repubblica.it, 29 aprile 2025
Salute, ai più ricchi il doppio delle detrazioni. E i lavoratori poveri under 30 sono 4 volte di più
I lavoratori che in Italia sono sotto la soglia di povertà pur avendo un reddito mensile tra il 2014 e il 2024 sono aumentati del 55%, rileva l’Istat. Analizzando le quasi 800mila dichiarazioni dei redditi presentate dai propri Caf, le Acli rilevano inoltre che la povertà lavorativa colpisce i giovani con meno di 30 anni quattro volte di più rispetto agli ultracinquantenni.Tra le donne l’incidenza è dell’11,6% contro il 5,3% degli uomini. Fortissime anche le disuguaglianze territoriali: tra la Basilicata e la Lombardia vi è una differenza di tre a uno in termini di probabilità di firmare un contratto a bassa retribuzione.
Il parametro scelto dagli autori dell’indagine, per definire il lavoro povero è una retribuzione mensile inferiore a 726 euro al mese, corrispondenti a 8.718 euro lordi annui. Una cifra che non è neanche lontanamente sufficiente a mantenersi, soprattutto in una grande città, e infatti il titolo scelto quest’anno è “Un lavoro non basta”. L’indagine è stata condotta da Alessandro Serini e Gianfranco Zucca, ricercatori dell’IREF, Istituto di Ricerche Educative e Formative. A trovarsi nella condizione di lavoro povero l’8,4% del campione Acli, che però non coincide con quello Istat trattandosi dei lavoratori che hanno scelto di presentare le dichiarazioni dei redditi presso i Caf dell’organizzazione: a differenza del campione Istat, che prende in considerazione anche chi lavora per pochi giorni in un anno, qui si considerano invece solo lavoratori che hanno lavorato almeno nove mesi, e quindi mediamente meno poveri rispetto a chi lavora per periodi più limitati. E infatti è molto ampia la quota di lavoratori a reddito medio, tra i 20 mila e i 40 mila euro lordi l’anno.
E tuttavia, nonostante questa prevalenza di redditi medi, le differenze emergono. A quelle di genere e di età si aggiungono quelle territoriali che non sono solo tra regioni, ma anche tra grandi metropoli e piccoli centri, soprattutto interni. Ci sono circa 4.000 euro di differenza tra i redditi medi da lavoro nell’Italia dei ‘poli’, ossia nei comuni che hanno una dotazione di servizi essenziali tale da attrarre i flussi di popolazione dalle altre aree, e i Comuni interni, l’Italia dei paesi dalla quale occorre spostarsi per avere accesso a salute, educazione e mobilità. Occupazione remunerative e buoni servizi vanno, dunque, di pari passo. Tra una lavoratrice che risiede in uno di questi poli e una che risiede in un’area interna la differenza arriva a 14mila euro.
C’è poi un aspetto significativo legato alle detrazioni. Secondo l’Osservatorio dei conti pubblici italiani dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, i contribuenti con redditi più bassi (fino a 15.000 euro annui) che costituiscono il 44% del totale, beneficiano solo dell’11% delle detrazioni sanitarie complessive, con una media di 196 euro di spese sostenute per dichiarazione. Al contrario, i contribuenti con redditi più alti (oltre 120mila euro annui) usufruiscono dell’85% delle detrazioni totali. Uno squilibrio che “riflette non solo la disparità economica, ma anche un accesso problematico ai benefici fiscali legati alla salute”.
Dati che vengono confermati dall’analisi delle Acli: i lavoratori del 1° quintile di reddito portano, detraggono in media 749 euro l’anno per spese sanitarie; i lavoratori più ricchi (5° quintile) quasi il doppio, 1.369 euro. Eppure, rilevano gli autori dell’indagine, “la salute non è un costo ‘elastico’, ossia dipendente dalle risorse del consumatore, ma una spesa che secondo i casi della vita riguarda in maniera indistinta tanto i lavoratori a basso reddito quanto quelli con retribuzioni più alte”. Evidentemente la “capienza” delle dichiarazioni e la capacità di anticipare la spesa incide sulla possibilità di curarsi.
Istat, salari reali ancora 8% inferiori a gennaio 2021
"Le retribuzioni contrattuali reali di marzo 2025 sono ancora inferiori di circa l’otto per cento rispetto a quelle di gennaio 2021. Perdite inferiori alla media si osservano in agricoltura e nell’industria, mentre situazioni più sfavorevoli si registrano nei settori dei servizi privati e della pubblica amministrazione”. Lo evidenzia l’Istat nel suo commento ai dati delle retribuzioni di marzo che rimarcano un aumento tendenziale del 4,0%