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 2025  aprile 30 Mercoledì calendario

Daisy Osakue: “Basta pregiudizi contro i lanciatori, non siamo donnone. Il disco è poesia”

Se la Diamond League è la Champions League dell’atletica, l’Italia si è schierata (per ora) tra le stelle con una sola atleta. Nelle due tappe cinesi che inaugurano la stagione all’aperto, sabato scorso a Xiamen e sabato 3 maggio a Shaoxing, c’è Daisy Osakue nel lancio del disco. La piemontese, ottava alle Olimpiadi di Parigi, è reduce dalla curiosa gara di metà aprile a Ramona, in Oklahoma, un meeting organizzato in una struttura ricavata su un campo agricolo, dai risultati clamorosi, ma favoriti da un vento fortissimo.
Si è parlato di “doping meteorologico”. È d’accordo?
«Una definizione acchiappaclick, ma insomma, il disco devi saperlo lanciare: per le donne nessun vantaggio in realtà, perché il nostro disco pesa appena un kg e ci tornava indietro. Però mi sono divertita. E ho fatto 63,10 metri».
Era una gara tutta e solo per voi lanciatori: bello no?
«Bellissimo che si sia pensato a una gara solo per noi. In genere i lanciatori, disco, peso, martello o giavellotto è uguale, vengono considerati figli di un dio minore dell’atletica. E dobbiamo lottare contro tanti pregiudizi».
Quali in particolare?
«Ad esempio si crede stupidamente che i lanciatori siano pigri, che non sono veri atleti, che noi donne siamo “donnone” e basta. Questi luoghi comuni ci hanno unite, facciamo squadra, stiamo bene insieme. E a me non dispiace andare in pista truccata, con i capelli a posto, colorati. Fare atletica per me è la felicità. Sono felice di poter vivere di quello che amo di più».
Il disco ha una storia millenaria.
«E il Discobolo di Mirone è un po’ l’immagine simbolo delle Olimpiadi. Mi ha sempre ispirato l’esattezza del suo gesto, il senso di purezza che emana. Nel disco la forza conta fino a un certo punto: la tecnica è fondamentale».
Il disco è il suo primo amore sportivo?
«Ho iniziato dagli ostacoli, al disco ci sono arrivata grazie all’incontro con Maria Marello, la mia allenatrice, alla Sisport di Torino. Quando ho iniziato mi hanno detto “pazza”, ma a me piace abbattere gli stereotipi e io punto al massimo, voglio uscire dallo stadio con un sorriso e spero di fare lo stesso a Tokyo, ai Mondiali, a settembre».
Lei è già tra le stelle dell’atletica.
«Ci lavoro duro. L’esperienza universitaria in Texas è stata molto importante: dovevo restarci cinque settimane, sono rimasta cinque anni, mi sono laureata in Giustizia criminale. Negli Usa si può dividere la vita tra studio e sport. In Italia troppe volte, prima di un esame, ho sentito un professore chiedermi “ah, così lei è l’atleta?”. Dobbiamo crescere come paese, e non solo in questo».
Lei è stata vittima di due brutti episodi di cronaca: ha rischiato di perdere un occhio per un uovo lanciato da un’auto in corsa a Moncalieri nel 2018 e poi a fine 2024 in un negozio di Torino l’hanno fermata e presa per ladra solo per il colore della sua pelle. È riuscita a mettersi alle spalle queste vicende?
«Devo, ma è stato importante parlarne e denunciarle. Siamo un paese in cui è radicata la paura del diverso che nasce dall’ignoranza. I miei genitori sono nigeriani. Sono nata a Torino, non sono mai stata in Nigeria, ma sento forte la mia dualità, e la considero un privilegio. Adoro la bagna càuda e la Nutella, impazzisco per l’inno di Mameli, il tricolore mi esalta, ma adoro quello che i miei genitori mi hanno trasmesso. Credo che Paola Egonu o Sara Curtis provino esattamente quello che provo io».
Un sogno non realizzato, ancora?
«Non lo dico, altrimenti smette di essere un sogno. Uno realizzato è la vittoria ai Campionati europei a squadre (l’ex Coppa Europa) con la Nazionale nel 2023. Quest’anno vogliamo ripeterci a Madrid. E poi barra dritta verso Tokyo».