Avvenire, 4 maggio 2025
Sangue, fatica, sudore, lacrime e soldi: in 3 anni e mezzo aiuti per 300 miliardi
Si rincorrono cifre e si fanno i conti in tasca, ora che la guerra in Ucraina ha superato i tre anni e mezzo di durata, fra distruzioni umane e materiali, prospettive negoziali e accordi strategici. Da gennaio 2022 a febbraio 2025, si sono spostati flussi enormi di denaro dall’Occidente all’est europeo in fiamme. Parliamo di 300 miliardi di euro circa. In soli aiuti militari, i contributi eurostatunitensi alla causa ucraina quasi coincidono: 72 miliari di euro circa sono stati stanziati dai governi dei paesi dell’Ue e 65,58 dagli Usa, che hanno allocato quasi tutti i fondi promessi senza stanziare di nuovi, contro i 51,04 miliardi già girati dai donatori europei a Kiev.
La pan-Ue ha impegnato più di 180 miliardi di euro in assistenza finanziaria, aiuti umanitari e armi, 138 dei quali effettivamente sborsati, superando il mecenate statunitense, fermo a 114 miliardi e mezzo.
Ognuno di questi anni tragici, stati e istituzioni europei hanno alimentato Kiev con una media di 43,5 miliardi a fronte dei 38 statunitensi. In una guerra in cui il discrimine tra prima linea e retrovia è progressivamente scemato, cedendo il campo a obiettivi bersagliabili o meno, metà circa dei fondi euro-statunitensi è stata fagocitata dagli aiuti militari, pari ad una media equamente distribuita di 20 miliardi l’anno. In termini di ricchezza nazionale, la percentuale dello sforzo totale di sovvenzioni, prestiti, attrezzatture e investimenti è valutata dall’Istituto Kiel in uno 0,15% del forziere statunitense e in uno 0,14% di quello europeo. Per ragioni storiche, geografiche e di attualità cogente, lo sforzo dei vari contributori europei è stato disomogeneo: i paesi del nordeuropeo e baltico hanno accelerato più dei grandi stati economici continentali. In proporzione, l’Estonia ha girato all’Ucraina beni materiali e ricchezze superiori a quanto fatto dalla Germania: 2% del Pil contro 0,4-0,5%. L’impegno francese, italiano e spagnolo è stato valutato allo 0,1-0,2% della ricchezza nazionale. Per avere un ordine di idee, nel 2024, l’Ucraina ha destinato quasi l’interezza dei soldi delle sue tasse alle forze armate, ipotecando più di un terzo (34%) del prodotto interno lordo. Il Paese ne è uscito stravolto: l’integrazione dell’esercito con le varie componenti del macro-sistema è mutata, seguendo le esigenze di sopravvivenza. Ha investito una miriade di aspetti. Ma la guerra e l’isolazionismo trumpiano hanno cambiato pure le priorità domestiche di quasi tutti i governi europei, facendo emergere nuovi slanci, esborsi e leadership politicomilitari, impegnate a discernere i mutamenti evolutivi e rivoluzionari dei fenomeni bellici, per non smarrirsi nel nuovo panorama di priorità decisionali. Si guarda alle guerre del futuro e a quelle presenti, che combinano elementi tipici di più generazioni, e si cerca un nuovo equilibrio tra qualità, massa, semplicità d’impiego, costi ed efficacia. È sempre più complessa la battaglia armata. Nel 1991, la guerra del Golfo aveva mostrato una crescente sincronia fra operazioni psicologiche, sicurezza, simulazione, distruzione, tecnologia ed elettronica. Oggi è tutto un fluire più repentino di attività che fa invecchiare rapidamente modelli consolidati. Guerreggiando, ucraini e russi hanno imposto nuovi parametri, idee e anche creatività innovativa. Ovunque è il mondo industriale ad essere in fermento, pure in Occidente, metronomo non più assoluto dei canoni bellici.
Guerra di droni, di artiglierie, di missili, d’elettronica e d’immanenza di sensori pervasivi, quella ucraina è stata una battaglia frontale che ha suggellato il primato del fuoco e dell’immateriale sulla manovra delle forze, puntando al centro di gravità, al potenziale bellico, alla logistica, talvolta alle città, alla capacità produttiva e al morale, al fronte e dietro le linee, in un’antitesi fra scudi e spade. Si è rivelato un conflitto distruttivo, soprattutto per mano delle artiglierie, densissime e responsabili del 70% di quello che oggi non c’è più, compresi gli oltre 11mila carri e blindati persi dai russi. Ventimila sono i proiettili impiegati giornalmente in teatro: a volte eterogenei, cosmopoliti, con tante sfumature. Circa il 60% di quelli russi è di matrice nordcoreana, a riprova di una guerra complessa e non circoscritta.
I costi diretti per l’Ucraina, in termini di distruzioni, sono stimati in 180 miliardi di euro, ma le guerre hanno anche impatti indiretti, economici, finanziari, umani e sociali. La Banca mondiale valuta in oltre 500 miliardi di euro i costi della ricostruzione decennale postbellica ucraina, un paese che, prima del 2014 e del 2022, aveva buona parte di ricchezze minerarie e molte industrie pesanti nei territori oggi perduti, verosimilmente irrecuperabili a medio termine. Ma anche la Russia fa i conti con le tensioni sul bilancio federale, sull’inflazione, sulla microsvalutazione monetaria, su un tasso di sconto che si ripercuote sulla sostenibilità delle imprese civili e su un panorama geopolitico che ha aumentato di 1.340 chilometri il limes con la Nato.