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 2025  aprile 30 Mercoledì calendario

Intervista a Federico Zampaglione

La telefonata di Dalla.
«Numero sconosciuto. “Zao, sono Luzo”. Pensai fosse una presa per il cu.. e stavo per rispondergli che io allora ero Napoleone». Invece era ed è Federico Zampaglione, frontman dei Tiromancino (nonché regista e sceneggiatore) che, per ogni celebre amico citato, si produce in relativa strepitosa imitazione.
L’angelo dei cantautori sbatté un’ala e lei trattenne la rispostaccia.
«Realizzai che era davvero lui. Mi fece un sacco di complimenti. Era il 2001, avevo appena inciso una versione di Com’è profondo il mare per il film Paz!, in cui lui, da remoto, cantava l’ultima strofa».
Poi lo incontrò dal vivo.
«In tv da Vincenzo Mollica, ero agitatissimo. Ironizzò per tutto il tempo sull’insuccesso del suo ultimo album. Prendeva in giro il suo discografico. Gli chiesi. “Maestro, come ci dividiamo le strofe?”. “Cantale tu, io fazzo qui e là delle cose”. Muoveva le mani, faceva smorfie. Pensai: “Mi sa che mi sta prendendo in giro”. Invece fu fantastico. E diventammo molto amici».
In barca a vela alle Tremiti.
«Un sacco di volte. Gli ospiti di Lucio venivano accompagnati su un gommone. Un giorno ci fu grande fermento. “Sta arrivando Gino Paoli!”. Ci preparammo ad accoglierlo. Il fuoribordo si avvicinò. Gino non lo vedemmo nemmeno. Sentimmo una botta fortissima e un bestemmione. Non si era chinato in tempo e aveva sbattuto la testa contro il boma
. Salì con un bel ficozzo sulla fronte».
Vita col Califfo.
«Franco arrivava sempre con la Jaguar d’epoca, tutto acchittato. Dovevamo registrare in studio Non escludo il ritorno. Lui non amava fare troppe prove, ricantare più volte. Non se l’era molto studiata, non ricordava granché le parole e la melodia, ma andò avanti così. Alla fine chiese: “Che c’è quarcosa da rifà?”. Califano era un grande, un poeta sottovalutato».
Consigli amorosi gliene ha offerti?
«Certo. Per quel brano avevo scritto un testo romantico, intenso. “E ora che ci mettiamo? Manca qualcosa”. E lui, subito: “Non escludo il ritorno”. Spiegò: “Sennò lei se monta la testa”. Si raccomandava: “Con le donne nun chiamate troppo, nun ve fate vedè”» (la voce roca è uguale).

Adolescente turbolento.
«Non proprio uno studente modello, in matematica era buio totale. Passavo i pomeriggi in strada a fare le penne col motorino. Mio padre mi beccava e me lo sequestrava».
Le regalò le cassette di Jimi Hendrix e Eric Clapton.
«E la musica mi portò via. Gli amici dicevano: “A’ Federì, non ti si vede più”. Chiuso in cameretta provavo gli assolo di B.B. King».
I concerti per 4 gatti.
«All’inizio ci sono state un mare di serate così. Spesso eravamo più noi sul palco che quelli sotto. Ma non era un dramma, servivano per farci le ossa».
Un piano B l’aveva?
«No, mi avrebbe distratto dal piano A. Non volevo diventare una star, solo fare il musicista».

Pino Daniele.
«Ero un suo fan. Ci siamo conosciuti perché i nostri figli frequentavano la stessa scuola, facevamo discorsi tra papà. La sera ci vedevamo a casa sua. Pino cucinava gli gnocchi o la pasta al sugo. E dopo cena passavamo ore a suonare la chitarra. Momenti intensi che mi hanno formato. Da tutti loro ho imparato qualcosa. Scrivere con Califano era un’esperienza. Cantare con Dalla ha cambiato il mio modo di stare sul palco».
Carlo Verdone.
«Siamo super-amici, ci vogliamo molto bene e ci scriviamo spesso. Ed è il mio medico di fiducia. Sulla diagnosi d’impulso è il numero 1
. Se vai da altri, prima ti fanno fare una valanga di analisi. Lui invece è rapido e preciso. E ci azzecca eh. Mi ha diagnosticato una labirintite. Ci aveva proprio preso».

Hai capito che Doc.
«E poi ti fa morire dal ridere. E ti insegna l’umiltà. Lui che è un personaggio gigantesco, ti stupisce nella sua semplicità».
Duetto con Tiziano Ferro.
«Uno dei più grandi cantanti di tutti i tempi».
Gli invidia il vocione?
«No, ognuno ha le sue caratteristiche. Sono da sempre un grosso fan delle collaborazioni tra artisti. L’ho fatto con Eros, con Tommaso Paradiso, con Calcutta, l’ultima con Franco 126».
Ricordi di Sanremo 2000.
«In gara tra i Giovani. Portammo Strade, pezzo non commerciale, hip hop. Non avevamo tante aspettative, ce ne andammo al ristorante. Quando comunicarono che eravamo secondi siamo corsi all’Ariston con il tagliolino allo scoglio ancora in bocca».
Nel suo ultimo singolo «Mi rituffo nella notte» canta: «Faccio molte cose brutte senza te». Quali?
«Di ogni genere. Quando resti solo e torni single cambi stile di vita, esci, vai per locali, bevi tre o quattro drink. Io ero così. Ogni musicista ama la notte, ci trova ispirazione».
L’hanno mai riportata a casa in braccio?
«Certo».

Che non ricordava manco l’indirizzo?
«Anche».

Testo scritto dopo una lite con sua moglie Giglia.
«Lei mi ha chiesto arrabbiata: “Che fai senza di me?”. E le ho risposto di getto: “Mi rituffo nella notte”. Stare con una persona significa cambiare certe abitudini e fare un altro tipo di vita».

«La descrizione di un attimo» è uno dei vostri primi successi. Il suo più felice?
«La nascita di mia figlia».
Il più triste.
«La morte di mamma. Due esperienze forti che non scordi più, ti restano dentro».
Con la sua grande ex Claudia Gerini andate d’amore e d’accordo. Quindi si può.
«Sì, però non è scontato. Quando le relazioni finiscono si rischia di cadere in malumori e recriminazioni. Per noi ha prevalso il discorso della bambina.
Linda aveva meno di 4 anni, abbiamo evitato di fare e dire cose che avessero un effetto negativo sulla piccoletta. Se sei inca...to, te lo tieni».
Non è da tutti.
«Io e Claudia ci vogliamo molto bene. Essenzialmente siamo amici, superato l’impatto iniziale. Festeggiamo sempre il Natale insieme, lei e mia moglie sono amicissime, si spalleggiano e si aiutano, sono due donne intelligenti».

Vi siete sposati per finta.
«Ero andato da lei sul set, girava la scena del suo matrimonio, indossava il vestito da sposa. Le dissi: “Facciamoci una foto”. Il costumista mi prestò una giacca. Solo che poi l’abbiamo postata sui social e si è creato scompiglio».
Non ha portato bene, visto che poi vi siete lasciati.
«No, io credo che le cose vadano come devono andare. Però è stato un rapporto importante. Essere riuscito a mantenere l’armonia nella nostra famiglia allargata è una soddisfazione. Ti ricorda che non tutto è andato perduto, che non è stato buttato».

Regista di film horror.
«Amo il genere letterario, sono cresciuto con Edgar Allan Poe e Dylan Dog. Dario Argento ha letto la prima sceneggiatura e mi ha spinto».

Ha ammesso: «I miei film mi fanno paura».
«Mentre dormi
la tua mente ti trova più vulnerabile. Cerchi l’incubo, lo evochi. Ti restano nella testa le urla degli attori, il sangue e sì, lì ti svegli di colpo e hai paura».
Nella vita cosa le mette ansia?
«L’altezza. Il parkour mi fa impressione. Con il paracadute non mi lancerei mai».
Che padre è per Linda?
«Cerco di essere il migliore possibile, mi impegno».
Sarebbe contento se trovasse un fidanzato tale e quale a papà?
«No, meglio un altro tipo, uno come me ce l’ha già. E spero che piaccia pure a me, ma voglio saperlo solo se è una cosa seria».