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 2025  maggio 01 Giovedì calendario

Biografia di Pietro Parolin

Vito Sibilio, Nuovo Giornale Nazionale

Pietro Parolin nacque a Schiavon nel 1955, in provincia e diocesi di Vicenza, nel nord Italia, da un ferramenta e da una maestra elementare, entrambi cattolici praticanti. Entrò in seminario a Vicenza a quattordici anni. Dopo l’ordinazione sacerdotale nel 1980, all’età di venticinque anni, i suoi superiori lo mandarono a studiare diritto canonico all’Università Gregoriana di Roma. In quel periodo, iniziò la formazione per il servizio diplomatico vaticano. Dopo aver completato una tesi sul Sinodo dei Vescovi, iniziò la sua attività diplomatica nel 1986. Dopo un periodo di tre anni in Nigeria, lavorò presso la nunziatura del Messico, contribuendo a ristabilire i rapporti diplomatici tra quel Paese e la Santa Sede. Nel 1992 fu richiamato a Roma e lì iniziò a lavorare nella “Seconda Sezione” della Segreteria di Stato, sotto la guida del cardinale Angelo Sodano, allora Segretario di Stato vaticano. Parolin fu incaricato delle relazioni diplomatiche per Spagna, Andorra, Italia e San Marino. Nel 2000 collaborò con l’allora vescovo Attilio Nicora alle questioni relative all’attuazione della revisione del Concordato Lateranense del 1984. Parla fluentemente italiano, francese e spagnolo, e ha una buona conoscenza anche dell’inglese. Dal 2002 al 2009, Parolin è stato Sottosegretario per i Rapporti con gli Stati, un incarico influente ma discreto, in cui ha gestito le relazioni con Vietnam, Corea del Nord, Israele e Cina. Nel 2009, è stato ordinato vescovo da Benedetto XVI e nominato nunzio a Caracas, in Venezuela. Papa Francesco ha nominato Parolin Segretario di Stato nel 2013 e, nel 2014, lo ha inserito nel suo “Consiglio dei Cardinali”, che lo consiglia sulla riforma della Chiesa. Pietro Parolin è da tempo considerato dai diplomatici laici un rappresentante papale affidabile e degno di fiducia sulla scena mondiale. Pupillo del defunto cardinale Achille Silvestrini, nunzio apostolico e membro di spicco del Gruppo di San Gallo che tentò di ostacolare l’elezione di papa Benedetto XVI nel 2005, tra il 2002 e il 2009 l’allora monsignor Parolin si servì delle sue capacità diplomatiche e della sua rete di contatti in continua crescita in una vasta gamma di settori, in particolare il disarmo nucleare, il contatto con i paesi comunisti e persino attività di mediazione. È particolarmente esperto in questioni relative al Medio Oriente e alla situazione geopolitica del continente asiatico. Ha svolto un ruolo cruciale nel ristabilire il contatto diretto tra la Santa Sede e Pechino nel 2005 – un risultato lodato all’epoca, ma un’apertura diplomatica che avrebbe potuto rivelarsi il suo tallone d’Achille. Il suo approccio risoluto alle relazioni sino-vaticane culminò nel 2018 in un controverso accordo provvisorio segreto sulla nomina dei vescovi, rinnovato nel 2020, 2022 e 2024. L’accordo ha suscitato ampie critiche, non solo da parte del cardinale Joseph Zen Ze-kiun, vescovo emerito di Hong Kong, e dei comuni cattolici cinesi che hanno giurato fedeltà a Roma, ma anche da eminenti cattolici in Europa e negli Stati Uniti che hanno accusato la Chiesa di essersi svenduta alla Cina comunista nel momento sbagliato e con conseguenze devastanti. Imperterrito, Parolin ha invitato alla pazienza e ha in genere evitato di cedere al rancore pubblico sulla questione. Nel 2016-2017 fu attaccato per la sua gestione di un’altra crisi, questa volta presso l’Ordine di Malta e per le dimissioni forzate del suo Gran Maestro, Fra’ Matthew Festing. È stata messa in discussione anche la gestione da parte di Parolin di alcuni aspetti delle finanze vaticane, in particolare il suo ruolo nell’ostacolare, o quantomeno nel non promuovere, la riforma finanziaria, e il suo opaco coinvolgimento in uno scandalo immobiliare londinese per il quale non è mai stato incriminato ma che ha portato a condanne al carcere per alcuni dei suoi collaboratori nella Segreteria di Stato. Durante l’emergenza Covid, il cardinale ha voluto garantire quella che il Vaticano considerava una risposta globale compassionevole, applicando al contempo uno degli obblighi vaccinali più rigorosi al mondo. Persistono dubbi sulla sua posizione sulla contraccezione. Si è anche distinto come un fervente oppositore della liturgia tradizionale, considerandola contraria a un “nuovo paradigma” per la Chiesa, decentralizzato, più globale e sinodale. Vede in Papa Francesco un’attuazione più completa degli insegnamenti del Concilio. Il Cardinale Parolin ha avuto anche rapporti amichevoli con la Massoneria italiana fin dal 2002, secondo la testimonianza dell’ex Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, Giuliano Di Bernardo. Non è chiaro se i contatti siano ancora in corso, ma Di Bernardo ha testimoniato nel 2019 di aver aiutato il Cardinale Parolin a “risolvere un problema con il governo cinese” qualche anno prima. Per i suoi detrattori, il cardinale Parolin è un progressista modernista con una visione globalista, un pragmatico che antepone l’ideologia e le soluzioni diplomatiche alle dure verità della fede. Considerano inoltre Parolin un maestro della screditata Ostpolitik diplomatica degli anni ’60, soprattutto nei rapporti con la Cina. Per i suoi sostenitori, il cardinale Parolin è un coraggioso idealista, un fervente sostenitore della pace e un maestro di discrezione e arbitrato che non desidera altro che tracciare un nuovo futuro per la Chiesa nel ventunesimo secolo. Ancora relativamente giovane, ha avuto un grave problema di salute nel 2014, ma si ritiene che sia completamente guarito. Parolin è uno dei pochi alti funzionari curiali che può vantarsi di aver mantenuto il suo incarico per quasi tutta la durata di questo pontificato. Il suo rapporto con Francesco ha avuto alti e bassi, ma il Papa gli ha spesso espresso il suo apprezzamento e dal 2014 è un membro fidato del suo Consiglio di Cardinali. Un punto debole significativo di Parolin è la sua mancanza di esperienza pastorale. In quanto persona che desidera essere vicina ai poveri e con una visione ecclesiale e politica simile a quella di Francesco, è visto come un naturale successore dell’attuale papa se i cardinali elettori desiderassero una figura di continuità, qualcuno che porti avanti molte, se non tutte, le riforme radicali di Francesco, ma in modo più discreto, sottile e diplomatico.
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Domenico Agasso, Stampa

Nel silenzio ovattato delle potenti cancellerie, dove i destini delle nazioni si intrecciano anche con quelli della Chiesa, il grande interlocutore rappresentante della Santa Sede, rispettato e stimato, instancabile e riservato, è il già Segretario di Stato Pietro Parolin. Originario di Schiavon, nel vicentino, classe 1955, è il Cardinale che ha incarnato la diplomazia vaticana durante l’intero pontificato di Francesco. È lui l’architetto dell’intesa con Pechino sulla nomina dei vescovi, uno dei dossier più delicati nella storia recente dei Sacri Palazzi.
Padre ferramenta e madre maestra elementare, è nel cattolicesimo veneto che muove i primi passi verso l’attività pastorale. Racconta che a 6 anni giocava a dire messa sul balcone di casa.
Nel possibile scenario del Conclave, il Porporato viene indicato da più osservatori come un papabile «di governo», uomo di mediazione, con esperienza globale e profonda conoscenza della macchina curiale. Il suo profilo si presta sia a garantire continuità sia a introdurre, con garbo e prudenza, alcune correzioni di rotta.
Parolin è un ecclesiastico dallo stile sobrio, pastore poco incline agli slogan o alle esternazioni pubbliche. La sua formazione nelle nunziature – in Nigeria, in Messico – e l’incarico come sottosegretario per i Rapporti con gli Stati lo hanno temprato a una Chiesa che dialoga con i poteri del mondo senza rinunciare alla propria identità. È stato vicino a San Giovanni Paolo II, stimato da Benedetto XVI, scelto come Segretario di Stato da Francesco nel 2013.
Il tratto che più ha marcato il suo operato è l’accordo tra Santa Sede e Repubblica Popolare Cinese, firmato nel 2018 e rinnovato nel 2020, 2022 e 2024 per altri quattro anni. Un’intesa che ha diviso le opinioni, ma che rappresenta il primo riconoscimento, seppure parziale, della Santa Sede da parte del gigante asiatico dalla rottura del 1951. Parolin ne è stato il tessitore principale, convinto che solo il dialogo, anche imperfetto, potesse aprire spiragli per la vita dei cattolici in Cina. Per questo ha sopportato critiche dure, anche interne al mondo ecclesiale.
Particolarmente esperto di questioni riguardanti l’area mediorientale e, più in generale, la realtà geopolitica del continente asiatico, il suo impegno diplomatico negli ultimi anni è incentrato sulle guerre in Ucraina e Israele.
Nel gioco dei pronostici, il nome di Parolin torna sempre, per la sua reputazione solida nelle Sacre Stanze e la capacità di tenere insieme sensibilità diverse. È considerato un progressista, in realtà è un moderato, lontano dagli estremismi ideologici, fedele interprete della visione conciliare. Infatti, un alto prelato vaticano prevede che, «in caso di stallo nella Cappella sistina, Parolin potrà sempre rientrare in gioco e ricucire. Anche perché i conservatori riconoscono in lui un custode della dottrina». È una figura «che rassicura».
Il futuro papa dovrà affrontare sfide enormi: guerre, crisi ambientale, spinte interne alla Chiesa su temi come il ruolo delle donne, la sinodalità, l’etica sessuale. Parolin potrebbe offrire una guida capace di comporre le tensioni più che accenderle.
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Gian Guido Vecchi, Corriere

Bisognava vederlo, il grande diplomatico, l’artefice dell’accordo storico e delicatissimo con la Cina, il Segretario di Stato vaticano Pietro Parolin mentre all’inizio di settembre, le lacrime agli occhi, celebrava il funerale della madre Ada Miotti nella chiesa di Schiavon, duemilacinquecento anime a una ventina di chilometri da Vicenza: «Grazie mamma, sulle tue ginocchia abbiamo imparato a conoscere il Vangelo». Il padre Luigi aveva un negozio di ferramenta, vendeva macchine agricole e morì in un incidente stradale nel 1965, quando Pietro aveva dieci anni. «La mamma mi aveva confidato di essersene innamorata colpita dal suo modo di pregare in questa chiesa, cose che oggi non accadono più».

Il cardinale Parolin, 70 anni, è cresciuto in un mondo che pare uscito dalla penna di Luigi Meneghello. La gente del paese, «chiamatemi don Pietro, io per voi sarò sempre don Pietro», ha raccontato al Corriere del Veneto che a sei anni giocava a dire Messa sul balcone. Andava in parrocchia e don Augusto Fornara diventò il suo riferimento spirituale, a quattordici anni già entrava nel seminario di Vicenza. Il ragazzo è dotato, dopo la maturità classica continua gli studi di filosofia e teologia, nel 1980 è ordinato sacerdote, tre anni più tardi entra nella pontificia Accademia ecclesiastica — la grande scuola diplomatica della Chiesa — e nel 1986 si laurea in diritto canonico alla Gregoriana. È a questo punto che entra nel servizio diplomatico della Santa Sede: in Nigeria fino al 1989, in Messico dal 1989 al ’92, e poi nella sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato, della quale diviene sottosegretario nel 2002 per sette anni. Nel 2009 diventa nunzio in Venezuela finché Francesco nel 2013 lo nomina suo Segretario di Stato, creandolo cardinale nel 2014.

Sono questi, gli anni decisivi per Parolin. Alti e bassi, ma lui tiene duro. Nel 2007, Benedetto XVI aveva scritto una lettera «a tutta la Chiesa che è in Cina» e auspicava «un accordo con il governo» sulla nomina dei vescovi.

La mamma

Al funerale disse: «Grazie, sulle tue ginocchia ho imparato a pregare»
Era stato proprio monsignor Parolin, allora sottosegretario della Sezione per i rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato — il ministero degli Esteri della Santa Sede — a lavorare in tutta riservatezza all’intesa. Per due volte era andato a Pechino, l’accordo sembrava prossimo. Anche nella Chiesa, come nel Partito comunista cinese, si erano confrontate nel tempo un’anima più agonistica e una più dialogante. Ma le resistenze erano fortissime, sia nella burocrazia cinese sia in quella ecclesiastica. Così non se ne fece nulla: e Parolin fu spedito a Caracas come ambasciatore. La svolta fu l’elezione di Bergoglio, il primo Papa gesuita per il quale la Cina era una priorità. Non era una questione politica, ma di evangelizzazione: «L’Asia è il futuro della Chiesa». Quando Francesco richiamò Parolin dal Venezuela per promuoverlo Segretario di Stato, il segnale non poteva essere più chiaro. Parolin continuò il suo lavoro fino a compiere il suo capolavoro diplomatico, con buona pace delle resistenze e dei fuochi di sbarramento: l’«accordo provvisorio» tra Santa Sede e Pechino sulla nomina dei vescovi, sottoscritto il 22 settembre 2018 e da allora rinnovato fino a oggi.

Moderato, discreto, efficiente. Nei suoi anni alla guida della diplomazia vaticana, c’è da segnalare anche l’accordo altrettanto storico tra Stati Uniti e Cuba. Il 17 dicembre 2014, a dieci minuti l’uno dall’altro, il presidente americano Barack Obama e quello cubano Raúl Castro annunciarono il superamento dell’embargo deciso dagli Stati Uniti dopo la rivoluzione di Fidel Castro nel 1959. Entrambi ringraziarono pubblicamente Francesco per la sua mediazione. Saltò fuori che il Papa e la Santa Sede avevano avuto un ruolo fondamentale nel disgelo tra Washington e L’Avana. E che in autunno, mentre i media di tutto il mondo guardavano al Sinodo sulla famiglia e intorno al Colonnato del Bernini sostavano centinaia di telecamere e giornalisti, le delegazioni di Stati Uniti e Cuba si erano incontrate in gran segreto tra le Mura vaticane, senza che nessuno se ne accorgesse.

Da bambino

I compaesani raccontano che già a sei anni giocava a dire messa sul balcone
In questi anni è stato, per ruolo, il collaboratore più stretto del Papa. All’occasione, con tatto, limandone eccessi e sbavature. Come quando, un anno fa, Francesco rispose a una domanda sul «coraggio della bandiera bianca» parlando solo dell’Ucraina e l’indomani, mentre si stava scatenando il finimondo, il cardinale chiarì: «L’appello del Pontefice è che “si creino le condizioni per una soluzione diplomatica alla ricerca di una pace giusta e duratura”. In tal senso è ovvio che la creazione di tali condizioni non spetta solo ad una delle parti, bensì ad entrambe, e la prima condizione mi pare sia proprio quella di mettere fine all’aggressione...».
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Iacopo Scaramuzzi, Rep

Nella Cappella Sistina sarà lui a guidare i lavori e dovrà usare tutte le sue doti diplomatiche per governare un Conclave attraversato da tensioni e divergenze. Alla fine, però, potrebbe essere obbligato a passare la mano, perché secondo le norme sarebbe sempre lui a domandare: «Accetti la tua elezione canonica a Sommo Pontefice?». Ma Pietro Parolin, a quel punto, potrebbe essere non colui che fa la domanda ma colui che deve rispondere. Il Segretario di Stato vaticano è naturalmente un candidato forte a succedere a Francesco. Un Papa che lo ha scelto, ma talvolta lo ha strapazzato, un Pontefice al quale lui è sempre stato leale, a volte stemperandone l’esuberanza.
Nato 70 anni fa in una famiglia semplice di un piccolo paese nel Vicentino, Schiavon, ha svolto tutta la sua carriera presso il servizio diplomatico della Santa Sede, dove è entrato dopo la laurea in diritto canonico alla Gregoriana nel 1986. Ha lavorato presso le nunziature della Nigeria e del Messico, poi rientrò a Roma dove nel 2002 Giovanni Paolo II lo nominò sottosegretario alle Relazioni con gli Stati, ossia viceministro degli Esteri della Santa Sede. Se con il Segretario di Stato dell’epoca, Angelo Sodano, i rapporti eranobuoni, il successore, Benedetto XVI lo inviò nunzio in Venezuela, nel 2009, una sorta di allontanamento. A incrinare i rapporti, in particolare, il disgelo con la Cina, una Ostpolitik che Parolin, erede della scuola diplomatica dei cardinali Casaroli e Silvestrini, ha perseguito in modo scrupoloso, e che il cardinale Tarcisio Bertone, invece, volle frenare.
In cuor suo confidò di aver detto addio alla città eterna, e invece fu richiamato a Roma da papa Francesco fresco di Conclave, non lo conosceva di persona ma lo nominò Segretario di Stato a ottobre del 2013, elevandolo a dignità cardinalizia subito dopo. Il suo insediamento fu ritardato di alcune settimane a causa di un intervento, riuscito, al pancreas. Poco prima di lasciare Caracas ricordò, in un’intervista che fece rumore, che il celibato sacerdotale obbligatorio non è un dogma di fede ma una disciplina che si può cambiare. Al fianco di papa Francesco ha coronato il sogno, accarezzato già da Giovanni Paolo II, di siglare un accordo sulle nomine episcopali con Pechino, criticato apertamente dalla destra statunitense. Appena rientrato nel Palazzo apostolico, ha coadiuvato Bergoglio nella mediazione che ha portato alla svolta tra gli Stati Uniti di Barack Obama e la Cuba di Raul Castro. Nel corso degli anni ha portato avanti la distensione con il Vietnam, ha spinto la comunità cristiana mediorientale a uscire da una visione settaria. Non ha lesinato critiche a Benjamin Netanyahu e a Donald Trump. Carattere gentile, un senso dell’umorismo gentile, Parolin è il perfetto diplomatico vaticano che mescola abilità politica, apertura al confronto e una punta di humor sottile. «Credo, che il maggiore contributo che la Santa Sede possa dare nell’attuale panorama internazionale sia quello del dialogo», ha detto aRepubblicaa metà aprile.
Pietro Parolin è rimasto orfano di padre da bambino ed è entrato giovane in seminario, ha mantenuto un rapporto stretto con la madre, Ada Miotti, morta ultranovantenne solo l’anno scorso. Il cardinale celebrò i funerali e rinunciò a partire con papa Francesco per il viaggio più lungo del pontificato, dodici giorni tra Asia e Oceania.
Mediatore di natura, i suoi rapporti con l’impetuoso Jorge Mario Bergoglio sono stati altalenanti. Il Papa ha apprezzato molto le doti diplomatiche del suo principale collaboratore, ma a volte lo ha scavalcato, ad esempio con l’invasione russa dell’Ucraina o l’ultima crisi mediorientale. Bergoglio ha anche ridimensionato la Segreteria di Stato, arrivando a toglierle l’autonomia di cassa che aveva prima della compravendita- truffa di un palazzo al centro di Londra costata una condanna in tribunale al cardinale Angelo Becciu, che di Parolin è stato a lungo numero due e ora è al centro di una diatriba sulla sua presenza al prossimo Conclave. I suoi estimatori dicono che «ha portato la croce del pontificato». Il Segretario di Stato è rimasto sempre leale al Papa, ma non ha condiviso in pieno scelte bergogliane come la benedizione delle coppie omosessuali (anni prima aveva definito la legalizzazione via referendum del matrimonio gay in Irlanda «una sconfitta dell’umanità »), né lo ha seguito sulle spinte più riformiste emerse al Sinodo. Al Sinodo dei vescovi, ad ogni modo, ha contribuito a sciogliere il nodo della comunione ai divorziati risposati nelle prime assemblee volute da Francesco. Devoto dell’ultimo Pontefice veneto, Giovanni Paolo I, al secolo Albino Luciani, legato alla figura di Paolo VI, che chiuse il Concilio senza farlo deragliare, se venisse eletto sarebbe un Papa senza aver guidato una diocesi, come Giovanni XXIII. In un Conclave più sparpagliato che mai, Parolin è uno dei pochi cardinali conosciuti e rispettati da tutti gli elettori.
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Franca Giansoldati, Messaggero

Tra le berrette rosse del collegio cardinalizio è quella sulla quale i bookmakers stanno puntando da mesi. Sul sito Polymarket è piazzato in cima alla lista dei papabili e nell’andamento delle scommesse è inamovibile: Pietro Parolin, 70 anni, risulta il super favorito di questo conclave difficilissimo, lacerato, pieno di spine e incognite. Ma lui appare serafico, tranquillo, non mostra segni di nervosismo. I giornalisti lo conoscono per il suo tratto educato e amabile, non ha mai paura delle domande, persino di quelle più spinose e scomode. Occhi color dell’acciaio, sorridente, dribbla con una certa abilità le trappole. Una capacità affinata alla scuola diplomatica dove viene insegnato a far fronte ad ogni tipo di conversazione. Anche la più ostica. Ad aiutarlo però ci sono sicuramente anche le sue radici. Don Pietro, ma solo per gli amici (una ristrettissima cerchia) è davvero il figlio prediletto del Veneto laborioso, cattolicissimo e pragmatico.

I legami
Arriva da Schiavon, nel vicentino, un paesino di 2.600 anime dove si conoscono tutti e dove il futuro cardinale ha mantenuto legami inossidabili, privi di sovrastrutture: i vicini di casa, i compagni di un tempo, i parroci della zona, le famiglie dei parenti. «È uno del popolo». Suo babbo è scomparso che era adolescente e sua mamma, Ada, ha tirato su la famiglia, facendo la maestra. Ha una sorella, Maria Rosa, e un fratello, Giovanni, che fa il magistrato e ai quali è legatissimo.

Nell’ambiente cattolico in cui è cresciuto la sua vocazione è stata quasi una naturale conseguenza. Si racconta che da bambino fosse vivace e giocasse addirittura a fare il prete, facendo finta di dire messa. Nel 1969, a quattordici anni, è entrato in seminario, nel 1980 è diventato sacerdote e spedito dal vescovo a studiare a Roma, prima alla Gregoriana e poi, essendo davvero dotato, nel 1983 alla Pontificia Accademia Ecclesiastica, l’istituzione elitaria in cui si formano i nunzi apostolici, una sorta di “casta” secondo quanto affermava (non sempre in senso positivo) lo stesso Bergoglio.

In giro per il mondo
In ogni caso è lì che Parolin si è fatto le ossa per poi essere mandato in giro per il mondo. Prima in Nigeria, poi in Messico fino a quando non è stato chiamato a lavorare nella stanza dei bottoni, in Segreteria di Stato dove ha seguito da vicino il dossier dell’Italia. Promosso sottosegretario alla seconda sezione comincia a tessere paziente la tela diplomatica con il Vietnam e con la Cina, prendendo in mano due dossier che non ha mai smesso di seguire da vicino ritenendoli strategici e importanti per la Chiesa. Nel frattempo dal 1996 al 2000 diventa direttore di Villa Nazareth, una pia e meritevole istituzione, fondata nel dopoguerra per far studiare i ragazzi meritevoli e privi di mezzi, e poi portata avanti dal cardinale Achille Silvestrini, altra figura di riferimento. In quest’ambiente interessante e culturalmente vivo Parolin ha avuto modo di allargare una rete di solide amicizie. Tuttavia Papa Ratzinger nel 2009 decide di mandarlo come nunzio apostolico in Venezuela. Il classico promoveatur ut amoveatur, causato dalle forti divergenze che all’epoca sollevava in curia il dossier Cina. Nel 2013 però Francesco, divenuto Papa, dopo le dimissioni di Benedetto XVI, lo vuole al suo fianco come segretario di Stato anche per riprendere in mano la Via della Seta. Bergoglio quando fece l’annuncio che Parolin di lì a breve sarebbe tornato a Roma come Segretario di Stato e avrebbe sostituito il cardinale Bertone (caduto nel frattempo in disgrazia per una gestione piena di problemi), il futuro cardinale si trovava in ospedale per una operazione rivelatasi poi non grave, tanto che dopo poche settimane si presentò al lavoro.

Le complessità
In questi ultimi anni Parolin si dice abbia avuto un rapporto piuttosto complicato con Papa Francesco, non sempre lineare. Spesso, infatti, scopriva di essere stato scavalcato in decisioni importanti e lui si trovava costretto ad andare in giro con l’estintore a spegnere i focolai delle polemiche, soprattutto sul fronte diplomatico, accese da Bergoglio, per esempio sulla guerra in Ucraina. C’è chi racconta che in più di una occasione Parolin fosse talmente amareggiato da voler lasciare l’incarico e presentare le dimissioni. A frenarlo è stata la responsabilità e il fortissimo senso del dovere. Parolin può essere considerato l’uomo delle istituzioni, un candidato centrista, ben conosciuto da tutti i cardinali elettori. In questi anni si è pronunciato a favore dell’abolizione del celibato sacerdotale ma è contrario agli strappi dottrinali, per esempio, sul matrimonio tra persone dello stesso sesso, l’eutanasia, l’aborto. Ha poi contrastato moltissimo la minoranza ecclesiale della messa in latino (vetus ordo) e ha ricevuto critiche per come nel 2016 e 2017 ha gestito la crisi all’Ordine di Malta con le dimissioni forzate del Gran Maestro, Fra’ Matthew Festing.

Nonostante le previsioni a suo favore nella Cappella Sistina Parolin entra con l’ombra del caso Becciu. La spinosa vicenda legata al cardinale sardo potrebbe forse rivelarsi un macigno, nonostante gli ampi consensi di cui gode all’interno e all’esterno della Chiesa.