La Stampa, 28 aprile 2025
Intervista a Fru
«Il bello di Pechino Express? Per me viaggiare, scoprire persone e culture, indagare e curiosare. Ma anche, un po’ sadicamente, sentirmi il “master of puppets” dei concorrenti». Nel travel game di Sky (in onda al giovedì e in streaming su Now) Gianluca Colucci in arte Fru è la longa manus di Costantino della Gherardesca, l’inviato speciale sul campo. L’8 maggio va in onda l’ultima puntata di una edizione ricca di colpi di scena e panorami mozzafiato che si concluderà in Nepal, il tetto del mondo, dopo avere attraversato Filippine e Thailandia.
Anno mirabilis questo 2025 per Fru: in Nepal arriva dopo aver toccato Sanremo, dove a sorpresa è salito sul palco del Festival insieme ai The Kolors esibendosi in una danza scatenata sulle note di Tu con chi fai l’amore. Poi c’è stata la partecipazione alla serie Sconfort Zone di Maccio Capatonda (Prime Video). E ora arriva il lancio della seconda stagione di Pesci piccoli. Un’agenzia. Molte idee. Poco budget, opera collettiva del collettivo dei The Jackal di cui fa parte in anteprima al Comicon (2 maggio) per poi arrivare su Prime a giugno.
È la sua terza volta a Pechino Express: prima concorrente in coppia con Aurora Leone, poi da due stagioni inviato speciale. Perché tornare a soffrire?
«È la sintesi di ciò che più amo: la geografia, la gente, le culture e le lingue altre (per un po’ ho studiato giapponese). Sono curioso del mondo. Ho scritto il libro Come imparare tutte le bandiere del mondo con il metodo Fru (anche se non vi servirà mai). Pechino ti porta in posti remoti e sconosciuti in un momento storico in cui ci si asserraglia sempre più, ciascuno nella propria bolla a sua esclusiva immagine e somiglianza».
Ricordi del concorrente Fru?
«L’ansia. Sono competitivo: la notte non dormivo per la paura di essere eliminato».
E dell’inviato?
«È un ruolo che mi ha permesso di rivivere quella fantastica esperienza con qualche stress in meno. Da ex provo empatia per chi è in gara, ma spesso prevale il piacere quasi sadico di averli sotto le mie grinfie».
Pechino dietro le quinte?
«Non è una vacanza. Non mancano disagi, inconvenienti e fatica. Devi precedere i concorrenti, i luoghi da raggiungere sono impervi, le strade impraticabili. Per il resto, veri segreti non ce ne sono: vedete le persone come sono davvero».
Momenti indimenticabili?
«Una sera, stanco morto, dopo la solita brevissima telefonata alla mia fidanzata, stavo facendo un po’ di scroll al telefono quando sento cadermi addosso qualcosa. Alla luce del cellulare vedo materializzarsi il mio peggior incubo: l’invasione degli artropodi, mostruosi e diabolici, sotto forma di una specie di enorme gambero grigio terra. Rispetto la vita di tutte le creature, ma quello l’ho sciabattato senza pietà. Dopo di che non ho più chiuso occhio. Ma l’ho richiamata. Abbiamo parlato a lungo, quella volta».
E nel bene?
«In Nepal: stavamo preparando una prova, attorno a noi gente incuriosita, tra cui una mamma con bambino piccolo. A un certo punto me lo mette in braccio e se ne va per i fatti suoi. Iniziamo a registrare e mi rendo conto che ho ancora quel bambino al collo. Mi ha commosso nel profondo quella fiducia in uno sconosciuto»
Retroscena sui concorrenti?
«Pochi: facciamo vite davvero mooolto separate. Il Caressa furente (edizione 2024) con me e tutto il mondo perché “Le Amiche” avevano fatto un sorpasso pericoloso. Facile a infiammarsi, da vero sportivo però si placava altrettanto rapidamente, “È un gioco...”. Ma quella volta, no. In questa edizione invece mi hanno sorpreso “Le Sorelle": dolcissime e gentili, forse più di tutti hanno capito lo spirito del viaggio. Quel gran saggio di Costa sostiene che a Pechino nessuno come le donne over 50».
Un passo indietro: perché Fru?
«Da John Frusciante. Adolescente, i Red Hot Chili Peppers erano la mia ossessione musicale. Fui per questo soprannominato O’ Fruscià, poi ulteriormente contratto in Fru. Mi rimane anche ora che ho quasi 30 anni. Mi piace pensare che è il segno che continuo a portare in me tanto di quel ragazzino».
Gianluca Colucci si unisce ai The Jackal nel 2015.
«A 18 anni attraversavo una fase di grande confusione sul mio futuro. Sognavo di lavorare nell’intrattenimento: ma come? La società già allora toglieva la capacità di credere nei sogni. Comunque. Facevo dei video, i The Jackal li vedono e mi contattano, mi propongono di collaborare, tra l’altro a una loro parodia di Arancia Meccanica dove sarei stato uno dei drughi. Buco di due ore la convocazione per le riprese, ma sono fortunato perché arrivo che la mia scena non è stata ancora girata. Più in là avrei avuto una seconda chance. Dopo di che sono rimasto».
Vero che nessuno ne sapeva niente della partecipazione a Sanremo?
«Per quel che ne so io, nessuno. Sono arrivato senza prove, con l’allegria e la libertà di essere me stesso. Fino all’ultimo temendo che mi buttassero fuori. Noi Jackal abbiamo sempre fatto dei video da Sanremo: quest’anno il mio tormentone era salire sul palco. The Kolors sono degli amici e con un bel senso dell’umorismo, hanno accettato. Avevano anche capito il messaggio di libertà e leggerezza di quella performance e di tutti i video in cui ballo per strada».
Il video è diventato virale e si sono moltiplicati i meme. Ha pure fatto il bis ad Amici
«Lì è stato Stash, che è di casa, a volermi. Diceva che ovunque andasse, gli chiedevano del quarto The Kolors: ero diventato una specie di “bonus repettiano”. È così in poche settimane mi sono esibito nei programmi più visti della tv italiana»
Perchè il messaggio di libertà e leggerezza?
«Non sono un campione di autostima. Mia madre però ha sempre detto, a me e mio fratello, che non dovevamo avere paura di essere noi stessi. Io l’ho fatto anche quando mi faceva sembrare un po’ strano e diverso, anche da adolescente, età in cui in genere si preferisce sentirsi omologati e parte di un gruppo. Ballare è una metafora. È il mio incoraggiamento a non avere paura, a essere orgogliosi di sé e credere nei propri sogni».