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 2025  aprile 27 Domenica calendario

Ghitta Carell. Mezzo Novecento in posa a Milano

Ricchi, potenti, aristocratici, gran borghesi, governanti con prole, artisti, scrittori, direttori di giornali e inviati, divi e autarchiche divine. Perfino re, regine, pontefici. E Walt Disney di passaggio in Italia... Fra gli anni Venti e Trenta del Novecento davanti al suo obbiettivo posarono tutti, rassicurati dal fatto che lei, ritoccando a mano con abile maestria (un secolo prima di Photoshop...) sarebbe riuscita a farli diventare bellissimi. A colpi di raschietto.
Così Ghitta Carell (1899-1972), celebrità del suo tempo, creò uno stile fotografico inconfondibile: il suo, divenuto sinonimo di un’epoca e fatto di seducenti bianchi e neri, sguardi intensi, pose solo apparentemente naturali, luci studiatissime, aloni del mistero «accesi» dietro le figure e forti contrasti ispirati ai bagliori del grande schermo. Un po’ Hollywood, un po’ telefoni bianchi.
Si dedicò sempre e solo a un unico genere, il ritratto posato in atelier. Ma tanto bastò a questa volitiva ungherese arrivata in Italia verso la metà degli anni Venti (fu il presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, nel 1959, a concedere «all’apolide Ghitta Carell Klein» la cittadinanza italiana) per sbaragliare la concorrenza e imporsi come la più acclamata fotografa del Ventennio, i cui ritratti – con apposita firma a biacca bianca o inchiostro nero nel caso degli originali – valevano alla stregua di dipinti, ancorché ideali: «In camera oscura – ricorderà anni dopo la sua assistente Isabella Canino – le fa smagrire di dieci chili».
Tre gli studi aperti: il primo a Firenze, il secondo a Roma – ai Parioli, poi negli anni d’oro sulla centralissima piazza del Popolo – e il terzo a Milano, in via del Conservatorio 20. Ed è in particolare sul successo «milanese» che si concentra la mostra Ghitta Carell. Ritratti del Novecento, promossa dal Fai (Fondo per l’Ambiente Italiano) e curata da Roberto Dulio nelle stanze di Villa Necchi Campiglio dal 14 maggio al 12 ottobre. Un’esposizione che raccoglie più di cento opere tra foto vintage, lettere, documenti e l’attrezzatura dell’artista, esposta per la prima volta. Tra le immagini selezionate, alcune sono direttamente legate al vissuto della celebre villa milanese di via Mozart, luogo che ospita la rassegna: come il ritratto dell’architetto Piero Portaluppi, che ne progettò le stanze, o quelli delle due sorelle proprietarie della residenza, la Nedda e la Gigina, che poi doneranno la magione al Fai. Fu quella una delle rare volte in cui la diva Carell si mosse per andare a fotografare qualcuno fuori dal suo studio, come svelano alcuni dettagli delle immagini. Più volte, in realtà, contenuti ed esprit della mostra si intrecciano con la storia del Fondo: il volto di una giovane Giulia Maria Crespi, che il Fai lo fondò, compare al fianco di sua madre in uno scatto esposto. E in un’altra foto si riconosce Giovanna («Pupa») Panza di Biumo Magnifico. La settecentesca villa con giardino all’italiana e collezione d’arte contemporanea tra le più note al mondo fu donata al Fai da lei e dal marito Giuseppe Panza di Biumo nel 1996.
«L’idea della mostra – spiega Daniela Bruno, direttrice culturale del Fai – nasce proprio dalla presenza di questi ritratti familiari, a partire da quelli delle leggendarie sorelle, le Gigine, conservati a Villa Necchi. Il progetto di allestimento integra le foto esposte negli ambienti della casa, con le loro cornici originali quando presenti, disposte come se a metterle lì fossero stati gli stessi proprietari. Villa Necchi, mi piace sempre ricordarlo, non è un museo ma una casa, non è un luogo contenitore ma un contenuto con una fortissima identità. Mostre così sono pensate dal Fai proprio per valorizzarne l’atmosfera». Sintesi di modernità e tradizione, punto di incontro fra avanguardia e glamour Novecento, la stessa Villa Necchi somiglia un po’, nella sostanza, ai sofisticati bianchi e neri di Ghitta Carell per i quali, durante l’intero periodo della mostra, è stata immaginata dai promotori anche una singolare call for portraits: un appello modalità «chi le ha viste» per ritrovare originali firmati Carell eventualmente conservati in case di famiglie, milanesi e non. Chi ha un’opera potrà segnalarlo alla mail mostraghittacarell@fondoambiente.it. E ogni ritrovamento sarà incluso nell’antologica.
Il singolare appello ad aprire i cassetti racconta bene quel che ancora oggi è, almeno in parte, il paradosso Carell: osannata al tempo e caduta in un cono d’ombra dal secondo dopoguerra, nonostante abbia continuato, almeno negli anni Cinquanta, a fotografare celebrities, da un giovane Giulio Andreotti alla regina madre d’Inghilterra in viaggio in Italia, dallo stesso presidente Gronchi a Papa Giovanni. Più che di damnatio memoriae per i suoi tanti ritratti «di regime» – famosi quelli di Mussolini, della figlia Edda Ciano, di Margherita Sarfatti e di tutti o quasi i potentati del Ventennio – Margit Klein (nome all’anagrafe) fu in realtà vittima di un radicale cambiamento di gusti nella stagione che si apriva a realismi e neorealismi. La qual cosa relegò nel dimenticatoio lei e tutta un’estetica Novecento di cui era stata un simbolo.
Tra le poche amiche fedeli anche nella stagione buia, Camilla Cederna e Palma Bucarelli, che proprio alle foto di Carell dovrà parte della sua trasformazione in icona di eleganza. L’astro della fotografa si spense già all’indomani delle leggi razziali, 1938. Dopo l’8 settembre ’43, ebrea di nascita, fu costretta a nascondersi. Morirà in Israele dove, dimenticata, andò a vivere dal 1969 (all’Istituto italiano di cultura di Haifa, partner della mostra, sono state ritrovate di recente sue foto e attrezzature).
Oltre a immagini-simbolo della prima produzione Carell, tra cui un celeberrimo ritratto di Maria José di Savoia, oltre alla «milanesità» (tra le bellezze del tempo anche Jia Ruskaja, moglie del direttore del «Corriere della Sera» Aldo Borelli e a capo della Scuola di Ballo della Scala), l’altro fil rouge del percorso è legato agli architetti. Dulio – docente di Storia dell’architettura al Politecnico di Milano nonché autore di due volumi su Carell, fra i primi contributi scientifici sul lavoro della fotografa – ha ritrovato un album inedito che Ghitta donò a Marcello Piacentini, dominus dell’architettura di regime. Al suo interno i volti di tutti i progettisti, da Gio Ponti a Giuseppe Pagano, coinvolti nella realizzazione della nuova città universitaria La Sapienza, a Roma.