ilgiornale.it, 30 aprile 2025
Nel mondo digitale è in corso da 15 anni una cyber guerra: Italia nel mirino
L’ex hacker Gianni Cuozzo non ha un background imprenditoriale ma un profilo da outsider. Ha origini salernitane, viene dalla piccola comunità di Valva come la sua famiglia, ma è nato in Germania nel 1990. Ha iniziato come hacker politico. Ora la sua azienda fattura circa 16milioni di euro l’anno. Exein, fondata nel 2018, è tra le società di Cyber Security che crescono di più in Europa ed è la prima al mondo per numero di software installati.
Il padre di Gianni Cuozzo fa il cameriere, mentre la madre lavora in una mensa. Difficile, a bocce ferme, pronosticare un futuro di questo tipo per loro figlio. «Da piccolo volevo fare il pilota – ci racconta – ma oggi volo abbastanza per soddisfare la mia voglia di stare in aereo». Ha vinto un premio al Mit di Boston, ha hackerato per gioco una petroliera al largo di Genova. E ci ha messo dieci minuti. Un’azione che – immaginiamo – avrà destato preoccupazione in più di qualche operatore. Poi, com’era quasi naturale che fosse, ha iniziato a collaborare con vari Paesi Nato sulla sicurezza informatica. Viene citato anche in relazione all’affaire Wikileaks.
Oggi Cuozzo parla con Moneta e racconta dell’esistenza di una guerra. Un conflitto invisibile ai più ma che miete vittime. «Sì siamo in guerra, e non da tre anni. Forse, nel cyberspazio si contano almeno 15 anni di guerra, con momenti più intensi e momenti più tranquilli». Un conflitto strano, se non altro perchè non sempre uguale a se stesso, con mappe e alleanze variabili. «Esistono dei blocchi, ovvero Occidente e Oriente. Ma anche dei «fronti più piccoli, regionali». Tra questi, “quello turco-israeliano”, quello “iraniano-saudita”, quello “iraniano-Israeliano”. In Europa – dice Cuozzo – vige il “tutti contro tutti”. Ma anche negli Usa esiste un fronte interno. E per dimostrarlo l’esperto di sicurezza informatica cita il caso di Hunter Biden. Uno dei target di questa guerra senza confini è il made in Italy. Il fondatore di Exein sostiene che l’Italia sia un obiettivo importante «sia dei cinesi, sia dei russi».
I pericoli per l’Italia
«Siamo fra i maggiori produttori di farmaci e macchinari industriali al mondo», specifica. «Siamo inseriti – insiste, parlando del Belpaese – nelle catene di valore più centrali. Attiriamo attenzioni non sempre amichevoli». Identificare con certezza il nemico non è semplice: «Uno dei problemi irrisolti nella sicurezza informatica rimane quella dell’attribuzione, perché esistono tante tecniche per “mascherare” l’origine dell’offensiva». Qualcosa però la sappiamo. «Conosciamo l’attivismo di iraniani, russi, cinesi, bielorussi e nordcoreani ma siamo spiati anche da nostri alleati, europei e non, che mascherano molte di queste operazioni cercando di dare la colpa sui soliti noti».
E se non è vero, come riportato di recente, che l’Italia subisce circa il 65% in più egli attacchi della media globale (perché molti, annota Cuozzo, sono “falsi -positivi”) è vero che un certo tasso di “analfabetismo informatico” ci espone in maniera pericolosa. Anche perché il sistema Paese, il nostro come quello della maggior parte delle nazioni esistente, è ormai dipendente dalla tecnologia.
Lo snodo difesa
Anche i gioielli italiani che fanno gola nella cyber guerra sono noti. «I nostri settori ad alta sensibilità come la difesa, la cantieristica navale, l’industria e il settore farmaceutico, con un particolare focus su quest’ultimo che viene preso di mira da cinesi e russi per la sottrazione delle informazioni». Ed è proprio su questa guerra silenziosa che si gioca parte del futuro sovrano dell’Italia. Per l’ex hacker, l’avvenire non è tutto rose e fiori.
I rischi dell’IA
«Il massiccio uso di sistemi per generare programmi tramite l’IA- fa presente – contribuirà ad abbassare la qualità del software in via generale». E avere a che fare con l’IA, in termini di sicurezza informatica, non è un esercizio banale. In questo quadro, anche l’IA diventa un fattore critico. «Il massiccio uso di sistemi generativi per sviluppare software – avverte Cuozzo – contribuirà ad abbassare la qualità del codice. E quando il software è di bassa qualità, aumentano vertiginosamente gli attacchi». Perché quei codici sono più vulnerabili. E l’IA, aggiunge, «può essere usata per eludere i controlli di sicurezza, rendere inefficaci i meccanismi di autenticazione, generare documenti falsi difficilissimi da distinguere da quelli veri».
Ma non solo: «L’IA può produrre malware in modo rapido e su larga scala. Gli attaccanti possono creare varianti di virus in continuo, rendendo sempre più difficile individuarli e neutralizzarli». Il risultato è uno squilibrio crescente. «Chi attacca parte sempre in vantaggio – conclude Cuozzo – e i difensori devono affrontare una complessità sempre maggiore».
Anche per questo, avverte, sarà fondamentale che l’Italia non continui a perdere i suoi giovani talenti in campo informatico. Perché il rischio concreto è perdere la guerra sull’altopiano del Carso digitale.