1 maggio 2025
Biografia di Albert Malcolm Ranjith Patabendige Don
Vito Sibilio, Nuovo Giornale Nazionale
Albert Malcolm Ranjith Patabendige Don è nato a Polgahawela nel 1947, a nord-est della capitale dello Sri Lanka, Colombo. Primogenito di quattro fratelli, Ranjith è figlio di genitori devoti. Il giovane Malcolm è cresciuto in un villaggio di cattolici ferventi e militanti. Ha familiarizzato con la politica fin da bambino, prendendo parte alle proteste a dodici anni dopo la decisione del governo socialista di nazionalizzare le scuole cattoliche. Educato dai Fratelli Lasalliani, entrò nel Seminario St. Aloysius di Borella a diciotto anni. Un anno dopo, si trasferì al seminario nazionale di Kandy per studiare teologia e filosofia. Fu presto inviato dall’Arcivescovo Thomas Cooray a Roma, dove conseguì la laurea in teologia presso la Pontificia Università Urbaniana. Papa San Paolo VI lo ordinò sacerdote nel 1975 in Piazza San Pietro. Dal 1975 al 1978, Padre Ranjith proseguì gli studi post-laurea presso il Pontificio Istituto Biblico di Roma, dove ottenne la licenza in Sacra Scrittura. Lì studiò con Carlo Maria Martini e Albert Vanhoye (entrambi poi cardinali) e frequentò l’Università Ebraica di Gerusalemme. Al suo ritorno in Sri Lanka, si immerse rapidamente nella vita pastorale a Pamunugama, dove aiutò i poveri pescatori di un villaggio privo di acqua corrente, elettricità e alloggi adeguati. Afferma che questa esperienza ha radicato il suo ministero sacerdotale nel realismo della vita. Nominato vescovo ausiliare di Colombo nel 1991, quattro anni dopo, Papa Giovanni Paolo II lo nominò vescovo di Ratnapura e, nel 2001, Ranjith tornò a Roma come segretario aggiunto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli (Propaganda Fide) e presidente delle Pontificie Opere Missionarie. Nel 2004, pur non avendo una formazione diplomatica, fu nominato nunzio apostolico in Indonesia e Timor Est e promosso arcivescovo. Nel dicembre 2005, Papa Benedetto XVI lo nominò segretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Benedetto XVI lo nominò arcivescovo di Colombo nel 2009 e lo elevò a cardinale nel 2010. Nel 2010, fu eletto presidente della Conferenza episcopale dello Sri Lanka. È tuttora membro delle Congregazioni per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti e per l’Evangelizzazione dei Popoli. Parla fluentemente dieci lingue: italiano, tedesco, francese, ebraico, greco, latino, spagnolo, inglese, singalese e tamil. Nato nel 1947, ha superato l’età pensionabile degli arcivescovi, ma gode di relativamente buona salute, a parte un intervento chirurgico al ginocchio e un episodio di Covid nel 2022. Il Cardinale Ranjith è un uomo ecclesiale a tutto tondo: conservatore e poliglotta, con una visione profondamente pastorale e una vasta esperienza nel governo della Chiesa. Avendo amato servire i poveri pescatori da giovane parroco, ha governato efficacemente numerose diocesi come vescovo, ha rappresentato il Papa come diplomatico pontificio nel Paese musulmano più popoloso del mondo, ha supervisionato le pratiche liturgiche e ha servito diocesi missionarie come alto funzionario della curia, e ha governato un’importante arcidiocesi metropolitana come cardinale-arcivescovo in tempi difficili. Ha tenuto lezioni di Sacra Scrittura e catechesi, ha fondato istituti e commissioni e ha rivitalizzato le società ecclesiali. I frutti del suo lavoro includono l’attrazione di un maggior numero di sacerdoti diocesani nella sua arcidiocesi, l’avvicinamento di molti bambini alla fede grazie al suo amore per la catechesi (è popolarmente noto come il “Vescovo dei Bambini") e la diffusione di una maggiore venerazione per la liturgia in tutto lo Sri Lanka, attraverso il ripristino delle pratiche liturgiche tradizionali. Poiché il Paese ha una società più tradizionalista, si impegna meno su questioni come il “matrimonio” tra persone dello stesso sesso, l’eutanasia e le questioni relative alla vita in generale, ma adotta una posizione intransigente su ciascuna di esse, sostenendo fermamente l’insegnamento della Chiesa, credendo nell’importanza di proteggere ogni vita umana e condannando la colonizzazione ideologica. Grazie alla sua educazione e formazione, è profondamente leale al papato e alla gerarchia e ha avuto un rapporto franco e rilassato con Papa Francesco, con il quale condivide una fervente preoccupazione per i poveri. Ciononostante, è stato disposto ad allontanarsi leggermente da Francesco; ad esempio, Ranjith ammetterebbe la pena di morte in alcuni casi, è chiaramente a favore del capitalismo etico e rifiuta il socialismo. Preferisce la celebrazione del Novus Ordo con riverenza, ma ha incoraggiato una maggiore celebrazione della Messa latina tradizionale. È stato un sostenitore della “riforma della riforma”, pur essendo favorevole a un “ritorno alla vera liturgia della Chiesa”. Ma è anche un fermo sostenitore delle riforme del Concilio Vaticano II e considera la Chiesa postconciliare uno sviluppo imperfetto ma necessario in un processo di dialogo con il mondo. Il cardinale Ranjith adotta un approccio decisamente postconciliare alla libertà religiosa, disposto a sostenere la costituzione nazionale, privilegiando la maggioranza buddista dello Sri Lanka come baluardo vitale contro la secolarizzazione. Il prelato dello Sri Lanka ha molti contatti nel governo, ma è stato un critico persistente delle autorità, soprattutto quando si tratta di questioni di verità e giustizia. Ciò è diventato particolarmente evidente dopo gli attentati terroristici del 2019 in Sri Lanka e la mancanza di giustizia che continua a essere sfuggente. Può essere schietto e a volte impulsivo, ma è riconosciuto per la sua integrità morale e la volontà di contrastare la corruzione. Similmente a Papa Francesco, è stato un forte sostenitore della tutela ambientale. Pochi cardinali hanno l’esperienza che Ranjith ha maturato nel corso degli anni, il che lo rende il candidato preferito da coloro che cercano un papa affidabile, tradizionale e conservatore, più in continuità con Benedetto che con Francesco, ma con una comprovata esperienza di governo e ortodossia proveniente dal sud del mondo, questa volta dall’Asia, un’area in cui la Chiesa sta crescendo relativamente rapidamente.
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Giacomo Galeazzi, Stampa
Il secondo porporato nella storia dello Sri Lanka ha solidi legami in Vaticano e in Italia. Statale Adriatica bloccata all’altezza di Senigallia: alla testa dei manifestanti il delegato del Papa: Albert Malcolm Ranjith. Con il ministro d’oltretevere, a guidare il corteo, il prete degli ultimi don Oreste Benzi, oggi in via di beatificazione. Marciano, pregano, denunciano, tra clacson impazziti e slogan salmodianti, la violenza contro le vittime della prostituzione coatta: in quel tratto di strada, un paio di notti prima, una ventenne nigeriana era stata uccisa dal racket a cui voleva sottrarsi e lasciata sul selciato.
Cresciuto in una famiglia cattolica, il papabile singalese ha frequentato una parrocchia dei missionari oblati di Maria Immacolata. «Lì vivevamo con goia la sana e buona tradizione della Chiesa», ricorda. Chierichetto, ha studiato dai Lasalliani, poi a diciotto anni è entrato nel seminario maggiore nazionale di Kandy. Inflessibile conservatore in dottrina e battagliero sostenitore dei diritti sociali, è stato al vertice di Propaganda Fide, presidente delle Pontificie opere missionarie, nunzio apostolico in Indonesia e Timor Est, coordinatore degli aiuti post-tsunami a Banda Aceh e nell’isola di Nias, segretario della Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei sacramenti. Maggiorente di Curia e pastore di periferia, quindi. L’arcivescovo metropolita di Colombo, 77 anni, pur testimoniando vicinanza a Francesco e fervente attenzione per i poveri, è un porporato che affonda le sue radici nel pontificato di Benedetto XVI e ha promosso la celebrazione della messa tradizionale in latino.
Parte della cerchia degli stretti collaboratori della Curia di Benedetto XVI,ne ha sostenuto le battaglie a difesa dei «principi non negoziabili». In Vaticano ha retto due importanti dicasteri in una fase complessa ed è tornato in patria per presiedere l’episcopato dello Sri Lanka. In conclave potrebbe rappresentare la risorsa del Sud del mondo. Voce della Chiesa che soffre persecuzioni e del popolo provato dalla crisi economica. Quando nove kamikaze affiliati al gruppo islamista locale National Thowheed Jamath si fecero esplodere sei anni fa in tre chiese (a Colombo, Negombo, Batticaloa) uccidendo 270 fedeli, invocò un segno di unità. I monaci buddisti suonarono le campane dei templi e i leader musulmani condannarono le stragi. «Cristo ci ha insegnato a perdonare coloro che hanno fatto del male. Lui stesso ha pregato per chi lo aveva crocifisso», disse Ranjith. E aggiunse un monito: «La situazione generale del Paese è preoccupante per via di una crisi economica che ha lasciato tante famiglie senza lavoro e quindi senza stipendio. Molti riescono a mangiare a malapena una volta al giorno, se ne contano 6 milioni su una popolazione di 22 milioni. E tanti bambini subiscono gli effetti di una situazione allarmante». Dietro ciò «anni di corruzione da parte dei governanti, con debiti nazionali ingenti che non riusciamo più a pagare. Non possiamo comprare cose essenziali come riso, lenticchie, latte, medicine per gli ospedali. È tutto razionato c’è carenza di beni. Non possiamo tacere».
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Franca Giansoldati, Il Messaggero
Arriva dall’Asia ma ha a cuore il futuro dell’Occidente e le sue radici cristiane, considerate fondamentali per la Chiesa. «La secolarizzazione in Occidente ha portato con sé una forte divisione tra quelli che si rifugiano nel misticismo, dimenticando la vita, e quelli che banalizzano la liturgia, privandola della sua funzione di mediatrice verso l’aldilà». Il cardinale asiatico Albert Malcolm Ranjith Patabendige Don ha un nome lunghissimo e quasi impronunciabile e mostra di avere le idee ben chiare. Forse perché ha lavorato in curia a lungo, a più riprese, sotto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Conosciuto più semplicemente come Malcom Rainjit, 77 anni, l’arcivescovo metropolita di Colombo in Sri Lanka, per certi versi unisce le caratteristiche dei tre pontefici precedenti: è scrupoloso in dottrina, capace di gesti coraggiosi ed è piuttosto aperto con la gente.
Arriva da un paese dove i cattolici sono una minoranza esigua, la popolazione è a maggioranza buddista ma questo non gli ha impedito di portare avanti un programma di evangelizzazione profonda affiancandolo a diversi progetti umanitari in tante zone complicate del paese. Ha operato nel mezzo di una spaventosa crisi economica, i postumi della guerra civile tra l’esercito governativo e i separatisti Tamil (1983-2009) e pure le conseguenze del devastante tsunami che nel 2004 aveva causato 30 mila vittime portando lo Sri Lanka sull’orlo del default. L’attenzione di Ranjit verso la dottrina sociale della Chiesa è una sua costante pastorale.
Un cammino assai chiaro e limpido tanto che in questi giorni è stato esaminato anche il suo profilo. Sarebbe certamente un candidato gradito a chi spera in una attenzione della Chiesa verso l’Asia, gli aspetti legati alla carità, alle migrazioni, al tema della pace. Al tempo stesso, però, Ranjit offrirebbe garanzie alle frange più conservatrici poiché ha dimostrato negli anni trascorsi a capo del Dicastero del Culto Divino una rigorosa attenzione verso la liturgia, persino verso la messa in latino. È stato uno dei pochi cardinali ad avere continuato a celebrare in latino in alcune occasioni nonostante il divieto imposto da Francesco con il motu proprio Traditionis Custodes, cancellando quel lavoro di ricucitura con il mondo tradizionalista che era stato fatto da Benedetto XVI. Una ferita ancora aperta nel tessuto ecclesiale.
Ranjith è un veterano. Ha partecipato già a un conclave, quello del 2013 e ha lavorato parecchio a Roma imparando persino a conoscere da vicino le scorrettezze di alcuni cardinali (che poi gli costarono il trasferimento in Sri Lanka quando era a Propaganda Fide). È stato ordinato prete da Paolo VI nel 1975; ha accolto San Giovanni Paolo II nel viaggio nel suo Paese nel 1995 ed è stato creato cardinale da Benedetto XVI nel 2010.
Nato nel 1947 a Polgahawela, città cingalese di 200 mila abitanti, Malcom Ranjit è il primogenito di 14 figli. Arriva da una famiglia piuttosto povera ma devota e fa parte di quella minoranza cattolica assai coesa in Sri Lanka. Per lui fu quasi naturale da bambino frequentare la parrocchia, fare il chierichetto alle funzioni. Gli studi li ha portati avanti dai Fratelli delle scuole cristiane (Lasalliani) In questo periodo matura la vocazione religiosa e sceglie di farsi sacerdote frequentando i missionari oblati. A questo punto viene mandato nel seminario maggiore di Kandy, e successivamente a Roma al Collegio di Propaganda Fide. Ha ottenuto la licenza in Sacra Scrittura al Pontificio Istituto Biblico, studiando sotto due grandi biblisti i gesuiti Carlo Maria Martini e Albert Vanhoye, con i quali è sempre rimasto in contatto. Durante la formazione al Biblico ha seguito anche i corsi all’Università Ebraica di Gerusalemme.
Ranjit è poliglotta, parla diverse lingue, passando facilmente dal tamil al latino, dal francese all’italiano che parla fluentemente. Dopo gli studi ha lavorato in parrocchia e farsi le ossa in una zona poverissima dello Sri Lanka, sulla costa, abitata da pescatori cattolici. Nel 1983 è divenuto direttore nazionale delle Pontificie opere missionarie, incarico che ha ricoperto per dieci anni, anche dopo la nomina episcopale.
Nel 1991 è stato eletto vescovo titolare di Cabarsussi e ausiliare di Colombo. Nell’ultimo periodo in questo ufficio, ha coordinato la preparazione del viaggio di San Giovanni Paolo II nello Sri Lanka. Era il 1995. Alla fine di quell’anno venne trasferito nella nuova sede residenziale di Ratnapura, situata all’interno del Paese e popolata in maggior parte da coltivatori nelle piantagioni di tè. Nel 2001 arriva la chiamata a Roma a lavorare come segretario aggiunto alla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli (Propaganda Fide), dove si è scontrato con la corruzione che all’epoca vi regnava. I continui dissidi con il cardinale Sepe lo hanno portato a essere defenestrato, così è stato rimandato nel Sud-Est asiatico come nunzio apostolico in Indonesia e Timor Est nonostante non provenisse dalle file della diplomazia. Anche in quel frangente riesce però a fare molto bene, forte del fatto che molti vescovi indonesiani li conosceva personalmente e si rivelarono preziosi a portare aiuti al paese attraverso la Caritas.
CON BENEDETTO
Nel 2004 ha vissuto in pieno la tragedia del devastante tsunami. Con l’elezione di Joseph Ratzinger di cui è sempre stato amico, nel 2005, le cose cambiarono e di nuovo viene richiamato a Roma come segretario della Congregazione per il Culto Divino. Incarico che mantiene fino al 2009 per poi tornare in patria da cardinale come arcivescovo di Colombo. Il sito collegeofcardinalsreport sottolinea quanto la sua linea rappresenti la continuità di una Chiesa missionaria, impegnata nella difesa della fede, nella promozione della dignità umana e nella riconciliazione sociale. È contrario però alle donne diaconesse, alle benedizioni alle coppie gay e tendenzialmente non si oppone al tema della sinodalità.