1 maggio 2025
Biografia di Robert Francis Prevost
Iacopo Scaramuzzi, Rep
È difficile vederlo arrivare. Discreto, figura minuta, riesce a passare l’ingresso del Petriano, accanto al Santo Uffizio, schivando il crocchio di giornalisti che attendono al varco i cardinali che si riuniscono nelle congregazioni generali. Spesso usa la macchina, una utilitaria anonima, e poi il percorso è di poche decine di metri. Il cardinale Robert Francis Prevost abita nella curia generalizia dell’Ordine di Sant’Agostino, sulla sinistra del colonnato berniniano, un edificio che lui stesso fece costruire quando era superiore del suo ordine. Nato a Chicago 69 anni fa, è però un cardinale “romano”, nel senso che fa parte della Curia romana da quando, nellasorpresa generale, papa Francesco a gennaio del 2023 lo ha nominato a capo del potente dicastero dei vescovi.
Lontano dai salotti, grande capacità di lavoro e grande propensione all’ascolto, non è molto conosciuto all’infuori del mondo ecclesiale. E, pure qui, è praticamente impossibile trovare un suo scritto. Se il passaporto non lo premia – è ancora diffusa la sensazione che un Papa non possa venire dalla superpotenza statunitense – Prevost è, in realtà, cosmopolita. È nato in una famiglia di origine italiana, francese e spagnola, si è laureato in matematica e filosofia all’università Villanova di Philadelphia, è stato ordinato sacerdote nel 1982 e si è addottorato in diritto canonico all’Angelicum, l’università romana dei domenicani, nel 1987. Prevost ha vissuto venti anni in America latina, e più precisamente in Perù. La sua prima esperienza nel Paese è del 1985-1986, ci è tornato nel 1988. È tornato negli Stati Uniti nel 1999 e due anni dopo, nel 2011, è stato eletto priore generale dell’ordine degli agostiniani, un compito che lo ha portato a viaggiare in tutto il mondo e che gli è stato confermato per un secondo mandato fino al 2013. Nel 2014 è stato papa Francesco a rimandarlo di nuovo in Perù come vescovo, dove è stato secondo vicepresidente del Conferenza episcopale peruviana e ha svolto anche delicate mediazioni politiche.
Questo sacerdote agostiniano – un ordine noto per non essere una fucina di ultraprogressisti – qualcosa di lui dicono i suoi legami. Fu ordinato sacerdote da monsignor Jean Jadot, belga, esponente progressista della Curia romana dell’epoca. A Chicago ha un buon rapporto con ilcardinale arcivescovo Blaise Cupich, porporato lontanissimo da Donald Trump. In Perù conobbe e apprezzò padre Gustavo Gutierrez, il fondatore della teologia della liberazione. «Era sempre molto affabile, dotato di un certo senso dell’umorismo, aveva la capacità di essere vicino alle persone», ha raccontato aRepubblica Prevost al momento della sua morte.
Papa Francesco, che lo incontrò durante il viaggio in Perù del 2018, negli anni successivi lo ha nominato membro di alcune congregazioni vaticane, per poi chiamarlo a Roma come prefetto del dicastero dei vescovi. In quel ruolo Prevost è anche presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina. «È un uomo che sa ascoltare, sa affrontare i problemi in modo pragmatico», racconta chi ha lavorato con lui. Riesce a essere apprezzato da cardinali progressisti e conservatori, nonché dalle tre donne che, tra lo sconcerto dei più, Bergoglio ha nominato nel suo dicastero: donne che hanno il potere di scegliere pastori rigorosamente maschi.
In un Conclave dove molti cardinali non si conoscono, è uno dei pochi cardinali che ha ormai visibilità mondiale: ha selezionato tutti i vescovi nominati negli ultimi due anni e mezzo, ha ricevuto numerosi episcopati in visita ad limina apostolorum a Roma, ha accompagnato il Papa in diversi viaggi internazionali. «Mi considero ancora missionario», confidò lui appena arrivato a Roma. «Ora ho una missione molto diversa ma anche una nuova opportunità di vivere una dimensione della mia vita che semplicemente è stata sempre rispondere “sì” quando ti chiedono un servizio».
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Franca Giansoldati, Messaggero
Il passaporto statunitense – che solitamente è una discriminante per i papabili – stavolta potrebbe non essere un intralcio. Il cardinale Robert Prevost, chiamato da tutti padre Bob, grande appassionato di tennis anche se ora non lo non pratica quasi più, ha accumulato nella sua vita una così lunga esperienza missionaria, soprattutto in America Latina, da essere considerato quasi una voce del Global South. E il suo profilo sembra realmente essere sospeso tra l’America del Nord e quella del Sud, al punto che difficilmente si può individuare in lui il confine. Nato 69 anni fa a Chicago in una famiglia super cattolica di immigrati di origine Europea, dopo gli studi e l’ingresso nella vita religiosa, si è ritrovato per una serie di circostanze a guidare una diocesi piuttosto povera, malmessa e piena di problemi in Perù, dove è rimasto parecchio, imparando a condividere le dinamiche di quella comunità e a vedere dal Perù il mondo capovolto persino all’interno della Chiesa. Poi ha toccato con mano l’origine del fenomeno migratorio dei peruviani, analizzando per giunta gli effetti sempre più devastanti del divario tra nord e sud.
L’APERTURA
Il nome di Prevost in questi giorni è circolato nei conciliaboli di pre-conclave come ipotesi spendibile in seconda battuta, nel caso i candidati forti non dovessero raggiungere il quorum e allora la ricerca potrebbe estendersi al altre figure interessanti. Di conseguenza un candidato da tenere in considerazione è proprio Prevost, poiché realizzerebbe la linea di congiunzione tra il Nord e il Sud del mondo, tra l’America ricca e quella degli immigrati, in linea con l’eredità lasciata da Bergoglio.
Prevost è un monaco agostiniano dal carattere piuttosto timido che in curia, in questi anni, si è distinto per aver condiviso tutta la linea riformatrice di Papa Francesco, il quale lo scelse per ricoprire il ruolo di prefetto del Dicastero dei Vescovi, un centro nevralgico di potere da dove provengono i futuri pastori. In questi anni da lì sono uscite centinaia di nomine di peso, una vera e propria fucina di nuovi pastori destinati a svecchiare una Chiesa ritenuta (anche da Prevost) troppo ingessata, sensibilizzandoli alla cura delle ferite della gente, ad essere più aperti che non inflessibili giudici. Il lavoro di Prevost in curia si è caratterizzato per la fedeltà assoluta a Bergoglio. L’anno scorso, in un delicato frangente sul cammino sinodale, ha saputo dimostrare una certa attitudine alla mediazione quando si è ritrovato, a fianco del cardinale Parolin, all’epoca Segretario di Stato, a dipanare il contenzioso emerso tra il Vaticano e la Chiesa tedesca che, all’epoca, spingeva per una serie di riforme ritenute da Roma eccessive e troppo moderniste, tra cui l’istituzione in Germania di un comitato sinodale autonomo. Prevost si rese conto che se non fosse stato bloccato in tempo quel progetto sarebbe sfuggito di mano. Sotto il pontificato di Francesco ha manifestato più volte una visione aperta su tanti terreni, tuttavia Prevost ha sempre espresso un giudizio negativo sul sacerdozio femminile.«La clericalizzazione della donna non necessariamente risolve il problema, anzi potrebbe crearne uno nuovo. Non è perché nella società le donne vengono riconosciute in un certo modo, debba necessariamente comportare un parallelo speculare dentro la Chiesa. Ci sono categorie che possono essere diverse. Non possiamo dire che cambieremo la tradizione della Chiesa che prosegue da duemila anni», ha chiarito durante il Sinodo. Chi lo conosce bene racconta che il suo fare cordiale in realtà nasconda il pugno di ferro in un guanto di velluto: un uomo deciso ma con un certo garbo. Papa Bergoglio lo ha conosciuto anni addietro per il tramite del cardinale gesuita peruviano Barreto, quando Prevost era ancora vescovo a Chiclayo.
IL TENNIS
Quando era ragazzo ha giocato tanto a tennis ma poi gli incarichi di responsabilità assunti progressivamente dentro l’ordine agostiniano e, successivamente, gli impegni pastorali in diocesi, non gli hanno più permesso di coltivare questo sport. «Sono un tennista dilettante», pare con un formidabile rovescio, anche se da anni non ha più tante occasioni per esercitarsi e tornare in campo.
La sua biografia ufficiale fa affiorare quanto sia stata centrale la sua famiglia nella sua scelta vocazionale. Il padre di Prevost, di origini francesi e italiane, era catechista in una parrocchia di Chicago e in casa il futuro cardinale vedeva passare spesso sacerdoti e vescovi che si fermavano spesso a pranzo per gustare famosi piatti della cucina spagnola preparati dalla madre. Una gran cuoca. Nel 1977 Robert Prevost fa ingresso nel noviziato dell’Ordine di Sant’Agostino a Saint Louis e quattro anni dopo emette i voti solenni. Il percorso di formazione procede alla Catholic Theological Union di Chicago, dove si diploma in teologia. Ha poi ricevuto l’ordinazione sacerdotale nel 1982 e la licenza nel 1984. Intanto la carriera è ben avviata e nel 1999 viene eletto priore a Chicago ma Prevost è destinato ad andare avanti. Dopo due anni e mezzo, il Capitolo lo elegge Priore generale. La svolta però arriva nel 2014 quando Papa Francesco lo nomina amministratore apostolico della diocesi di Chiclayo. Dal marzo del 2018 è stato vicepresidente del Conferenza episcopale peruviana e nel 2020 Amministratore apostolico della diocesi di Callao. Nel 2023 viene fatto cardinale e diventa prefetto del Dicastero per i vescovi oltre che presidente della Pontificia commissione per l’America latina. Più che “yankee” per la Chiesa è quasi un latinos.