonald’s: secondo Placer.ai, un servizio che analizza le spese negli Stati Uniti, il settore della ristorazione statunitense ha avuto un calo dell’1,4% nel primo trimestre con il segmento dei fast food tra i più colpiti. Non solo meno hamburger e patatine, ma anche i fast food di cibo messicano come Chipotle hanno segnalato un calo nelle vendite. Anche nei consumi a casa ci potrebbero essere profondi cambiamenti: Walmart sostiene che non alzerà i prezzi e che non segnalerà i costi delle tariffe, ma non appena finiranno le scorte i supermercati vivranno prima un periodo di assenza di prodotti e poi un aumento dei prezzi. Gli esperti sostengono che gli alimentari saranno colpiti minimamente, mentre i vestiti, i prodotti per la casa, gli utensili usa e getta, prodotti per la scuola, i mobili e i giocattoli potrebbero registrare aumenti.
La settimana scorsa Walmart, Home Depot e Target hanno incontrato Trump per spiegargli quanto la questione diventerà difficile se non fermerà la sua guerra commerciale. E in molti sperano che i numeri e le proiezioni facciano cambiare idea al presidente, che per ora però sembra convinto che il progetto di Peter Navarro sia ancora la battaglia giusta per il futuro degli Stati Uniti, nonostante ormai ci siano tutti gli elementi per pensare il contrario.