Libero, 28 aprile 2025
Alcuni aneddoti sul voto alle donne
È uscito il volume: Il voto alle donne. Una storia globale (il Mulino, pagg.302, euro 24), a cura di Raffaella Baritono e Vinzia Fiorino. Un gruppo di storiche contemporaneiste fa il punto su una narrazione generale ancora in corso e davvero interessante perché, facendo la storia del suffragio femminile nel mondo, riferisce in maniera originale come i concetti di libertà e uguaglianza, pur sembrando universali, siano invece affiorati nel conflitto tra indipendenza e schiavitù, uguaglianza e differenza, regnanti e governati.
Cosa ha portato al riconoscimento del diritto di voto alle donne? «Il voto è l’emblema della vostra uguaglianza, donne d’America, la garanzia della vostra libertà». Così, nel 1920, Carrie Chapman Catt, leader americana del suffragio femminile, esprimeva, con queste parole degne di una sacra battaglia, la sua soddisfazione, nel corso di un ricevimento alla Casa Bianca, per la ratifica del XIX emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America che conferì alle donne il diritto di voto. Per Carrie Chapman Catt, finalmente, si era valicato un confine simbolico e politico che sfidava concezioni e dogmi che avevano legittimato la subordinazione delle donne. Il voto non era da intendersi come conquista individuale, bensì collettiva; un agire femminile fondato sul principio del “disinteresse” e frutto non dell’esercizio dei diritti individuali, ma delle funzioni esercitate tradizionalmente dalle donne nell’ambito della comunità e della famiglia. Lasciando, quindi, la comfort zone della «differenza» femminile, che aveva legittimato la presenza delle donne nello spazio pubblico nell’ambito filantropico e assistenziale, abbandonando l’idea del ruolo delle donne come «guardiane simboliche» della nazione, mero “distintivo”, si poteva arrivare al voto alle donne.
Insomma, solo lasciando fuori il potere patriarcale con tutte le sue sfumature, e facendo una vera e propria rottura dell’ordine politico, una sovversione a cui non tutte le donne si sentivano preparate, si poteva arrivare al suffragio femminile.
Il voto è stato spesso riconosciuto, in maniera rivoluzionaria, all’indomani di guerre e lotte anticoloniali. Il diritto di voto alle donne è giunto, la prima volta, nel 1893 dalla Nuova Zelanda. In Europa bisogna aspettare l’inizio del Novecento, quando una parte consistente dell’allargamento avvenne tra il 1915 e il 1922 e dopo il 1944-1945, fino a diventare un dato imprescindibile delle liberaldemocrazie contemporanee e simbolo della modernità di un determinato sistema politico: nel 2006, ad esempio, quando fu riconosciuto il diritto di voto alle donne del Kuwait.
Nei Paesi che precedettero Italia e Francia, come la Gran Bretagna, dopo la conquista maschile del voto incondizionato, per un certo periodo alle donne fu richiesto di aver raggiunto un’età maggiore di quella in cui venivano ammessi al voto gli uomini.
Il voto alle donne è un tema storico affascinante, che, a mio modesto parere, non dovrebbe essere lasciato alle sole donne (nel volume troviamo, oltre ai saggi delle curatrici, gli interventi di Marzia Casolari, Giovanna Cigliano, Giulia Guazzaloca, Leila El Houssi, Arianna Lissoni, Lea Nocera, Sara Panata, Farian Sabahi, Maria Rosaria Stabili e Kerstin Wolff). Da storico contemporaneo e specialista degli Asburgo, noto, ad esempio, la mancanza di un capitolo dedicato all’Austria, dove il suffragio universale maschile fu introdotto nel 1907, mentre quello femminile fu subito concesso al termine della Monarchia nel 1918 e l’Assemblea fu eletta con il voto femminile nel 1919.
A Vienna la donna pansessuale, espressione della Bellezza, era senz’altro diversa dall’uomo artista, espressione dello Spirito, ma ne era anche il necessario complemento. Quindi, care storiche, se Robert Musil, nella sua Azione parallela prendeva di mira il tipo idealista e filantropico rappresentato dalla baronessa von Suttner (comunque leggendaria e fondamentale nella storia del pacifismo), come si fanno a dimenticare personalità eccezionali del femminismo viennese, quando a governare erano Francesco Giuseppe o Carlo? L’Austria dell’Impero asburgico era secoli avanti rispetto alle “democrazie” di Gran Bretagna, Francia e Italia. Rosa Mayreder, ad esempio, con la sua cooperazione tra i sessi anticipava i tempi di due generazioni almeno. Aggiungo al mio personalissimo “catalogo” la scrittrice e salonnière Berta Szeps-Zuckerkandl, che aveva idee politiche sorprendenti per l’epoca. Il marito di Berta, professore di anatomia, sosteneva l’ammissione delle donne alla facoltà di medicina, un privilegio che l’Imperatore Francesco Giuseppe concesse nel 1900 giustificandolo col diritto delle donne musulmane della Bosnia ad aver medici donne. Solo a Vienna si poteva prendere la decisione su tali basi. Nel periodo della Vienna Rossa, le donne erano libere non grazie a Karl Marx ma agli eventi controcorrente della storia dell’Austria-Ungheria, segnati dal suffragio universale e dal federalismo dei giovani eredi al trono.
Potrei continuare la storia con Alma Mahler-Werfel e Franziska von Wertheimstein, narrando come pionieri del voto alle donne quelle viennesi che intendevano arrivare alla rivoluzione politica del suffragio universale femminile attraverso la cultura. Insomma, come non ricordare che la Prima Repubblica Austriaca, nata dopo la dissoluzione dell’Impero austro-ungarico, era più avanti di molte democrazie? Il voto alle donne, passivo e attivo, in Austria anticipò quello inglese, francese e italiano (che arrivò solo dopo la Seconda guerra mondiale). Il merito non fu della socialdemocrazia del Primo Cancelliere federale dell’Austria, Karl Renner, ma delle nuove idee forgiate da quell’Impero asburgico, che aveva avuto come ultime Imperatrici la “ribelle” Sissi e Zita (l’Imperatore Carlo la trattava alla pari negli affari politici). In Inghilterra, solo nel 1920, l’Università di Oxford cominciò a conferire il titolo di laurea anche alle studentesse. Per il suffragio femminile bisogna aspettare il 1928, quando l’Equal Franchise Act concesse alle donne inglesi il diritto di voto negli stessi termini degli uomini.