Avvenire, 29 aprile 2025
Proiettili per i cannoni dove si costruivano sospensioni e marmitte
Creare già oggi i presupposti di un’eventuale «economia di guerra», ad esempio cominciando a convertire, in stabilimenti dell’industria militare, delle fabbriche inizialmente concepite per produzioni civili, come quelle automobilistiche. In Francia, si avanza su questa strada, alla luce pure di una serie di rapporti e studi che hanno evidenziato delle presunte «lacune» nel sistema di produzione di armi e munizioni. Ciò ha finito per spingere il governo a ufficializzare molto rapidamente il proprio via libera a questa strategia. La quale, adesso, si accinge ad entrare in una fase pienamente operativa.
Il caso più significativo, finora, è quello di uno stabilimento storico risalente al 1966, “Fonderie de Bretagne”, non lontano da Lorient, nell’Ovest transalpino. Si tratta di una fabbrica tradizionalmente dedicata alla componentistica automobilistica, a cominciare dalle sospensioni e dai tubi di scappamento. Degli elementi per equipaggiare fin qui soprattutto dei modelli della Renault, il marchio che in passato era proprietario dello stabilimento, poi passato a un fondo tedesco d’investimento.
Ma gli alti e bassi degli ultimi anni nell’industria dell’auto avevano già provocato delle interruzioni nelle cadenze abituali della fabbrica. Tanto che lo stabilimento, ancora dipendente quasi interamente dalle ordinazioni di Renault (95%), si trovava in acque torbide, anzi giuridicamente proprio davanti alla prospettiva di una chiusura. La situazione di stallo, sotto protezione giudiziaria, si era protratta per mesi, con i sindacati sul piede di guerra, ma in parte già rassegnati all’idea di un destino tutt’altro che roseo per la struttura produttiva e soprattutto per i 285 lavoratori dipendenti. Su questo sfondo decisamente fosco, il mese scorso, si è fatta luce l’ipotesi di una riconversione dell’impresa per produzioni a carattere bellico. Proprio in questa chiave, è stato appena ufficializzato un accordo destinato a evitare un fallimento definitivo, mantenendo lo stabilimento quasi interamente in attività. Ma dai tubi di scappamento, si passerà a una produzione sostenuta di munizioni, per cannoni e altri elementi d’artiglieria.
Il nuovo gruppo acquirente, Europlasma, si è impegnato a investire 15 milioni di euro nell’arco di 3 anni, rassicurando quanti temevano un’operazione finanziaria a carattere speculativo, come altre che hanno già portato, in un breve arco di tempo, allo smantellamento irreversibile di altre strutture. Da parte dei vertici di Fonderie de Bretagne, il salvataggio in chiave militare è stato presto accolto come «un’opportunità unica, poiché permetterà un incremento rapido della produzione e un’accelerazione della diversificazione delle attività al di fuori del settore automobilistico », secondo il comunicato ufficiale. L’obiettivo produttivo del piano presentato da Europlasma è di circa un milione di proiettili all’anno.
L’accordo di ripresa dovrebbe permettere di evitare qualsiasi licenziamento diretto, con una riduzione limitata degli organici che verrà gestita attraverso dei prepensionamenti o delle riconversioni volontarie. All’operazione, è stata chiamata a partecipare in primo luogo Renault (25 milioni di euro). Come sempre può capitare in Francia, sono entrati nella cordata del salvataggio, pure lo Stato e diversi enti locali, pronti a garantire congiuntamente un prestito di 7 milioni di euro.
Adesso, il caso “Fonderie de Bretagne” farà scuola nel Paese? Di certo, non mancano già altri esempi, come per Delair, un fabbricante di droni civili che produce ormai nel Midi degli apparecchi militari utilizzati in Ucraina.
A metà marzo, il presidente Emmanuel Macron aveva convocato i principali gruppi nel settore della Difesa, proprio allo scopo di accrescere la produzione di armamenti, anche puntando sulla riconversione di fabbriche “civili” in difficoltà. Una tendenza già vista in Francia, come ricordano non pochi osservatori, in corrispondenza delle pagine più fosche della storia novecentesca europea.