Avvenire, 3 maggio 2025
Un’ondata di disinformazione per alterare le elezioni in Corea
Gli ultimi, turbolenti, mesi sono stati la riprova della fragilità della “giovane” democrazia sudcoreana. Un susseguirsi vertiginoso di eventi ad alto rischio. Prima, a dicembre, il colpo di mano (e di Stato) dell’ormai ex presidente Yoon Suk-yeol: una mossa azzardata con la quale Yoon, inseguito dagli scandali e paralizzato dall’ostruzionismo delle opposizioni, proclamava – agitando lo spauracchio delle «forze anti-Stato» e delle «minacce poste dalla Corea del Nord» – la legge marziale. Poi la mobilitazione (pacifica) dei sudcoreani e la precipitosa marcia indietro, dopo appena sei ore, dello stesso presidente. E ancora, il lunghissimo braccio di ferro tra potere esecutivo e giudiziario, con tanto di «assedio» alla residenza presidenziale, tentativi di perquisizioni falliti e rimandati, «cattività» dello stesso Yoon, braccio di ferro e rimpallo di accuse tra maggioranza e opposizione e, alla fine, la conclusione dello scontro «armato»: l’impeachment del capo dello Stato, deciso lo scorso aprile. Le elezioni anticipate, fissate per il prossimo 3 giugno, hanno rasserenato solo momentaneamente il quadro politico di Seul. Perché il delicato passaggio istituzionale che attende la Corea del Sud sembra già tormentato da qualcosa di inedito e che minaccia di alterare il gioco democratico: l’infuriare dei video deepfake – filmati falsi creati attraverso l’intelligenza artificiale – che prendono di mira, distorcono, infangano o ridicolizzano i principali candidati al voto. Minando, così, un confine indispensabile al gioco democratico: quello tra realtà e finzione.
C ome ha scritto lo storico Kyung Moon Hwang, «l’esito delle elezioni dipenderà da quale delle due principali correnti della moderna storia politica coreana prevarrà: quella tradizionalmente autoritaria o quella ostinatamente democratica. Il fatto che questa rimanga una questione aperta, quasi quattro decenni dopo la liberazione della Corea del Sud dalla dittatura e il successivo sviluppo in una democrazia florida, testimonia l’unicità dell’esperienza del Paese». Siamo davanti a una sfida che fa della Corea del Sud una sorta di laboratorio, di anticipazione del futuro che ci attende. E che ruota attorno a un interrogativo: di quali strumenti le democrazie devono dotarsi per adattarsi alle vertiginose accelerazioni tecnologiche?
C ome riportato dal quotidiano Korea Herald, «i video mostrano i candidati alla presidenza, tra cui il principale leader dell’opposizione, il deputato Lee Jae-myung, e figure del partito al governo come Han Donghoon e il deputato Ahn Cheol-soo, in scenari manipolati, progettati per ridicolizzarli o screditarli». Per la stampa sudcoreana «la semplicità e la velocità degli strumenti di intelligenza artificiale hanno reso tali manipolazioni estremamente semplici: un deepfake realistico, in stile campagna elettorale, può essere creato in meno di due minuti, utilizzando strumenti di intelligenza artificiale generativa facilmente accessibili». Con quale esito? Quali sono i rischi che si addensano sul processo democratico? Quali «perturbazioni» possono creare? «I contenuti deepfake hanno il potenziale di plasmare la percezione pubblica in modi pericolosi, soprattutto tra gli elettori che non sono fortemente allineati ad alcun partito politico – ha spiegato Bae Sang-hoon, professore all’Università di Woosuk. – Materiali sensazionalistici o provocatori, indipendentemente dalla loro accuratezza fattuale, possono lasciare impressioni durature, rafforzando opinioni negative sui candidati anche se prive di fondamento».
S ono due gli ordini di fattori che rendono particolarmente vulnerabile il gioco democratico all’infiltrazione delle fake news. Primo: la asincronicità dei due processi. Il primo (quello democratico) è lento, il secondo (quello tecnologico) fulmineo: la tecnologia, che dissemina il web di contenuti «contraffatti», è imprevedibile, anarchica, virale, facile da produrre e difficile da arginare. Come spiega ad Avvenire Adam Zulawnik, dell’Università di Melbourne, si tratta di una materia estremamente sensibile. «Si potrebbe immaginare una situazione con un video deepfake che mostra un candidato fare una dichiarazione diffamatoria o impopolare poco prima del giorno delle elezioni: una disinformazione di questo tipo sarebbe difficile da verificare in un lasso di tempo così breve e probabilmente avrebbe un impatto sul voto. Se questo possa avere o meno un’influenza significativa sull’esito delle elezioni è opinabile, ma più la corsa è serrata, più significativo può risultare qualsiasi piccolo movimento».
L’ altro ordine di fattori è riconducibile all’identikit della Corea del Sud, un Paese che vanta una grande «confidenza» con la tecnologia. «Seul – continua Zulawnik – è una società tecnologicamente avanzata, con oltre il 97% della popolazione connessa a Internet. Considerando che la Corea del Sud è una società in rapido invecchiamento, ciò significa allo stesso tempo che una parte significativa della popolazione è composta da individui anziani che potrebbero essere più vulnerabili a disinformazione e truffe. Gruppi di individui interessati a manipolare il voto potrebbero, quindi, mirare attivamente a prendere di mira gli anziani e i meno esperti di tecnologia, quelli che hanno più difficoltà a decriptare i messaggi falsi, soprattutto in prossimità del giorno delle elezioni». L o smottamento riguarda l’intera architettura istituzionale, informazione compresa. Le sue «gerarchie» sono state rovesciate da tempo. Il Digital News Report 2023 della Korea Press Foundation ha evidenziato che il 53% dei sudcoreani utilizza YouTube come principale fonte di notizie. E la fiducia nei media tradizionali? In caduta libera. È gioco facile per chi vuole inquinare la sfera pubblica, insinuarsi nelle maglie sempre più larghe dell’informazione. Già durante le elezioni del 2022, sono stati registrati oltre 2mila «reati elettorali», il numero più alto dal Duemila, il 40% dei quali legato a propaganda o disinformazione sui candidati o sulle loro famiglie. Il legislatore sudcoreano è corso ai ripari. Alla fine del 2023, l’Assemblea Nazionale ha rivisto la Legge elettorale per vietare i deepfake e le manipolazioni mediatiche 90 giorni prima delle elezioni. La violazione può comportare un massimo di sette anni di carcere e una multa di 50 milioni di won. I l rischio, però, resta. Ed è doppio. Non c’è solo la minaccia di inquinamento causata dalla diffusione delle fake news, ma anche quella – opposta e speculare – di uno restringimento della libertà di parola in nome della lotta alla disinformazione. È una ambiguità sottolineata da Lasse Schuldt, dell’Università di Bangkok. «Il ritmo del progresso tecnologico continua a mettere alla prova le categorie giuridiche. Di fronte a una disinformazione apparentemente onnipresente, i legislatori reagiscono con crescente vigore. Di conseguenza, le leggi sudcoreane contro i deepfake elettorali limitano la libertà di parola online anche nei casi in cui il contenuto in questione non arrechi danno, ovvero quando l’integrità delle elezioni non sia effettivamente compromessa».