la Repubblica, 3 maggio 2025
Febbre da Oscar e i libri invasero le case degli italiani
«Gli Oscar, i libri-transistor che fanno biblioteca». Transistor? Un libro? Ma siamo ammattiti? Nell’aprile del 1965, quando lesse il risvolto di copertina di Addio alle armi, il primo volume degli Oscar Mondadori, più di un intellettuale italiano alzò l’austero sopracciglio, senza immaginare che quelle parole le aveva appena scritte un poeta, Vittorio Sereni.
Transistor, in quegli anni di partite di calcio ascoltate con la radiolina all’orecchio, era una parola che profumava di modernità tecnologica. Con i transistor i razzi puntavano alla Luna. E quello degli Oscar, di cui fra pochi giorni una riedizione con la nuova traduzione di Silvia Pareschi del romanzo di Hemingway celebrerà il sessantesimo compleanno, fu davvero un lancio spaziale, che portò l’idea di libro in un’orbita lontana da ogni tradizione editoriale.
E fu subito Oscarmania. Preceduto da una campagna pubblicitaria mai vista nel mondo del libro, quel mattoncino di carta con la copertina lucida e colorata fu stampato in 75 mila copie, ma dopo una settimana e tre ristampe era già a 210 mila. E la settimana dopo bum!, La ragazza di Bube di Carlo Cassola ancora 210 mila, e quella ancora dopo ri-bum!, La nausea di Jean-Paul Sartre (non esattamente un thriller), 190 mila. Arnoldo Mondadori, che aveva osato quell’avventura, telegrafò il bollettino della vittoria alle sedi aziendali: «È la dimostrazione che in Italia esiste una massa di lettori che vanno semplicemente raggiunti». Dopo un anno, i primi 66 titoli della collana avevano venduto in totale 12 milioni di copie. Ma che cosa stava succedendo a un Paese dove solo un italiano su sette poteva essere definito un lettore?
E dire che l’idea del tascabile era tutt’altro che inedita. Senza scomodare l’esperimento della Bibbia in ottavo del Froben, anno 1491, che entrava agevolmente nelle bisacce dei clerici vagantes, fu il veneziano Manuzio, dal 1501, a inventare i libelli portatiles in formam enchiridii (cioè, che si tengono in mano), chiedendo all’incisore bolognese Griffo di incidergli un carattere tipografico salva-spazio, il corsivo. E anche la collana di libri economici aveva già una storia importante, dalla seicentesca Bibliothèque Bleue degli Oudot ai chapbooks della Penguin (1935) ai Livres de poche francesi (1953), e in Italia le collezioni di Pomba, Treves, Sonzogno… Per non parlare della Bur Rizzoli, che editò il suo primo titolo nel 1949, con quelle copertine di grigio rigore bodonian-calvinista e quell’ambizione borgesiana all’universalità. Del resto, perfino Mondadori aveva fatto i suoi tentativi, coi Libri del Pavone e la Biblioteca della Medusa. E allora, gli Oscar?
Be’, gli Oscar non furono solo libri. Furono davvero dei transistor, dei regolatori di corrente, dei deviatori di flussi. Furono la risposta del libro alla sfida della società dei consumi. Furono il marameo dell’industria culturale alla critica francofortese; lo disse bene, anni dopo, Alberto Mondadori: «Dietro gli Oscar c’è una valutazione fondamentalmente ottimistica e positiva della cultura di massa». Il libro che va a cercare il lettore, che si stacca dal circuito libreria-biblioteca e sbarca in edicola accanto al rotocalco popolare, usando gli stessi metodi: periodicità settimanale, serialità, riconoscibilità grafica. «A casa, in tram, in autobus, in filobus, in metropolitana, in automobile, in taxi, in treno, in barca, in motoscafo, in transatlantico, in jet, in fabbrica, in ufficio, al bar, nei viaggi di lavoro, nei weekend, in crociera, Gli Oscar saranno sempre nella vostra tasca, sempre a portata di mano», elencava la campagna promozionale.
Quella collana dai fatturati imponenti (nel 2006 rappresentava il 45% del fatturato della Mondadori), destinata a diventare una specie di casa editrice dentro la casa editrice, ebbe più di una audacia editoriale e molte genialità commerciali. Le copertine dai colori quasi sfacciati, molto pop, sempre commissionate apposta a eccellenti disegnatori: quella di Hemingway portava la firma di Mario Tempesti, poi vennero gli anni entusiasmanti del visionario Karel Thole e del sorprendente Ferénc Pinter.
Poi, la scelta dell’edicola, e del prezzo non solo economico (sei volte in meno di quello del libro cartonato) ma calibratissimo: 350 lire, lo stesso del biglietto del cinema. E ovviamente la scelta accuratissima dei titoli, pescati da un catalogo poderoso, classici ma rivampati molto spesso da una recente versione cinematografica (fu il caso di Scandalo al sole di Sloan Wilson, record di vendite del primo anno, ma anche de Il nostro agente all’Avana di Graham Greene, Il ponte sul fiume Kwai di Pierre Boulle, Jules e Jim di Henri-Pierre Roché). E infine, l’omogeneità, la cadenza e la riconoscibilità che titillavano la tendenza al collezionismo (posso confermare per ricordo familiare: «Bisogna comprali tutti…»). Gli altri editori, presi in contropiede, s’affannarono a lanciare collane concorrenti, ne uscirono una quindicina nel medesimo 1965. Il libro si reinventava ormai come un oggetto di largo consumo.
Tutto questo non piacque molto ai venerati maestri della cultura italiana. Per un Parise che si preoccupava del calo percentuale dei diritti d’autore per colpa del basso prezzo di copertina c’era un Bigiaretti timoroso che «a un libro economico corrispondano autori artificiosi», o un Moravia dubbioso che il tascabile «snaturi il libro» trascinandolo verso la superficialità del rotocalco. Ma dovettero arrendersi all’evidenza: l’Ulisse di Joyce vendette decine di migliaia di copie, e negli Oscar uscirono anche i grandi poeti, spesso in edizioni antologiche prima inesistenti.
Lentamente, va detto, le vendite non furono più così travolgenti, gli Oscar si normalizzarono, tornarono in libreria, si articolarono in generi e sottocollane. Oggi gli Oscar sono una corazzata che naviga in mezzo alla flotta dell’editoria mainstream in acque agitate da molte tempeste. Ma questo anniversario ci ricorda un tempo in cui il libro volle e seppe tornare almeno per un po’ ad essere, come ai tempi di Gutenberg, un medium dirompente e aggressivo.
L’iniziativa – In occasione del compleanno degli Oscar, Mondadori pubblica in una nuova edizione il primo storico titolo della collana, Addio alle armi di Ernest Hemingway (traduzione di Silvia Pareschi, pagg. 336, euro 15,50). Seguiranno in questo mese altri nove titoli in cofanetto speciale: da Assassinio sull’Orient Express di Agatha Christie a La campana di vetro di Sylvia Plath. Gli Oscar saranno festeggiati al Salone del Libro di Torino dove il 18 maggio alle 10.45 in Sala Granata saranno presenti: Daria Bignardi, Stefano Bollani, Teresa Ciabatti, Paolo Nori, Alessandro Piperno. Ognuno, lettori compresi, è invitato a portare il proprio Oscar preferito. Il 15 novembre festa anche a BookCity Milano.