1 maggio 2025
Biografia di Fridolin Ambongo Besungu
Vito Sibilio, Nuovo Giornale Nazionale
Fridolin Ambongo Besungu, OFM Cap. Nato il 24 gennaio 1960 a Boto, nella provincia rurale di Nord-Ubangi, nella Repubblica Democratica del Congo, in una numerosa famiglia cattolica di undici fratelli; suo padre era un raccoglitore di alberi della gomma. Fridolin ha studiato filosofia al seminario di Bwamanda e teologia all’Istituto Saint-Eugène-de-Mazenod in Congo, prima di entrare nei Frati Minori Cappuccini nel 1981 e di emettere i voti perpetui nel 1987. È stato ordinato sacerdote il 14 agosto 1988. Dopo l’ordinazione, è diventato professore presso le Facoltà Cattoliche di Kinshasa (oggi Université Catholique du Congo). Ha studiato teologia morale all’Accademia Alfonsiana di Roma e nel 1995 ha discusso la sua tesi universitaria in teologia morale dal titolo “La réhabilitation de l’humain, base de développement vrai au Zaïre. Pour une éthique de développement integral” (Riabilitare l’essere umano come base per un vero sviluppo in Zaire. Per un’etica dello sviluppo integrale). Ha insegnato teologia morale all’Istituto Mazenod (dal 1995 al 2005). Giovanni Paolo II lo ha nominato vescovo di Bokungu-Ikela nel 2004. Dodici anni dopo, nel 2016, è diventato arcivescovo di Mbandaka-Bikoro e poi arcivescovo coadiutore di Kinshasa nel 2018. È stato elevato al rango di arcivescovo di Kinshasa nel novembre dello stesso anno. L’arcivescovo Ambongo è stato creato cardinale da Papa Francesco durante il concistoro del 5 ottobre 2019. L’anno successivo, il Santo Padre lo ha nominato membro del Consiglio dei Cardinali. Dal febbraio 2023 è presidente del Simposio delle Conferenze Episcopali d’Africa e Madagascar (SECAM). La sua posizione di rilievo nella Chiesa cattolica in Africa va di pari passo con il suo impegno politico in Congo, dove è visto anche come leader dell’opposizione politica al presidente Félix-Antoine Tshisekedi Tshilombo. Il cardinale Ambongo combatte neocolonialismo, sfruttamento delle risorse naturali del Congo, diseguaglianza nella ricchezza, corruzione dell’ambiente. Difende fermamente la famiglia, il celibato sacerdotale e l’insegnamento morale della Chiesa. È noto per la sua resistenza, a nome della maggior parte dei vescovi africani, alla Fiducia Supplicans e ha abilmente negoziato con il Vaticano una deroga alla dichiarazione. Difende l’identità cattolica e sottolinea l’importanza della missione, ma è contento che i protestanti rimangano protestanti e che i musulmani rimangano musulmani. Riconosce il declino della civiltà cristiana occidentale, ma non che l’attuale pontificato abbia troppo spesso abbracciato i valori secolari che hanno precipitato il declino dell’Occidente. Ha scelto di concentrarsi principalmente sulla dignità umana, sulle questioni sociali e sulla cultura e non ha fatto riflessioni sulla vita interiore. Crede nella sinodalità, ma dimentica che il processo sinodale viene utilizzato da molti dei suoi protagonisti per promuovere gli stessi programmi a cui si è opposto. Il Cardinale Ambongo crede nell’Africa e in ciò che il continente può offrire alla Chiesa e al mondo. È un convinto sostenitore dell’inculturazione e del rito zairese, e considera l’evangelizzazione necessaria tanto per la sua patria quanto per i nuovi territori di missione occidentali, ormai regressivi. La sua arcidiocesi, tuttavia, ha una storia negativa nell’attrarre vocazioni in un continente in cui, a quanto si dice, la loro crescita è più rapida. Sotto la sua guida, il numero di sacerdoti e religiosi è crollato. Il cardinale Ambongo ha molti punti di forza ed è stato spesso considerato papabile negli ultimi anni, ma i punti interrogativi abbondano. Ha mantenuto riserbo sul diaconato femminile, sulle restrizioni alla messa in latino e sulla via sinodale tedesca, mentre è ostile alle benedizioni per le coppie dello stesso sesso, al clero uxorato; non si sa cosa pensi della possibile revisione della dottrina sulla contraccezione, sugli accordi con la Cina, sulla comunione ai divorziati risposati, mentre sostiene la lotta al cambiamento climatico.
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Pier Luigi Vercesi, Cds
Quando si affaccia all’aeroporto di Kinshasa, passeggeri, inservienti, equipaggi degli aerei in partenza si prostrano. È già il loro Papa. Il cardinal Fridolin Ambongo Besungu benedice e tira dritto, com’è nella sua natura.
È tra i primi porporati a giungere nella città eterna. Rende omaggio con la preghiera al fratello Francesco, che due anni prima ospitò nella sua martoriata terra, la Repubblica Democratica del Congo, già Zaire. Bergoglio, di fronte a milioni di congolesi, aveva tuonato contro il «colonialismo economico»: «Giù le mani dall’Africa, non è una miniera da sfruttare». Ambongo rincarò la dose, incurante delle minacce di morte che riceveva da una decina d’anni: «Ogni volta che si scopre un giacimento scoppia una guerra», e siccome le ricchezze di quest’immenso territorio equatoriale sono infinite, i focolai si alimentano quotidianamente.
L’arcivescovo di Kinshasa venne al mondo 65 anni fa a Boto, nel Nord del Paese, sei mesi prima che si archiviasse uno dei più efferati domini coloniali che la storia ricordi, quello personale di Leopoldo II e poi del Belgio. Da allora, tra dittature e guerre civili, questa terra ha conosciuto solo «sfruttamento, azioni rapaci di potenze straniere, conflitti che seminano morte, provocano distruzione, fomentano la povertà», si sfoga Ambongo.
La scelta del Papa
A 21 anni emise la prima professione nei Frati Minori Cappuccini, che rese perpetua sei anni dopo. L’anno successivo, il 14 agosto 1988, veniva ordinato sacerdote dopo aver conseguito la laurea in Teologia morale a Roma presso l’accademia Alfonsiana. Parroco, professore di teologia, con incarichi organizzativi nel suo ordine, assisteva ai travagli che flagellavano la sua Africa soprattutto dopo la fine del «regno» di Mobutu Sese Seko, durato dal 1965 al ’97. Capiva che la redenzione del popolo non poteva prescindere dalla pacificazione politica e la sua voce cominciava ad essere ascoltata. Fu Giovanni Paolo II a nominarlo vescovo di Bokungu-Ikela, nel 2004, e Benedetto XVI, nel 2008, ad assegnargli l’incarico di amministratore apostolico di Kole. La Conferenza episcopale nazionale del Congo lo elesse presidente della commissione «Giustizia e Pace», e con lui in quel ruolo, la Chiesa si apprestò a far sentire sempre più forte gli appelli e le critiche al potere politico.
Francesco, nel 2018, lo nominò arcivescovo di Kinshasa. L’elevazione a cardinale giunse l’anno successivo, notizia diramata mentre Ambongo si trovava in volo. Nessuno lo aveva avvertito. «Atterrato, trovai sul cellulare un centinaio di messaggi di auguri. Sconcertato, chiamai il nunzio: “Ma siamo sicuri? Io non ho sentito nessuno...”». Francesco faceva così, come a dimostrare che le scelte erano sue, personali. E quel prete, deciso e senza paura, lo sentiva affine. Non si limitava a predicare la pace, si sporcava le mani. Nel 2016 era stato il mediatore dell’accordo di San Silvestro che prevedeva l’uscita di scena del presidente Kabila senza sprofondare il Paese in una guerra civile. Alle elezioni che seguirono, come nella Bibbia «uno dei due figli di Giacobbe ruba la benedizione all’altro». Dicono che la vittoria fosse di Martin Fayulu, ma se l’aggiudicò Felix Tshisekedi, e allora «bisognava trovare il modo di collaborare con lui per trasformare il male in bene», dichiarò Ambongo.
Le capacità politiche
Nel 2016 fu il mediatore dell’accordo che evitò al suo Paese una guerra civile
Il giorno più sereno per il Congo fu la sua creazione a cardinale. In Vaticano si presentarono tutte le fazioni: c’era il presidente Tshisekedi, la presidente dell’Assemblea nazionale Jeanine Mabunda del partito di Kabila, ministri, deputati, i leader dell’opposizione Fayulu, Moïse Katumbi e Jean-Pierre Bemba. E fu il giono in cui la Chiesa cattolica congolese assunse un ruolo di primo piano per la ricerca di una pacificazione per l’intera Africa. Il cardinal Ambongo, sempre sferzante nelle sue denunce contro lo sfruttamento del continente, di una cosa ringraziava l’Europa: aver insegnato cos’è la democrazia, mentre in tutto il continente si tendeva a liquidarla come un retaggio coloniale. Proprio per le sue denunce di abusi e corruzione, lo scorso anno il procuratore generale della Corte di cassazione di Kinshasa ha ordinato l’apertura di un’indagine giudiziaria a suo carico per «affermazioni sediziose». Far tacere l’arcivescovo è però impossibile. Se ne accorse anche Francesco quando ricevette una sua lettera di sette pagine, firmata come presidente del Simposio delle conferenze episcopali africane nonché membro del Consiglio dei nove cardinali che accompagnano il Papa nella riforma della Chiesa, in cui criticava il documento Fiducia Supplicans che apriva alla possibilità di benedizione delle coppie omosessuali. Bussò poi alla porta del Papa per motivargli che quella era la causa della «decadenza» dell’Occidente: le nuove ideologie «vogliono distruggere la famiglia tradizionale». Anche quella volta il frate cappuccino venuto dal cuore dell’Africa non rimase inascoltato. Diceva cose, non tutte, che anche il Papa venuto dalla fine del mondo condivideva.
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Giacomo Galeazzi, Stampa
Solido in dottrina come una roccia, indisponibile a cedere sui «principi non negoziabili» (difesa della vita, della famiglia, della libertà religiosa, della tradizione). Del cappuccino Fridolin Ambongo Besungu, 65 anni, gli avversari dicono: «È l’emblema dell’arretratezza tribale delle gerarchie africane». L’arcivescovo di Kinshasa non si lascia frenare e intende «dare voce a un popolo che soffre e combatte per una vita più dignitosa: i mediocri devono sgomberare permettendo a chi è capace di governare». In Africa, sostiene, «l’omosessualità non esiste: si possono benedire gay come si fa con i criminali, ma per convertire, non per promuovere le devianze». Il porporato conservatore ha frequentato i corsi di Filosofia nel seminario di Bwamanda e di Teologia all’Istituto Saint Eugène de Mazenod della capitale del suo Paese. Ha emesso la prima professione nei Frati Minori Cappuccini nel 1981 e quella perpetua nel 1987. Ordinato sacerdote nel 1988, ha conseguito la laurea in Teologia morale a Roma all’Accademia Alfonsiana. È stato parroco a Bobito e ha insegnato Teologia morale all’Università Cattolica del Congo. Ha ricoperto vari incarichi tra i padri cappuccini e gli organismi di rappresentanza dei religiosi.
Da Benedetto XVI è stato designato nel 2004 vescovo di Bokungu-Ikela, nella provincia nord-occidentale dell’Equatore. Ha ricevuto l’ordinazione episcopale nel 2005. Nel 2016 Francesco lo ha nominato amministratore apostolico di Mbandaka-Bikoro per poi promuoverlo arcivescovo. Nel 2017 è diventato vice-presidente dell’episcopato congolese e ha assunto un ruolo di primo piano nella ricerca di una soluzione pacifica alla crisi politica in atto nell’ex colonia belga, già piegata da un conflitto che provoca migliaia di sfollati in fuga dalle violenze e dal virus Ebola che continua a mietere vittime. Ha co-presieduto il dialogo che, con la firma degli Accordi di San Silvestro, ha portato a nuove elezioni nel 2018. In seguito Bergoglio lo ha nominato coadiutore di Kinshasa, gli ha conferito la porpora e lo ha inserito nel Consiglio di cardinali che collaborano con lui nel governo della Chiesa universale e studiano un progetto di revisione della Curia romana. In qualità di presidente del Simposio delle Conferenze episcopali d’ Africa ha firmato un anno fa una lettera in cui esprimeva la sua opposizione alla dichiarazione vaticana che autorizzava i sacerdoti a benedire le unioni omosessuali.
«L’Africa è il futuro della Chiesa, è ovvio - afferma -. Francesco si è prodigato per la giustizia, la pace nel mondo, la promozione dei piccoli, dei deboli. Considerava il viaggio in Congo come una delle sue visite apostoliche più importanti ed è rimasto colpito dall’accoglienza e dall’entusiasmo del popolo». Chi lo contesta, soprattutto tra i missionari occidentali nella regione, ritiene «antiquata e reazionaria» la sua idea di società, a testimonianza di come la Chiesa africana sia ancora «bisognosa di indispensabili passi in avanti nel magistero etico. Il gregge è molto più avanti dei suoi pastori».
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Andrea Gualtieri, Repubblica
Nella Repubblica democratica del Congo è una personalità rispettata anchefuori dal perimetro cattolico per le sue denunce sulla corruzione e contro le contiguità del potere con i signori della guerra. Nella Chiesa ha ottenuto la porpora con Francesco, che lo ha pure chiamato nel C9, il Consiglio dei cardinali coinvolti nella riforma della curia vaticana. Fridolin Besungu Ambongo, 65 anni frate dell’ordine dei cappuccini, sarebbe quindi la personalità più adatta ad affacciarsi sulla ribalta – ed eventualmente anche alla Loggia delle Benedizioni di San Pietro – se il Conclave dovesse convincersi che, dopo aver guardato al Sudamerica, la Chiesa è pronta a fare il grande passo di eleggere un Papa africano.
Non si tratta di un profilo bergogliano, l’ala conservatrice apprezza molto la sua rigidità nel difendere il celibato dei preti e la morale sessuale tradizionale. E Ambongo ha pure capeggiato la rivolta africana contro la benedizione delle coppie omosessuali, utilizzando espressioni molto nette, fino ad affermare che in tutto il continente africano l’omosessualità «non esiste» e che si può benedire una singola persona gay, ma non una coppia e comunque solo dicendo: «Speriamo che la benedizione possa aiutarti a cambiare », perché la Chiesa non può promuovere «una deviazione sessuale». Su questo fronte si è spinto a sottoscrivere le parole di Vladimir Putin definendo l’Occidente una «società decadente», un’assonanza che ora potrebbeessergli fatta pesare dagliambienti più moderati.
Ha conservato però una lealtà a Francesco, temperando su questo fronte gli eccessi e le reazioni più scomposte nella contestazione interna all’episcopato del suo continente. Ed è un assertore convinto della sinodalità, uno dei capisaldi del pontificato appena concluso. Lo ritiene un «nuovo modo di essere Chiesa» e ha partecipato attivamente amolti incontri che si sono svolti in Vaticano, ambiente in cui, tra C9, assemblee e in precedenza studi, ha una discreta familiarità Nato a Boto, a nord del Congo, ha seguito il percorso di filosofia e teologia inizialmente nel suo Paese, ha emesso la professione perpetua nei Frati Minori Cappuccini nel 1987 ed è stato ordinato sacerdote l’anno successivo. Solo dopo si è trasferito a Roma per approfondire gli studi in teologia, all’accademia Alfonsiana, nota in realtà per posizioni aperturiste, dove ha ottenuto la laurea. Tornato in patria, è stato parroco, ha insegnato teologia morale all’università cattolica del Congo di Kinshasa e ha svolto diversi compiti all’interno del suo ordine religioso. Benedetto XVI lo ha nominato vescovo di Bokungu-Ikela nel 2004, Francesco lo ha promosso prima arcivescovo di Mbandaka-Bikoro nel 2016 e poi arcivescovo di Kinshasa nel 2018. L’anno dopo lo ha creato cardinale. A febbraio 2023 è stato lui ad accogliere il Papa nel trionfale viaggio in Congo, quando oltre un milione di fedeli ha partecipato alla messa con il pontefice a Kinshasa. Un mese più tardi, Francesco ha invitato Ambongo nel Consiglio dei cardinali. Era già emersa nelle sue esternazioni la contrarietà alle aperture di Bergoglio e come presidente del Simposio delle conferenze episcopali dell’Africa e del Madagascar l’arcivescovo di Kinshasa era in prima linea nella contestazione a Fiducia supplicans, la dichiarazione dottrinale vaticana che ha autorizzato la benedizione delle coppie gay. Nel suo Paese, invece, Ambongo ha fatto sentire la sua voce nelle questioni sociali, forte nel denunciare la corruzione, lo sfruttamento delle risorse minerarie del Congo, il colonialismo persistente dei paesi occidentali. Ha difeso con decisione le ragioni dei poveri e degli emarginati. Si è schierato apertamente contro il presidente Félix-Antoine Tshisekedi Tshilombo, tanto che nel 2024 il procuratore generale della Corte di cassazione del Paese lo ha accusato di «atteggiamenti sediziosi» per non avere appoggiato l’intervento dell’esercito nella conflittuale regione orientale di Goma.