Avvenire, 30 aprile 2025
Amnesty denuncia l’“effetto Trump”: ora è più facile violare i diritti umani
«Il mondo può essere un luogo infernale per le persone quando gli stati più potenti abbandonano il rispetto del diritto internazionale e ignorano le istituzioni multilaterali». In questa osservazione di Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International, è condensato il rapporto annuale dell’organizzazione, Lo stato dei diritti umani nel mondo, presentato ieri a Bruxelles. Da Gaza al Sudan, dalla Repubblica democratica del Congo al Myanmar, il Rapporto 2024-2025 analizza il (mancato) rispetto dei diritti umani in aree dove sono in corso conflitti armati che coinvolgono la popolazione. Sotto accusa regimi repressivi (è il caso dei generali in Myanmar) e teocratici (i taleban in Afghanistan e gli ayatollah in Iran), senza risparmiare l’Occidente: oltre a Israele, per il quale Callamard è arrivata a parlare di «genocidio israeliano dei palestinesi a Gaza trasmesso in diretta streaming ma inascoltato», ci sono gli Stati Uniti e persino l’Italia. «L’effetto Trump – sostiene Amnesty – sta mettendo il turbo al disfacimento dei rispetto dei diritti umani, ponendo a rischio miliardi di persone in tutto il pianeta». Il riferimento è alla raffica di ordini esecutivi per revocare la tutela di varie minoranze e deportare i migranti illegali: «A cento giorni dal suo mandato, Trump ha mostrato un assoluto disprezzo per i diritti umani universali. Il suo assalto totale ai concetti stessi di multilateralismo, asilo, giustizia razziale, genere, salute globale e azione climatica sta incoraggiando altri leader e movimenti contrari ai diritti umani». Quanto all’Italia, viene criticata per aver tentato di «inviare richiedenti asilo salvati in mare in Albania per esaminare le loro richieste fuori dal territorio nazionale» e perché continua a «sostenere la Libia nel trattenere i migranti nonostante le prove di gravi violazioni dei diritti umani». Secondo il rapporto, il governo di Giorgia Meloni avrebbe «cercato di screditare i giudici che non avevano convalidato gli ordini di detenzione» in Albania «minando la loro indipendenza». Inoltre, «le condizioni nei centri di rimpatrio per migranti non rispettino gli standard internazionali, con persone detenute in gabbie spoglie, mobili in cemento, servizi igienici inadeguati».
Il documento analizza la situazione in 150 stati, denunciando pratiche autoritarie. Documenta la proliferazione di leggi, politiche e pratiche contrarie alle libertà di espressione, di associazione e di riunione pacifica, quali la messa al bando di bando di organi d’informazione, Ong o partiti politici, la detenzione con accuse generiche dei dissidenti o degli attivisti e la repressione violenta di proteste e disobbedienza civile. È il caso dei quasi mille dimostranti uccisi in Bangladesh l’estate scorsa, quando la polizia sparò sulle proteste studentesche prima del cambio di regime; dei 230 dimostranti uccisi in Mozambico perché contestavano la regolarità del voto; del divieto di protesta in Turchia; della legge marziale proclamata in Corea del Sud dal presidente Yoon Suk Yeol, poi deposto. Un caso, come la vicenda del Bangladesh, che dimostra come sia possibile cambiare le cose.
Ed è violazione dei diritti anche l’uccisione dei civili ucraini da parte della Russia, così come la vendita illegale delle armi in Darfur, che alimenta la guerra civile in Sudan con i suoi 11 milioni di sfollati interni. In Myanmar i rohingya continuano a subire attacchi razzisti e molti hanno dovuto sfollare dallo stato di Rakhine. Il massiccio taglio degli aiuti deciso dall’amministrazione Trump ha aggravato la situazione dei rifugiati nella vicina Thailandia e in altre parti del mondo. Uno dei peggiori posti in cui vivere è lo Yemen: malnutrizione, epidemie e un’estrema povertà, oltre ai postumi della guerra. Qui i diritti delle donne, dei bambini, degli ammalati sono lesi quotidianamente. In tutto questo, denuncia Amnesty, si assiste alla delegittimazione da parte di potenti capi di stato di istituzioni internazionali come l’Onu che, pur non essendo prive di criticità, restano un argine a difesa dei diritti: «Il costo è gigantesco: la perdita di protezioni vitali sorte per salvaguardare l’umanità dopo gli orrori dell’Olocausto e della Seconda guerra mondiale».
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