La Stampa, 29 aprile 2025
Ermal Meta: "Il Primo Maggio nel mondo del dio profitto"
Ermal Meta è fin troppo disincantato: «Ormai le voci fuori dal coro finiscono sempre per essere schiacciate». Eppure non ce la fa a girarsi dall’altra parte. Non l’ha fatto due anni fa, quando c’era da battersi contro gli stupri di gruppo adolescenti – con tanto di appello a Giorgia Meloni – e non lo farà nemmeno giovedì quando salirà, di nuovo, come coconduttore sul palco del Concertone del 1° Maggio per ribadire l’importanza di un’economia che guardi all’uomo anziché al profitto.
I lavoratori (ben remunerati e in sicurezza) rischiano di diventare, se non una minoranza, una classe di privilegiati?
«Lo scopriremo tra un po’ di tempo. Il mondo sta cambiando e il nostro stile di vita, improntato sul desiderio anziché sulla necessità, porta verso un consumismo sfrenato, dove al centro c’è solo il profitto. Purtroppo per invertire la marcia bisognerebbe riconsiderare l’intero sistema occidentale».
Che ne direbbe Trump?
«Trump parla alla pancia delle persone ma credo che sui dazi dovrà fare marcia indietro. Semmai il pericolo più concreto è la politica di blocco: continua a erigere muri. Impone rimpatri. Punisce intere comunità in nome di poche mele marce. Questo mi spaventa».
In questi giorni tutti ricordano Papa Francesco. Non sarebbe stato meglio ascoltarlo di più quando era vivo?
«Finisce sempre così: è la dannazione della memoria. Battuta a parte, è riuscito a imporsi come la voce degli ultimi: le sue non erano mai parole vuote, men che meno dette al vento».
Lei è credente?
«Diciamo che sono un caso a sé, perché credo ma non sono battezzato: in Albania era vietato per legge. Si pensava che la religione fosse davvero l’oppio dei popoli quindi i sacramenti erano illegali. Sono invece convinto che il senso di vuoto, presente in ognuno di noi, e quello slancio verso la ricerca di un senso dimostrino che facciamo parte di qualcosa di più grande. I famosi 21 grammi dell’anima non scompariranno nel nulla».
Il Papa si batteva per la pace. Più che nel riarmo, sarebbe meglio investire in sanità, scuola e aiuto ai lavoratori?
«Il punto è: stiamo andando in guerra? Se è così, ditecelo e allora capisco la corsa alle armi. Diversamente, è una mossa per lo meno singolare. Non so se ci sia un conflitto all’orizzonte ma ascoltare Von der Leyen parlare sempre di guerra e riarmo non lascia tranquilli».
C’è chi sostiene che i cantanti dovrebbero solo cantare...
«Decidetevi, perché quando si tratta di fare i comizi, poi ci invitate. Io stesso sono stato spesso chiamato, ma ho sempre rifiutato: non mi riconosco in questa politica che non mette al centro i cittadini».
Sui social però si espone. Mai pentito per qualche post?
«Pentito mai. Mi spiace quando le mie parole vengono travisate e strumentalizzate da una certa politica, come è successo con il mio ultimo concerto. Citando Jung ho detto che ogni uomo ha un mostro dentro di sé, invitando al confronto sui femminicidi. Ne è nato un polverone, leggevo cose come “io mi libero del mostro tutte le mattine” e alcuni politici hanno cavalcato la cosa, citando sempre la parola Albania come se io, in quanto immigrato, fossi un mostro. Ma io vivo in Italia da 30 anni. È stato uno schifo: un episodio di una bassezza infinita».
La violenza maschile è uno dei temi del suo libro Le camelie invernali. Vuole farsi portavoce di un cambiamento?
«Ci provo anche se, alla faccia della libertà, chi la pensa diversamente viene schiacciato. Io però non demordo: non riesco a fare finta di nulla».
Meloni rispose mai al suo appello social?
«No, ma forse ho fatto io un gesto un po’ troppo sopra le righe. Però sentivo un dolore enorme per quelle donne abusate, che avevano paura di denunciare e venire rinnegate dalle famiglie».
È sempre così battagliero?
«Da giovane ero molto più fumantino: anche se le prendevo sempre – peso 20 kg oggi, figurarsi allora – davanti a un’ingiustizia scattavo subito».
Anni fa voleva adottare due bambine albanesi ma solo ora, che hanno 18 anni, vivranno con lei. Il sistema delle adozioni è da rivedere?
«La complessità burocratica è una forma corretta di tutela verso i minori: però credo che dovrebbero poter adottare anche i single e le coppie gay. Io e mio fratello siamo stati cresciuti solo da mamma: non siamo venuti fuori poi così male».