Il Messaggero, 30 aprile 2025
Urbex, la mania social dei luoghi abbandonati: due morti in un giorno, Carlotta a Roma e Leonardo a Trapani
C’è una nuova frontiera del brivido che attira i giovani. Non è un parco giochi estremo né un videogame immersivo. È reale, tangibile, pericoloso. Si chiama urbex, abbreviazione di urban exploration, ed è la pratica sempre più diffusa di avventurarsi tra le rovine della città: ex ospedali, fabbriche dismesse, ville invase dall’edera, palazzi diroccati. Si entra, spesso di notte, per documentare, fotografare, respirare il fascino decadente del tempo che si è fermato. Ma quel fascino, a volte, uccide. Questi luoghi dimenticati diventano il teatro di tragedie annunciate come quella di Carlotta Celleno, 19 anni, precipitata a Roma da un edificio simbolo dell’urbex, e di Leonardo Titone, 14 anni, morto poche ore dopo in uno stabilimento abbandonato a Mazara del Vallo, a Trapani. Due vite spezzate nel giro di 24 ore, attratte dal lato oscuro di questi luoghi dimenticati.
Spinti dai social e dal richiamo estetico del “posto proibito”, questi giovani esploratori si muovono seguendo le coordinate GPS che circolano su gruppi Telegram, Tiktok o app dedicate appositamente. Pagine come Urbex Italia, con oltre 29 mila follower solo su Instagram, alimentano la community con reportage curati, scatti perfetti, post-produzione spinta, hashtag suggestivi. «Non toccare, non rompere, non rubare»: è il mantra. Ma spesso si dimentica la regola più importante: sopravvivere. C’è chi si arrampica su tralicci, chi posa truccata tra le rovine per servizi fotografici, chi si affaccia da cornicioni senza protezione per un video da caricare su YouTube. Ma l’urbex non è un gioco. Carlotta Celleno, 19 anni, è morta sabato scorso precipitando dal settimo piano dell’ex Molino Agostinelli, uno dei luoghi simbolo dell’esplorazione urbana a Roma. Studentessa di audiovisivo all’Istituto Rossellini, quel pomeriggio era salita con le amiche per girare un video. Un passo nel vuoto, e non c’è stato nulla da fare. «Amava i murales, faceva spesso queste uscite – racconta il padre, Carlo – ma non era una che cercava il rischio. Era solo un progetto artistico, una tragica fatalità».
Quell’edificio lo conosceva bene anche Skeggia, influencer da oltre 230 mila follower tra Instagram e TikTok, che in un reel pubblicato ieri ha lanciato un appello accorato: «Non imitatemi. Quel posto è pericoloso, l’ho detto più volte. Nessuno dovrebbe salirci, soprattutto da solo o senza attrezzatura. Carlotta non doveva morire così. Basta romanticizzare certi luoghi: sono trappole». Poche ore dopo, a oltre 900 chilometri di distanza, un’altra tragedia si consuma. Siamo a Mazara del Vallo, in Sicilia, nel rudere di un ex stabilimento vinicolo sul lungomare. Leonardo Titone, 14 anni, e un amico di 13 si arrampicano sul tetto, ignorando i cartelli di pericolo. La lastra sotto di loro cede e cadono da dieci metri. Leonardo muore sul colpo, l’altro è grave, ma salvo. «Glielo dicevamo sempre che era rischioso» racconta Asia, un’amica. «Lui era appassionato di luoghi abbandonati. Ma era incosciente». E mentre il fenomeno cresce, aumenta anche il numero degli edifici dismessi. In Italia se ne contano oltre 1,5 milioni. Più di 5.300 i borghi fantasma, 3.300 le ex caserme vuote, decine di migliaia tra chiese, ospedali, manicomi e 400 teatri chiusi da decenni. L’Italia è il paradiso dell’urbex. Ma anche un potenziale inferno per chi non ne misura i pericoli. E a volte, basta un passo falso per cadere nel vuoto.