La Stampa, 30 aprile 2025
Claudio Marchisio: "Tutor, non procuratore Seguo giovani e famiglie per un calcio protetto"
Quando Claudio Marchisio lasciò il calcio, dopo la parentesi russa allo Zenit a chiudere una carriera divisa tra Juve e Nazionale, era convinto di poter trascorrere più tempo in famiglia. Una previsione non troppo azzeccata se si pensa che in poco tempo da calciatore si è trasformato in imprenditore, opinionista tv, oggi anche presidente di lega in Kings League. E soprattutto fondatore di Circum, agenzia di servizi completi per calciatori. «Non è andata esattamente come pensavo... (ride), una volta di più devo ringraziare la mia famiglia che mi appoggia sempre in tutto», ha raccontato ospite nella redazione de La Stampa.
Marchisio, il suo modo di seguire i calciatori è però diverso dal solito. Qual è la sua mission?
«Da quando ho smesso di giocare mi son sempre chiesto come poter mettere a disposizione la mia esperienza in questo mondo, ho avuto la fortuna di avere al mio fianco Alessandro Tocci che è agente abilitato e abbiamo unito le forze, nel rispetto della normativa prevista dal Coni e dalla Figc per operare. Ho iniziato questo percorso lavorando con i giovani, quindi anche con le loro famiglie. Vogliamo creare un gruppo di fiducia per fare in modo che questo percorso possa essere più pulito e protetto possibile».
Come si proteggono i ragazzi dal mercato delle illusioni?
«Il problema sta in chi vuole accelerare i tempi facendo credere che raggiungere il sogno sia più facile di quanto è. C’è un’età in cui non si dovrebbe avere proprio bisogno di un procuratore, ma di altre figure. Io voglio provare ad aprire subito gli occhi ai ragazzi, il sistema vuole far credere a chiunque di poter diventare un grande giocatore, non è così. Bisogna stare loro vicini, non dimenticando che nel mondo globale molti sono anche sradicati dai loro ambienti».
Cosa serve a un calciatore per realizzare il sogno?
«Passione e dedizione pure fuori dal campo, come negli studi. E serenità. Hanno già troppe pressioni date dalla competizione tra ragazzi, dalle società, dagli allenatori, dalle stesse famiglie. Il mondo dello sport va talmente veloce che bisogna prendersi i tempi giusti per capire cosa si sta realmente facendo, a me questo insegnamento ha aiutato molto».
Servirebbe una riforma culturale nel calcio. In Italia è possibile?
«Non è semplice, però credo si debba provare a ribaltare la piramide attuale delle priorità, almeno nei vivai. Ora i professionisti si trovano negli ultimi passaggi del percorso, invece chi lavora con i bambini deve quasi farlo come hobby o secondo lavoro altrimenti non arriva a fine mese. È sbagliatissimo, è alla base che si assimila di più e ci si forma, è quella la fase in cui si deve investire, vale per la scuola come per lo sport. Ogni fascia d’età deve avere l’educatore e l’allenatore giusto. Che vanno premiati non in base ai risultati ma valutando a ciò che hanno effettivamente insegnato».
A proposito di mondo che cambia, come vive l’esperienza in Kings League?
«Con il mio ruolo di head of competition ho a che fare con le squadre e i loro presidenti. La Kings League non è un’evoluzione del calcio ma di come vivere sport, intrattenimento e il coinvolgimento del pubblico. Non va in contrasto con il calcio ma segue una strada diversa per andare nella stessa direzione. Stiamo crescendo molto in fretta, siamo molto felici di poter portare le finals all’Inalpi Arena il 22 maggio dopo il grande riscontro avuto a gennaio all’Allianz Stadium, ma questo sarà un evento anche più entusiasmante».
Tornando al calcio “tradizionale”, la sua Juve andrà in Champions?
«Da grande tifoso, lo spero. Bisogna pensare al presente, a vincere, non tanto al gioco. Abbiamo visto i risultati anche delle altre e stiamo capendo quanto sia dura raggiungere l’obiettivo. La Juve ha un calendario difficile, ma se indossi questa maglia devi in qualche modo portare a casa le prossime partite ed entrare in Champions».
Può essere Tudor l’allenatore del futuro?
«Conosce benissimo l’ambiente, è stato scelto anche per questo. Subentrare non è mai semplice, deve raggiungere l’obiettivo, poi dipende dalla società. Ma se dovesse farcela sarebbe giusto confermarlo. La Juve non può permettersi di non andare in Champions».
Chi vincerà lo scudetto?
«Il campionato è vivo, divertente, dal vertice alla lotta per non retrocedere. La capolista è appena cambiata, i particolari fanno sempre la differenza per tutti».
Però Conte...
«Me lo ricordo bene e ha subito trasmesso il suo DNA al Napoli. Il calendario non aiuta l’Inter, ma Conte so già che è lì come un martello per tenere alta la tensione di tutti i suoi giocatori per arrivare all’obiettivo».
Capitolo Nazionale, c’è un problema azzurro?
«L’ultima vittoria è arrivata con un nucleo juventino, nel Dna della Nazionale e di questa squadra c’è sempre stato uno zoccolo duro comune nei cicli importanti. In generale serve più coraggio nell’inserire giovani talenti italiani nel nostro campionato, anche a costo di bruciarli. La Nazionale ha bisogno di giocatori che facciano esperienza nelle coppe europee, da subito».
Juventino sì, ma torinese doc. Domenica sarà il 4 maggio, cosa pensa se le diciamo Grande Torino?
«Penso a un ricordo sempre vivo, la mia famiglia e poi il mondo del calcio mi hanno portato a conoscere e rispettare questa storia leggendaria. Io sono di Torino, fin da bambino ho giocato alla Juve cercando di vincere e segnare in ogni derby, ma ho sempre avuto profondo rispetto per la storia del Grande Torino. Un patrimonio di tutto il nostro Paese e del nostro calcio, questo ricordo va sempre tenuto vivo anche per le generazioni future».