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 2025  aprile 30 Mercoledì calendario

Intervista a Mauro Corona

Mauro Corona oggi è un uomo che ha fatto pace con se stesso. È giovane fuori e dentro ma l’anagrafe – 75 anni ad agosto – dice che la terza età è ufficiale. Lui la prende seriamente. «Non sono più sul pezzo, ho abbandonato la trincea. Ho deciso di fidarmi degli altri. Ho deposto l’arma dell’arroganza ma questo non vuol dire che mi sono arreso, sia chiaro. La vecchiaia mi ha solo regalato serenità». Il docufilm La mia vita finché capita di Niccolò Maria Pagani, in sala come evento dal 5 al 7 maggio, è uno spaccato della sua storia.
Le è piaciuto?
«Il problema è che non mi piaccio io. Mi faccio schifo. Dalla voce all’aspetto. Se ci fosse stato un altro al mio posto sarebbe stato meglio».
Pensa questo davvero
«Dico sempre quello che ho dentro ma non combatto più per imporlo. Mi fido degli altri. È una conquistona della vecchiaia. Spero che, nel descrivermi, facciano un lavoro onesto».
Il documentario è bello e poetico.
«Vorrei piacere alla gente».
Chi è la gente?
«Ognuno di noi è gente per qualcun altro. Sembriamo tanti, con l’illusione di essere tutti insieme ma siamo soli. Ogni sera quando spegniamo la luce. Inevitabilmente soli».
È la paura del vuoto.
«Orrore non paura. L’horror vacui mi accompagna. Da bambini ci sporgevano su precipizi di mille metri per farcelo passare».
Risultato
«Nessuno. Il mio amico Manolo, pioniere di free climbing, ha detto: Ho scalato per paura del vuoto finché ho fatto del vuoto un punto di appoggio. Questo sono io».
Guarito, quindi
«Affatto. Ho il terrore del vuoto anche quando scrivo. Pagina bianca. Righino bianco. Scrivo a mano su ogni superficie del quaderno, perfino nella terza di copertina e nei risvolti».
E quando scolpisce?
«Ci metto un gufo ma riempio tutto. Non farlo mi sembra uno spreco».
È un riflesso psicologico.
«L’abbandono di mia mamma ha pesato. E tanto. Ha lasciato tre figli ed è saltata su un camion rosso. Lo ricordo come fosse oggi. Per sette anni non l’abbiamo più vista. E io ne avevo solo sei».
Perché lo ha fatto
«Mio padre la picchiava, l’ha mandata tre volte in coma. Non ce l’ha fatta più ed è scappata lasciandoci in balìa del mostro. Un uomo che non si riusciva nemmeno a guardare in faccia. Aveva occhi come pallottole».
Picchiava anche voi?
«Se sbagliavamo ci legava a un albero. Io al pero e mio fratello al melo. Un giorno venne una vicina a liberarci, quasi ammazzava di botte pure lei».
Poi la mamma è tornata
«Ma non ha mai rivelato dove sia stata. Quel segreto l’ha portato con sé. È stata vista in Svizzera e in Germania dove, molti anni dopo, è stato ucciso mio fratello».
Come... Assassinato?
«Era emigrato per fare il gelataio, fu trovato con il cranio fracassato sul bordo di una piscina a Paderborn. Tutt’intorno cocci di bottiglia. Il caso fu archiviato come annegamento ma quel giorno ci dev’essere stata un rissa. Nel ’68 a chi vuole che interessasse la morte di un gelataio italiano emigrato in Germania...»
Oggi che cosa direbbe a suo papà.
«Gli ricorderei le cose belle che abbiamo fatto. Sono state davvero poche».
Non è vendicativo
«Affatto. Mio papà era uno sconfitto, un’assenza in presenza. Non aveva cervello».
E a sua madre?
«La prenderei in braccio. Le chiederei di raccontarmi la nostra infanzia di cui ho pochi ricordi. Vorrei qualche bacetto, non me ne ha mai dati molti. Le toccherei i capelli e le proporrei di stendere un autunno di foglie su quel periodo. Perché sotto le foglie brulica la vita».
Rimpianti?
«Non averlo fatto. Le occasioni ci sono state. Quando sono morti mi sono sentito sollevato, giuro. Erano un misto di presenza-assenza. Incombenti. Era giunto il mio momento di vivere. Finalmente».
Se crede in Dio un’altra opportunità arriverà.
«Il mio Dio è energia. Creazione. Due fiocchi di neve mai uguali. Un grazie ogni mattina che apro gli occhi. Il mio Dio non sono le tonache, eccetto papa Francesco».
L’ha conosciuto?
«Gli ho regalato una favola su Gesù bambino che scompare dai presepi perché gli uomini sono troppo cattivi. Gli chiesi di venire a pregare per i morti del Vajont. Rispose che dipendeva dai cardinali. E non è mai arrivato».
Che cos’è la paura?
«L’unica cosa che noi bambini chiedevamo alla mamma di non provare. E invece era compagna di vita quotidiana».