Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  aprile 29 Martedì calendario

Gianluca Sordo: «In coma per una testata in un bar, oggi ho una pensione di invalidità. Da Allegri neanche un saluto, lo mandai a quel paese»

«Sono davanti alla scuola di Nicolò, ha 9 anni. L’ho avuto tardi, ne avevo 46, diciamo che me la sono presa comoda. Per ora di sport non ne vuole sapere, i ragazzi di oggi d’altronde sono sempre chini sul cellulare. Noi invece avevamo la palla in mano, a qualsiasi ora». Gianluca Sordo ha il finestrino dell’auto abbassato quando vede suo figlio uscire dal cancello. Gli fa un cenno, sale: «Ma continuiamo pure a parlare, per me non ci sono problemi».
La sua storia potrebbe apparire surreale agli occhi ingenui di un bambino. Ex esterno da 117 partite in serie A, nel 1992 Gianluca ha vinto un Europeo U21 con l’Italia, ha partecipato alle Olimpiadi di Barcellona e ha sfiorato il trionfo in Coppa Uefa col Torino. Nel 1994 il passaggio al Milan di Capello, poco più di dieci anni dopo l’aggressione di un «vigliacco», come lo definisce lui stesso, che lo costringe al ritiro e che gli rovina la vita.
Cosa è successo?
«Mi allenavo tutti i giorni, nella speranza di trovare una squadra in C2. Ogni venerdì, poi, andavo a giocare a calcetto con i miei amici, quindi una pizza a cena e una bevuta in un bar a Marina di Massa prima di tornare a casa. Una sera, senza volerlo, pesto il piede a una ragazza. Le chiedo scusa un paio di volte, lei non le accetta. Alla terza perdo la pazienza e la mando a quel paese. A quel punto un ragazzo che era alla mia sinistra, e che evidentemente nutriva un certo interesse per lei, mi rifila una testata alla tempia. Ci dividono, lui era recidivo. Aveva già dei precedenti».
Capisce subito che è grave?
«Torno a casa, inizio a vomitare nel letto, non riuscivo a parlare o a muovermi. Mia moglie, oggi ex, chiama il 118. “Ha bevuto, ora gli passerà”, le rispondono. Continuo a peggiorare, a quel punto avvisa mia mamma che richiama subito i soccorsi. “Se non lo portate in ospedale, muore”. Mi fanno una tac, avevo un ematoma cerebrale. Alle 8 del mattino mi operano a Pisa, salvandomi la vita. È un miracolo che sia qui a raccontarlo».
Da lì inizia un calvario.
«Finisco in coma per quattro giorni, quindi un mese di terapia intensiva e una lunga riabilitazione pagata tutta di tasca mia. I danni però me li porto dietro ancora oggi. Zoppico, ho dei deficit motori con la parte sinistra del corpo e la testa mi va a fuoco anche quando leggo solo mezza pagina di giornale sportivo. Percepisco una pensione di invalidità».
Dopo il ritiro ha più lavorato?
«Ho provato a fare qualche investimento immobiliare, ma è stata dura riprendermi. Sono sempre stato uno grintoso e determinato, poi invece mi sono arenato. Non sono più un ragazzino, ho solo la terza media e una memoria, soprattutto a breve termine, compromessa».
E il calcio?
«Mi ha dimenticato, nessuno si è degnato di chiedersi se fossi ancora vivo o no, solo gli ex compagni di squadra».
Il suo ultimo allenatore è stato Allegri.
«All’Aglianese, era alla sua prima esperienza mentre io ero il giocatore più anziano. Ma di lui conservo un bruttissimo ricordo».
Perché?
«Gli davo una mano, in campo si era creato un bel rapporto, era tutto un “Gianlu, Gianlu, Gianlu”. Poi in un mese di terapia intensiva non si è mai fatto vedere o sentire. Tutti sapevano quello che mi era accaduto, ne avevano parlato tv, radio e giornali. Non ero andato in Groenlandia, stavo lì a pochi minuti d’auto da lui, una persona con cui avevo condiviso le giornate fino a qualche mese prima. Mai un lunedì dopo le partite che sia venuto a salutarmi».
L’ha più rivisto?
«Un giorno a Forte dei Marmi, stava per firmare col Milan. Ha provato ad abbracciarmi fuori da un negozio come se non fosse successo niente, ma avrebbe dovuto pensarci prima. Ero arrabbiato, lo mandai a quel paese. Mi è dispiaciuto perché era con una persona anziana, forse il padre. E stavo per fare lo stesso anche con Galliani, poi un mio amico mi ha fermato in tempo».
Al Milan giocò poco.
«Maldini, Savicevic, Boban, Baggio, non meritavo di stare in mezzo a quei campioni. Avevo ancora un anno di contratto col Torino, dove avevo vinto la Coppa Italia. Potevo usare l’interesse dei rossoneri come leva per un rinnovo e diventare una bandiera. Ma il mio procuratore, Oscar Damiani, badò più alla sua parcella che al mio interesse. Galliani voleva prendere uno fra il sottoscritto e Sandro Cois e Damiani, senza appuntamento, si precipitò al Filadelfia dopo un allenamento per parlare con me. Avevo 24 anni, ti chiama un club così, come facevo a dire di no? Doveva essere lui a farmi ragionare».
Come è finita con Oscar Damiani?
«Dopo 10 anni di procura mi ha scaricato sulle rotaie del tram, a Milano, come un barile. Ormai ero diventato un pesce troppo piccolo per lui. Rispetto e valori mancavano anche nel calcio di allora».
I giornalisti di lei scrivevano: «A lui e all’amico Lentini piace fare tardi la sera per le feste e le belle donne».
«A Milano ero scapolo, ma non serviva andare all’Hollywood per fare la bella vita, bastavano i ristoranti. Ma con Lentini facevo più serate a Torino, solo che nessuno rompeva perché la squadra andava bene».
Il regalo più costoso che si è fatto?
«Una Mercedes SL da 150 milioni di lire. Dopo un anno me la rubarono in un garage di Milano».

Perché dopo il Milan non si è più ripreso?
«Alla Reggiana con Lucescu mi lesionai cinque volte. A Bari venivo visto come l’uomo di Fascetti, che litigò coi tifosi. A 28 anni non mi voleva nessun club di A e ci sta. Ma perché neanche uno di B? Qualcuno ha voluto tagliarmi le gambe. In molti se la sono legata al dito. Al Milan per esempio rifiutai di andare via in prestito. Giocavo poco, è vero. Ma non ho mai fatto polemica».

Oggi le sue giornate sono Nicolò e?
«Cristina, la mia attuale compagna. L’ho conosciuta nel ’92. Quando mi sono separato da mia moglie, sono sbarcato su Facebook e abbiamo ripreso i contatti. Ci siamo rivisti 30 anni dopo, in pieno Covid. Lei fa la tour operator, poteva prendere i treni. Non ci siamo più divisi».

Rimpianti?
«La traversa a un minuto dalla fine nella finale di Coppa Uefa contro l’Ajax. Colpo di testa di Mussi, mezza rovesciata, la prendo di collo pieno, passa sotto la gamba di De Boer, poi il legno, il terzo della nostra partita. Avrebbe cambiato la storia del Torino e anche la mia. I tifosi mi avrebbero fatto una statua di marmo».