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 2025  aprile 29 Martedì calendario

Militari, le nuove regole della Difesa: «Piastrine di riconoscimento per i soldati in zone di guerra»

Divise in due. Se finisce male, una metà resta attaccata al corpo, l’altra va all’esercito. Nome, cognome, gruppo sanguigno. Per chi vuole: religione. Parliamo delle piastrine dei militari. O “dog-tags”, come chiamano in America, dove le hanno inventate, le medagliette di metallo appese al collo dei soldati. Iconiche, presenza fissa nei film di Hollywood. Rambo la mostra sprezzante ai poliziotti che lo interrogano in commissariato, prima di scatenare un pandemonio. Tom Cruise in Top Gun le getta in mare per ricordare gli amici caduti in missione. Da Full Metal Jacket al soldato Ryan fino all’epopea dei supereroi in divisa della Marvel – Wolverine, Captain America – le medagliette metalliche sono da sempre il gadget più riconoscibile e conosciuto dei militari in tutto il mondo.
La novità è che ora se ne torna a parlare anche in Italia. Se ne occupa una circolare inviata a inizio aprile dal ministero della Difesa guidato da Guido Crosetto. Oggetto: «Piastrino/medaglioncino di riconoscimento per i militari delle Forze armate e dell’Arma dei carabinieri». E via un fiume di istruzioni, fino al minimo dettaglio, su come usare, montare, costruire le famose piastrine metalliche onere e onore di chi indossa la mimetica. Scrive il ministero: «Sono obbligatorie per tutti i militari, inclusi i Carabinieri, e servono a individuare con immediatezza i militari in caso di prigionia o di morte in tempo di guerra e/o in missioni fuori area». Prigionia, morte, guerra? C’è chi potrebbe sussultare a leggere tali istruzioni, oggi che la guerra è entrata nel vocabolario quotidiano degli italiani, dal bar ai social, ed è facile che qualche pacifista militante gridi allo scandalo, all’escalation militare, al riarmo.
Calma e gesso. In realtà i militari italiani indossano le piastrine da un’era, hanno iniziato quando per le strade i carabinieri si chiamavano gendarmi e avevano baffi a manubrio, come nei racconti di Collodi. Però è curioso che proprio ora la Difesa italiana decida di aggiornare le regole. Con dovizia di particolari. Le medagliette devono «attribuire i dati anagrafici, quelli del gruppo sanguigno e fattore Rh dei militari in caso di incidente, nonché, su richiesta dell’interessato, nei casi previsti, la religione professata». Insomma, quanto basta a riconoscere il corpo di un soldato ferito, o caduto in battaglia, in una zona di guerra.
Sono trascorsi decenni dall’ultima circolare in materia. Correva l’anno 1978 e l’allora ministro della Difesa del governo Andreotti, il Dc Attilio Ruffini, dettava disposizioni ai militari per le piastrine Marines-style. Oggetto amato e odiato dai tanti italiani allora costretti alla leva. Riconsegnata ai superiori dopo le fatiche in caserma, poteva essere rispedita al mittente «in caso di richiamo alle armi». Altri tempi, come riconosce il nuovo documento della Difesa, procedure che «debbono ritenersi superate, in considerazione sia della sospensione della leva obbligatoria e sia della soppressione dei Distretti Militari».

LE ISTRUZIONI
Le piastrine, queste no, non sono superate affatto. E se viene strano immaginare il Carabiniere di quartiere con addosso la medaglietta in metallo indossata dal sergente Hartman di Kubrick, così prevede la legge ed è un dovere, ché la piastrina «costituisce “completamento della documentazione matricolare” per tutti i militari delle Forze armate e dell’Arma dei carabinieri». Magari non servirà il suo scopo ultimo – riconoscere un caduto in battaglia, visto che in battaglia, per fortuna, di italiani ora non ce ne sono – ma resta ancora oggi, come cent’anni fa, il distintivo più riconoscibile di chi ha scelto una vita in divisa.
Formata da «una lamina di acciaio inossidabile e resistente ad altissime temperature», divisa in due parti per lasciarne una metà, di fronte all’estremo sacrificio, ai superiori dell’esercito. O magari ai famigliari a casa. Si sono ricomposte così, con quelle due lamine di acciaio, tante storie dimenticate di italiani morti sui monti durante le due guerre, dal Carso all’Appennino.
E lì rimasti spesso nell’anonimato, coperti da strati di neve e di rocce. Finché un bagliore non attira l’attenzione di un passante, magari decenni dopo. A metà aprile è successo a Novi Ligure. Un montanaro incappa in una piastrina della Seconda guerra mondiale: Crespi Mario, classe 1917, originario di Casorezzo, in Lombardia. È tornata in mano ai famigliari. Sopravvissuta alla ruggine e al tempo che passa e non sempre è galantuomo con queste vite spezzate impresse su metallo.