1 maggio 2025
Biografia di Pierbattista Pizzaballa
Vito Sibilio, Nuovo Giornale Nazionale
Pierbattista Pizzaballa, di Castel Liteggio, frazione di Cologno al Serio, nasce nel 1965, ultimo di tre fratelli, da Pietro Pizzaballa e Maria Maddalena Tadini. All’età di undici anni entrò nel seminario minore Le Grazie di Rimini, retto dai francescani, e lì scoprì le missioni. Tuttavia, all’epoca il suo sogno non era quello di andare in Terra Santa, ma in Cina. Pizzaballa completò la formazione seminaristica a Ferrara nel 1984 ed entrò nell’Ordine dei Frati Minori il 5 settembre dello stesso anno. Le prime tappe della sua vita religiosa lo condussero a La Verna, dove completò il noviziato e, nel settembre del 1985, emise i voti temporanei. Si recò poi a Bologna, dove emise i voti solenni il 10 ottobre 1989 nella chiesa di Sant’Antonio. Fu ordinato sacerdote il 15 settembre 1990 dall’allora arcivescovo di Bologna, il cardinale Giacomo Biffi. Un mese dopo, il suo provinciale inviò il venticinquenne sacerdote a studiare allo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme, dove conseguì la licenza in Teologia Biblica. Riconoscendo il suo amore per l’Antico Testamento, il suo nuovo provinciale lo inviò all’Università Ebraica di Gerusalemme (1995-1999) e nel 1998 divenne professore associato di ebraico biblico ed ebraismo presso lo Studium Biblicum Franciscanum e lo Studium Theologicum Jerosolymitanum. Pizzaballa era l’unico cristiano a studiare le Scritture all’Università Ebraica in quel periodo, ma disse che era “molto interessante” perché era la prima volta che si trovava in un “contesto non cristiano”. Il cardinale ora parla e predica anche in inglese. Per quanto riguarda l’ebraico moderno, lo ha imparato così bene – “fluentemente”, come afferma il sito web israeliano Ynet – che, entro cinque anni dal suo arrivo, ha collaborato alla redazione del Messale Romano in ebraico e ha tradotto vari testi liturgici. Il 2 luglio 1999, dopo nove anni trascorsi a Gerusalemme, entrò formalmente in servizio presso la Custodia di Terra Santa, la provincia francescana in Medio Oriente. In quegli anni, ricoprì anche l’incarico di vicario generale dell’allora Patriarca per i cattolici di lingua ebraica, Michel Sabbah. Dal 2001 fu superiore del Monastero dei Santi Simeone e Anna a Gerusalemme. Nel maggio 2004, all’età di soli 39 anni, Pizzaballa venne nominato 167° Custode di Terra Santa, un importante incarico di leadership che avrebbe ricoperto per dodici anni. Nel 2008, Pizzaballa è stato nominato consultore del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani nella commissione per i rapporti con l’Ebraismo. Nell’ottobre 2010 ha partecipato al Sinodo dei Vescovi sul Medio Oriente e nel 2014 ha svolto un ruolo chiave nell’organizzazione dell’incontro nei Giardini Vaticani tra Papa Francesco, il presidente israeliano Shimon Peres, il leader palestinese Mahmoud Abbas e il Patriarca di Costantinopoli. Il lungo mandato di Pizzaballa come Custode si è concluso il 20 maggio 2016 (dopo un incarico iniziale di sei anni, ha ricevuto due conferme successive di tre anni ciascuna), quando ha passato il testimone a Padre Francis Patton. Un mese dopo, Papa Francesco ha accettato le dimissioni del Patriarca giordano Fouad Twal, 76 anni. Invece di nominare un successore, nominò Pizzaballa amministratore apostolico sede vacante del Patriarcato, conferendogli la dignità arcivescovile e assegnandogli la sede titolare di Verbe. Pizzaballa fu ordinato Vescovo il 15 settembre 2016 dello stesso anno. La decisione di Papa Francesco di nominare un amministratore apostolico transitorio mirava, almeno in parte, a porre rimedio a un periodo di crisi amministrativa del Patriarcato. Il “governo Pizzaballa” si è rivelato un successo e il 24 ottobre 2020 è stato nominato Patriarca Latino di Gerusalemme. Contemporaneamente, è diventato anche presidente dell’Assemblea degli Ordinari Cattolici di Terra Santa, un ruolo che di diritto spetta al Patriarca Latino della regione. Tre anni dopo, il 9 luglio 2023, Papa Francesco incluse il nome di Pizzaballa tra i nuovi cardinali che avrebbe creato il 30 settembre di quell’anno. Pierbattista Pizzaballa divenne così il primo Patriarca latino di Gerusalemme ad essere elevato al cardinalato e il primo cardinale residente nello Stato di Israele. Il 7 ottobre 2023, appena una settimana dopo il concistoro, scoppiò il conflitto tra Israele e Hamas, in seguito a un attacco in Israele da parte di miliziani di Hamas provenienti da Gaza. Due settimane dopo, il Patriarca indisse una giornata di preghiera e digiuno per la pace, subito dopo essersi dichiarato pronto a offrirsi come ostaggio in cambio della liberazione dei bambini caduti nelle mani dei terroristi di Hamas. Pochi giorni dopo, il Patriarca ha lanciato un appello per “fermare questa guerra, questa violenza insensata”, affermando “con chiarezza che quanto accaduto il 7 ottobre nel sud di Israele non è in alcun modo ammissibile e non possiamo che condannarlo”, mentre afferma “con altrettanta chiarezza oggi che questo nuovo ciclo di violenza ha portato a Gaza oltre cinquemila morti, tra cui molte donne e bambini”. Il Cardinale Pizzaballa prese possesso della sua chiesa titolare di Sant’Onofrio il 1° maggio 2024, con due settimane di ritardo rispetto al previsto a causa delle ostilità. Più tardi, nello stesso mese, dopo lunghi mesi di trattative con le autorità, poté entrare personalmente a Gaza, celebrando la Messa nella parrocchia cattolica della Sacra Famiglia e visitando la parrocchia ortodossa. Il Patriarcato svolge una missione umanitaria congiunta con l’Ordine di Malta per fornire cibo e assistenza medica alla popolazione di Gaza. Si sa poco della teologia o delle posizioni dottrinali del cardinale Pizzaballa, anche perché raramente affronta questioni controverse. Ma da ciò che sappiamo delle sue parole e azioni, è possibile discernere il desiderio di attenersi alle tradizioni e alle pratiche ortodosse della Chiesa, pur rimanendo aperto alla modernità. Crede fermamente nella centralità di Cristo nell’Eucaristia, nutre una fervente devozione mariana ed è un fervente sostenitore del cammino di santificazione attraverso la tribolazione, in quel grande crogiolo di sofferenza che è il Medio Oriente. Pierbattista Pizzaballa ha diverse somiglianze con Papa Francesco. Nutre un disprezzo per il clericalismo e una preoccupazione per i migranti, il dialogo interreligioso e, in una certa misura, per l’ambiente. Ma presenta anche alcune differenze importanti ma sottili. Come Francesco, desidera che la Chiesa sia aperta a tutti, ma crede che “questo non significhi che appartenga a tutti”. Sottolinea l’importanza della giustizia sociale, dei diritti e dei doveri, ma sottolinea che “il punto di partenza deve essere la fede”. Ed è fermamente convinto che i cambiamenti nella Chiesa non siano nulla da temere, perché non è l’uomo a fare la Chiesa “ma Cristo [che] la guida”. Non è nemmeno chiuso verso le aree della Chiesa in crescita. Liberale in senso classico, considera il rito antico come uno dei tanti riti diversi nella Chiesa e quindi lo ammette. Liturgicamente, sembra propendere per la tradizione, privilegiando sempre la centralità dell’Eucaristia. Ha avuto ribrezzo nel dover chiudere le chiese durante il Covid. Tuttavia è ancora relativamente giovane, si sa poco della sua teologia e delle sue opinioni su questioni chiave, ed è cardinale da poco tempo. Questi fattori potrebbero impedirgli di essere considerato un papabile serio a breve termine, ma sembra destinato a essere un candidato cardinalizio di primo piano negli anni a venire.
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Salvatore Cannavò, Fatto
Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme, porta sulle spalle e nella vita degli ultimi trent’anni il segno del messaggio: è stato lui a dire che “Gerusalemme è un laboratorio che ha qualcosa da insegnare” per il suo essere al contempo “cuore e periferia del mondo”. Pizzaballa è totalmente dedito alla cura dei luoghi a lui affidati, è stato Custode in Terra Santa con gli ultimi tre papi, non ha avuto esitazioni a condannare la ferocia dei bombardamenti su Gaza, ma dopo il 7 ottobre si è offerto come ostaggio in cambio dei bambini israeliani. È amato dai palestinesi, ma ha studiato l’ebraico e ama il Vecchio Testamento. La sua elezione a papa porterebbe il tema della pace più importante su scala globale, al centro delle attenzioni senza perdere di vista il tema delle migrazioni, “un fenomeno globale che ha bisogno dell’attenzione di tutta la comunità internazionale” per “gestirlo in maniera rispettosa della dignità della persona”. E nel suo lavoro di incontro, mediazioni e scambio con le altre religioni sarebbe il papa che rilancia il dialogo interreligioso, a partire dall’ecumenismo a cui, non a caso, dedicò il suo intervento nello speciale dell’Osservatore Romano del 2022 dedicato al 60° del Concilio Vaticano II. “Il dialogo ecumenico significa servire insieme il Vangelo” scriveva allora Pizzaballa e quel messaggio diventa corollario del messaggio secondo cui “la pace non è solo uno degli aspetti della vita della Chiesa”, ma “è un tratto costitutivo dell’identità e della missione della Chiesa”. Pizzaballa è una figura originale, di lui non si rintracciano dichiarazioni a proposito dei temi morali, la sua idea di evangelizzazione è sperimentata in Terra Santa e sul piano della Chiesa sinodale cara a Francesco, non sembra averla sostenuta vistosamente ma non l’ha mai osteggiata. Chi lo conosce dice che è allergico ai settori “progressisti” più oltranzisti, come la Chiesa tedesca, è ospite gradito al Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione che parteggia chiaramente per lui.
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Lorenzo Cremonesi, Corriere
Quando, nei primi anni Novanta, Pierbattista Pizzaballa era un frate francescano poco più che trentenne, studioso di teologia e innamorato della Terra Santa, tanti nella comunità cattolica latina di Gerusalemme lo consideravano un «filo-sionista». Mentre era normale allora per tutti gli uomini di chiesa arrivati dall’Europa studiare arabo, Pizzaballa scelse invece di seguire i corsi di ebraico all’Università ebraica di Monte Scopus. Erano gli anni del patriarcato del palestinese Michel Sabbah. La Chiesa locale guardava con sospetto alle ripercussioni tardive del Concilio Vaticano II, che finalmente anche qui volevano aprire al dialogo con gli ebrei «fratelli maggiori», come li aveva chiamati papa Wojtyla. Le violenze della prima Intifada pesavano sui rapporti tra israeliani e palestinesi. I cristiani locali frequentavano messe celebrate in arabo. E tanti in cuor loro non potevano digerire l’avvio nel 1993 dei pieni rapporti diplomatici tra Israele e Santa Sede. Un evento epocale, conseguenza degli accordi di Oslo tra Ytzhak Rabin e Yasser Arafat. Ma soprattutto un passo che, per la prima volta dal 1948, vedeva la Chiesa di Roma riconoscere la legittimità di uno Stato che sino ad allora aveva osteggiato per motivi sia teologici sia sulla base di valutazioni di opportunità politica in rapporto al mondo arabo.
Ma la novità portata da Pizzaballa era proprio la sua apertura alla lingua e alla cultura del mondo ebraico. Grazie alle sue conoscenze, studiò le scritture dei Profeti e la teologia dei rapporti tra l’universo della Bibbia e il primo cristianesimo. Tradusse in ebraico i libri della liturgia latina per la piccola comunità di cattolici locali, che avevano studiato nelle scuole israeliane e dunque parlavano ebraico. Poteva celebrare la messa nella loro lingua.
Nel seguente quarto di secolo questo intellettuale dello spirito, figlio del sentimento religioso «semplice e spontaneo», come lui stesso descrive le radici della sua famiglia immersa nel cattolicesimo tradizionale della provincia bergamasca, è diventato una delle figure di riferimento centrali della variegata e spesso controversa realtà delle Chiese a Gerusalemme. Pochi sono stati capaci come lui di favorire il dialogo interreligioso. Non solo tra le comunità, con i pellegrini e i fedeli, ma anche nei seminari di studio, tra gli esperti di teologia, storia e filosofia. Quando lo si incontra non è difficile cogliere una sua certa ritrosia alle cerimonie. E infatti anche oggi, che assieme al cardinale Matteo Zuppi e al segretario di Stato Pietro Parolin è indicato come uno dei «papabili» d’origine italiana, il sessantenne Pizzaballa viene descritto da chi lo conosce come «molto lontano dai giochi interni alla curia romana».
Uomo del dialogo, si è ritrovato a dovere affrontare un universo sempre più minacciato dalla violenza e dalla guerra seguite all’aggressione di Hamas contro le basi militari e le comunità israeliane attorno a Gaza il 7 ottobre 2023. Possiede adesso gli strumenti per capire e reagire. In tutti questi anni è diventato docente all’Università ebraica, quindi allo Studio biblico francescano. Dal 2004 è stato per 12 anni il 167esimo Custode di Terra Santa, la massima autorità francescana. L’8 giugno 2016 per conto di papa Francesco organizzò in Vaticano il momento di preghiera tra l’ex presidente israeliano Shimon Peres e il capo dell’Autonomia palestinese a Ramallah, Mahmoud Abbas. La carica nel 2017 di vicepresidente vicario della Conferenza dei vescovi latini nelle regioni arabe l’ha spinto a conoscere da vicino il dramma del progressivo assottigliarsi della comunità cristiana in questa parte del mondo. Un’attività continua, assidua. Ogni tanto voci non verificate parlano di una sua certa esasperazione, forse vorrebbe partire, fare altro. Ma poi i risultati ci sono: la sua autorità è indiscussa. Tanto che nel 2020 è diventato Patriarca latino di Gerusalemme e dal primo maggio 2024 è cardinale.
Ma intanto il gravissimo attacco di Hamas sconvolge tutto. «Nulla sarà più come prima», dice: lo dichiara apertamente in interviste, scritti, omelie e colloqui interconfessionali. La sua conoscenza profonda, intima, del mondo ebraico gli fa comprendere il dramma di una società che parla apertamente di un «nuovo Olocausto». Il 16 ottobre 2023 si offre volontario come ostaggio ad Hamas in cambio della liberazione degli ostaggi nelle loro mani. Ma poi la durissima reazione israeliana, i bombardamenti su Gaza, gli attacchi agli ospedali, il terrore quotidiano, la morte di decine e decine di migliaia di civili, lo vedono in tutto e per tutto a fianco delle reazioni critiche contro Israele di papa Francesco. Pizzaballa conosce bene le gravi ingiustizie commesse dagli estremisti ebrei, vede i crimini, sa delle aggressioni compiute dai coloni in Cisgiordania, comprende da tempo gli effetti devastanti del muro che lacera il tessuto della società palestinese. La stessa Città vecchia di Gerusalemme è teatro da anni di sputi, minacce e offese ai pellegrini e fedeli cristiani da parte specialmente dei giovani delle yeshivot, le scuole ebraiche ortodosse. Molti di loro sono minorenni, tanti arrivano dalla diaspora americana. Le bandiere azzurre e blu dei nazionalisti messianici invadono aggressive la via Dolorosa, gli accessi al Santo Sepolcro. «Il grave attacco di Hamas non avviene nel vuoto. C’è un prima e un dopo», dice, quasi ripetendo le denunce all’Onu di Antonio Guterres. Il suo sermone la notte di Natale del 2023 nella Chiesa della Natività a Betlemme è anche un atto di accusa al governo Netanyahu. Lo ripete nel 2024. Oggi parla della necessità della «speranza nella ripresa del dialogo». Sa che è difficilissimo. Pizzaballa è ormai figlio della Chiesa precipitata nel fronte della guerra, denuncia la «religione usata e strumentalizzata dalla politica». Non sappiamo quante possibilità abbia di essere eletto dal Conclave. Certo è che, se diventasse Papa, sarebbe davvero un pontificato tutto da seguire.
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Franca Giansoldati, Messaggero
L’altro giorno, quando il cardinale Pierbattista Pizzaballa ha ricevuto la convocazione ufficiale del decano del Collegio Cardinalizio a recarsi immediatamente a Roma poiché iniziavano la Sede Vacante e la preparazione per il conclave, ha subito cancellato tutti gli appuntamenti a Gerusalemme e dintorni, ha preparato veloce la valigia e, quando l’autista lo aspettava con la macchina per portarlo all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, si è commosso.
I suoi collaboratori, i dipendenti del Patriarcato, gli uscieri compreso qualche amico arrivato apposta si sono disposti in cerchio e gli hanno cantato in coro una canzone che più o meno, tradotta dall’arabo, suona così: «Signore guida i suoi passi con la tua saggezza, riempi il suo cuore con il tuo spirito, e sii con lui se è la tua preghiera per lui per guidare la tua Chiesa». Sembrava quasi come un addio, come se fossero destinati a non rivederlo più in quella veste, perché da tempo tutti sanno che il nome di questo bergamasco concreto, dai modi un po’ spicci ma dal forte tratto umano, circola con insistenza come figura di spicco per succedere a Francesco. Un papabile con parecchie chance.
Chi è Pierbattista Pizzaballa
A suo sfavore gioca solo l’età, 60 anni compiuti da pochi giorni, che per l’anagrafica conclavizia potrebbe essere soppesata come un difetto dai cardinali elettori dato che significa avere in prospettiva un pontificato assai lungo davanti, un po’ come successe con Wojtyla diventato pontefice a 58 anni.
SAN FRANCESCO
Pizzaballa è entrato in seminario a Ferrara nel 1984 e ha vestito il saio francescano a La Verna, nel frattempo ha continuato a studiare a Bologna filosofia e teologia, proseguendo a Roma fino a essere ordinato dal defunto cardinale bolognese super conservatore, Giacomo Biffi, uomo di enorme cultura e acume che lo teneva da tempo d’occhio.
Poco tempo dopo Pizzaballa è stato mandato in Terra Santa, a Gerusalemme dove ha trascorso tutto il resto della sua vita studiando le sacre scritture, imparando l’ebraico antico e moderno, l’arabo, l’aramaico e avviando una solida rete di relazioni prima che politiche, umane, con i notabili e la nomenklatura palestinese, israeliana, giordana, egiziana. Da tutti è guardato con rispetto e stima per le posizioni di dialogo, moderate, di ascolto, cosa non proprio semplice in quell’area del mondo dove tutto non è mai come appare ad una prima visione.
Prima di essere nominato centosessantaquattresimo Custode di Terra Santa Pizzaballa si è concentrato molto sulla comunità cattolica ebreofona curando persino la pubblicazione del Messale Romano in lingua ebraica. Per forza di cose si è dovuto occupare delle varie vicende politiche locali provando a mediare - in diversi frangenti - tra lo Stato di Israele e le autorità palestinesi e quelle di Hamas presenti a Gaza. Nel 2014 Papa Francesco lo ha incaricato di organizzare l’incontro di preghiera tra il presidente Shimon Peres e il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen in Vaticano, e due anni dopo, sempre Papa Francesco, osservando la sua concretezza e rettitudine, lo ha chiamato a mettere ordine alla situazione finanziaria insostenibile che si era venuta a creare nel Patriarcato con l’apertura dell’università cattolica di Madaba, un progetto disgraziato, economicamente insostenibile voluto dal vescovo palestinese Twal che ha drenato qualcosa come 100 milioni di dollari, lasciando le casse vuote. Denaro che con grande oculatezza, sensibilizzando i grandi donors americani (con i quali ha ottimi rapporti grazie anche all’Ordine Equestre del Santo Sepolcro), Pizzaballa è riuscito a raccogliere per appianare buchi, ammanchi, debiti. E’ stato pure costretto a prendere la dolorosa decisione di alienare alcuni beni importanti del Patriarcato, come dei terreni attorno a Nazareth.
GAZA
Nel settembre del 2023 Papa Francesco lo ha fatto cardinale, il primo cardinale di Gerusalemme e da allora fino ad oggi Pizzaballa ha dovuto fronteggiare momenti davvero critici. Il 7 ottobre - con il pogrom di Hamas agli ebrei e la conseguente crisi a Gaza - ogni equilibrio è saltato e la guerra ha fatto da detonatore a situazioni di crisi carsiche. I rapporti con il mondo ebraico hanno subìto seri contraccolpi e Pizzaballa, divenuta una figura di riferimento per la Chiesa cattolica in Medio Oriente e nel mondo, si è trovato in mezzo, a mediare, parlare, fare ragionare, spesso con un gran senso di impotenza. Pur di far rilasciare i bambini rapiti da Hamas e tenuti in ostaggio nei tunnel di Gaza non ha esitato a offrirsi in ostaggio in cambio della loro liberazione. Nello stesso tempo non ha mai risparmiato critiche, anche pesanti, al governo israeliano per la linea militare intrapresa.
Quella di Pizzaballa resta una voce davvero libera e anche per questo la sua figura appare interessante nel conclave che si aprirà a breve. «Secondo me Gaza è uno dei simboli del pontificato che si è appena concluso!», ha detto. «Noi cristiani in Terra Santa siamo una chiesa viva che non si arrende nonostante i macigni che ci sono davanti a noi». Da chi lo conosce bene viene descritto come un infaticabile lavoratore, uno che non si spaventa davanti a carichi di lavoro e ritmi intensi.
Tra le sue curiosità familiari quella di avere avuto uno zio calciatore, Pier Luigi Pizzaballa, nato nel 1939, portiere con oltre 300 presenze in serie A: vestì anche la maglia della Roma tra il 1966 e il ‘69. Per i collezionisti delle figurine Panini dei calciatori quella di Pizzaballa era una rarità. Il cardinale ha ammesso: «Pure io facevo la raccolta delle figurine e Pizzaballa anche per me era introvabile».
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Domenico Agasso, Stampa
È il punto di riferimento della diplomazia vaticana in Medio Oriente. Si offrì ad Hamas in cambio degli ostaggi. Ha visto la fede resistere sotto le bombe. Il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, è uno dei nomi che sempre più spesso risuonano nei ragionamenti sul futuro della Chiesa. Non ama le etichette, tanto meno l’idea di una corsa verso il Soglio di Pietro. Ma è lì, nella linea d’ombra tra Oriente e Occidente, che prende forma il suo profilo: francescano, teologo, mediatore. E possibile papabile.
Nato a Cologno al Serio, Bergamo, nel 1965, è entrato giovanissimo nell’Ordine dei Frati Minori. Ha studiato a Gerusalemme, imparato l’ebraico – uno dei pochi vescovi latini a farlo – e ha fatto della Terra Santa il suo campo d’azione. Custode dei Luoghi Santi dal 2004 al 2016, poi amministratore apostolico, quindi Patriarca latino dal 2020. Papa Francesco lo ha creato cardinale il 30 settembre 2023.
Pizzaballa non è un uomo di Curia. Non ha diretto dicasteri, ma ha vissuto il governo della Chiesa in condizioni-limite. Ha imparato a tessere relazioni interreligiose senza rinunciare alla chiarezza evangelica.
Quando il 7 ottobre 2023 esplose il conflitto tra Israele e Hamas, fu tra le prime voci della Chiesa a chiedere un cessate il fuoco bilaterale. Ma più ancora delle parole, colpì il gesto: Pizzaballa si offrì come ostaggio al posto dei bambini israeliani rapiti. Un atto simbolico, senza retorica, che scosse le coscienze. Poi, mentre la reazione israeliana diventava sempre più dura – con bombardamenti incessanti su Gaza – Pizzaballa si è trovato in piena sintonia con le parole critiche del pontefice, denunciando l’altissimo prezzo in vite umane, soprattutto civili.
Il patriarca mai ha smesso di esprimere vicinanza al popolo di Israele, di cui conosce la storia e le ferite. Ma allo stesso tempo è stato esplicito nel criticare le scelte del governo Netanyahu, accusato di alimentare un’ingiustizia sistemica. Pizzaballa non accetta che si confonda il diritto alla difesa con la vendetta, né che si consideri la sofferenza dei civili un effetto collaterale inevitabile.
Il suo stile è sobrio, fermo, contemplativo. Non è uomo di slogan, ma di radici profonde, che risalgono al cattolicesimo pragmatico della bergamasca. Il suo riferimento spirituale è san Francesco d’Assisi, ma nelle sue omelie affiora spesso anche san Charles de Foucauld: la fede vissuta nel silenzio, nell’attesa, nella condivisione concreta con i piccoli. Per Pizzaballa, il cristianesimo non è una barricata culturale, ma una tenda aperta.
Il suo nome nelle Sacre Stanze «cresce». Vari prelati sottolineano la sua capacità di tenere insieme fedeltà e apertura, dialogo e identità, spiritualità e governo. È un moderato, piace ai conservatori, ma incarna anche tratti progressisti. La periferia. E la pace su tutti: «Non è solo un accordo politico, serve un percorso di conversione nei luoghi dove si forma il pensiero. Ripartire dai popoli e dalle comunità, perché oltre agli accordi devono seguire prassi culturali, conversioni profonde, una cultura diffusa e condivisa, altrimenti, tutto sarà vano».